A fronte di una caduta che nel 2020 parrebbe attestarsi al 9,9 per cento, nel 2021, invece, il Pil dovrebbe tornare a crescere del 4,1 per cento. Traducendo questi dati in valori assoluti e nominali, emerge che nel 2020 la crisi avrebbe bruciato 156 miliardi di euro di ricchezza presente nel Paese. Durante quest’anno, invece, dovremmo risalire la china e recuperarne 83, registrando un saldo negativo in questo biennio di 73 miliardi.
Sono questi i risultati che emergono da una analisi condotta dall’Ufficio studi della CGIA in merito alla comparazione del Pil italiano riferito al biennio 2020-2021. Segnala il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo:
“A livello pro capite stimiamo che l’anno scorso ogni italiano abbia perso mediamente 2.600 euro di reddito, mentre quest’anno ne riguadagnerà poco meno di 1.400 euro. Nel biennio 2020-2021, pertanto, il saldo sarà negativo e pari a poco più di 1.200 euro. Quest’anno, quindi, assisteremo a un rimbalzo della nostra economia che ci farà recuperare solo una parte della contrazione registrata nel 2020. Di conseguenza, è verosimile sostenere che torneremo a una situazione pre Covid non prima del 2024. Sarà perciò decisivo spendere tutti e bene i 209 miliardi di aiuti che ci arriveranno dall’Unione Europea. Altrimenti, rischiamo che il nostro Paese finisca su un binario morto e la crisi economica in atto si trasformi in una crisi sociale senza precedenti, dove a pagare il prezzo più alto saranno i più deboli, come i giovani e le donne”.
E in merito alla normativa europea in materia di credito entrata in vigore ieri, la CGIA sottolinea che il vero problema non riguarderà, in particolar modo, la nuova definizione di default, ma l’atteggiamento molto misurato che gli istituti di credito saranno obbligati a tenere a seguito delle disposizioni introdotte da questa misura sulla “gestione” dei crediti deteriorati.
“La nuova definizione di default – dichiara il segretario Renato Mason – costringerà le banche a tenere un comportamento molto prudente nei confronti delle famiglie e delle imprese. Con l’abbassamento della soglia di sconfinamento, infatti, registreremo una impennata dei crediti deteriorati. Per evitare di avere una mole eccessiva di Npl, Bruxelles ha imposto alle banche la svalutazione in 3 anni dei crediti a rischio non garantiti e in 7-9 anni per quelli con garanzia reali. E’ evidente che l’applicazione di queste misure indurrà moltissimi istituti di credito ad adottare un atteggiamento di grande cautela nell’erogare i prestiti, per evitare, nel giro di pochi anni, di dover sostenere delle perdite di bilancio importanti. Alla luce di tutto ciò, appare evidente che a partire da quest’anno per tantissime Pmi sarà molto difficile accedere al credito bancario”.
Secondo le stime elaborate nel novembre scorso dalla Commissione Europea1 , tra gli indicatori economici italiani destano molta preoccupazione i consumi delle famiglie. Questi ultimi, che costituiscono la componente più importante del Pil nazionale (circa il 60 per cento del totale), nel 2020 subiranno una contrazione importante. In termini assoluti le famiglie “risparmieranno” circa 110 miliardi di euro (-10,5 per cento rispetto al 2019). In buona sostanza, ogni famiglia italiana ridurrà la spesa annua per gli acquisti di circa 4.400 euro. Nel 2021, invece, la ripresa sarà “solo” del +3,8 per cento.
Ancor più preoccupante è il trend riferito agli investimenti. Nel 2020 sono destinati a crollare del 13,6 per cento, mentre per l’anno in corso è previsto un aumento del 7,2 per cento.
Anche le esportazioni subiranno un tracollo. Nel 2020 si stima una caduta del 16,7 per cento che solo in parte verrà recuperata quest’anno. Le previsioni di Bruxelles, infatti, indicano per il 2021 una crescita delle nostre vendite all’estero del +10,3 per cento.
In linea generale, concludono dalla CGIA, la gravità della situazione emerge in maniera ancor più evidente se paragoniamo l’attuale situazione economica con quanto accaduto nel 2009, annus horribilis dell’economia italiana degli ultimi 75 anni. Allora, il Pil scese del 5,5 per cento e il tasso di disoccupazione, nel giro di 2 anni, passò dal 6 al 12 per cento. Se le cose andranno bene, nel 2020 il Pil diminuirà del 10 per cento circa. Con un crollo quasi doppio rispetto a quello registrato 12 anni fa, è evidente che una caduta verticale del genere avrà degli effetti molto negativi sul mercato del lavoro. Infatti, quando verrà meno il blocco dei licenziamenti, previsto per il prossimo 31 marzo, corriamo il rischio di vedere aumentare a dismisura il numero delle persone senza una occupazione. Un problema che colpirà soprattutto i giovani e le donne.