Parla il presidente CIA Raffaele Amore
La filiera olivicola in Italia conta oltre 825 mila aziende, impegnate su oltre 1 milione di ettari di superficie (1,4 ettari per azienda in media), che trasformano il prodotto in olio in quasi 4500 frantoi (dati Ismea). Le regioni italiane con la produzione di olio extravergine di oliva sono, nell’ordine, Puglia, Calabria, Sicilia e Campania. E proprio in quest’ultima regione è attiva la Confederazione italiana agricoltori, organizzazione di cui Raffaele Amore presidente regionale, nonché vice presidente di Italia Olivicola e produttore egli stesso. “Abbiamo espresso apprezzamento – dice Amore – per la costituzione del tavolo della filiera olivicola italiana, da noi auspicato e sollecitato da anni, in una lettera al sottosegretario per l’Agricoltura Patrizio Giacomo La Pietra”. L’intervista che segue è una occasione per fare il punto sul settore e lanciare ai decisori pubblici nuove proposte per gestirlo al meglio.
Presidente Amore, quello olivicolo è un comparto che rappresenta un vero e proprio volano dell’agricoltura made in Italy e, in particolare, un traino dell’economia agricola del Mezzogiorno e della Campania. Dal suo osservatorio privilegiato può aiutarci a tratteggiare lo scenario attuale di questo comparto così importante?
Nessuna difficolta a dichiarare che nell’ultimo trentennio la filiera olivicola ha raggiunto un livello qualitativo eccelso e un equilibrio produttivo e di meccanizzazione importante. Questo grazie alla tenacia dei produttori primari, gli olivicoltori, all’innovazione da parte delle aziende di trasformazione e alle misure promosse dalle politiche europea e nazionale.
Negli ultimi anni, tuttavia, il combinato di cambiamenti climatici e emergenze fitosanitarie, l’impatto della Xylella fastidiosa hanno provocato criticità di cui è difficile venire a capo, non è così?
In realtà a quelli che ha elencato vanno aggiunti alcuni altri fattori critici. Parlo di crisi energetica scaturita dal conflitto Russia-Ucraina, carenza di materie prime per gli input produttivi e il loro costo, che ha raggiunto livelli oramai insostenibili, per l’agricoltura in generale e anche per il settore olivicolo, rischiando di portarci al declino delle produzioni nazionali.
Come affrontare il tema dell’incremento delle produzioni di olio EVO italiano?
Per raggiungere obiettivi importanti bisogna porre immediatamente rimedio alle problematiche che affliggono il comparto e che di fatto ne stanno compromettendo la normale crescita. Siamo convinti che l’incremento della produzione di olio italiano e la competitività sul mercato interno e in quello estero può passare solo attraverso l’incremento dell’aggregazione del prodotto attraverso l’impegno che le organizzazioni dei produttori e le loro associazioni possono e devono ancora dare rispetto al prezioso contributo offerto finora.
Quali provvedimenti vanno adottati dal Governo?
Nel comparto olivicolo c’è molta vivacità e bisogna supportarla. In primo luogo cercando di incrementare i fondi destinati alla organizzazione comune dei mercati dell’olio, così come si è fatto per quella del vino. Attualmente il plafond a disposizione di 34.590.000 di euro non consente a pieno di raggiungere gli ambiziosi e doverosi obiettivi chiesti giustamente dal tavolo olivicolo.
Che cosa occorre fare invece in tema di tutela del prodotto?
L’olio EVO made in Italy deve essere maggiormente tutelato ed incentivato, mediante processi di certificazione che garantiscano il giusto reddito a tutti i soggetti della filiera. In particolar modo, ai produttori primari cioè le aziende agricole, troppo spesso l’anello più debole della catena, anche se in verità è il più importante perché a monte della filiera.
È possibile incrementare le produzioni? E se sì, come si può ampliare la quantità di prodotto in questo campo?
Certo, ma è fondamentale tutelare le superfici e le produzioni già in atto. Non è pensabile auspicare azioni volte all’incremento produttivo quando gli agricoltori sono continuamente vessati dai rincari degli input produttivi, dalla mancanza di manodopera che attanaglia l’agricoltura in generale, compreso il comparto olivicolo. Si fatica a reperire personale per la potatura e la raccolta anche a causa della specializzazione che richiedono queste attività-
Il tema della carenza di addetti è delicato, specie in una fase in cui si ragiona di come permettere quote di immigrazione utili a supportare le produzioni agricole, specie nelle fasi in cui è decisivo disporre di manodopera sufficiente…
Sono convinto che serva un maggiore snellimento burocratico che agevoli e velocizzi le pratiche volte alle assunzioni agricole, soprattutto quelle di carattere stagionale. Riteniamo che sia importante ricorrere all’impiego di risorse umane sia interne al paese che estere, ma soprattutto è fondamentale prevedere un percorso formativo mediante l’istituzione di vere e proprie “scuole di formazione per operai agricoli”, in quanto l’altro punto debole legato alla manodopera agricola è purtroppo la scarsa professionalità.
Si parla molto del Piano olivicolo nazionale. Come lo giudica?
È stata una misura apprezzata, ma l’esigua dotazione finanziaria, appena 30 milioni, non ha permesso a moltissime aziende di apportare gli investimenti. Auspichiamo che si trovino risorse adeguate per questo.
Qual è il polso della realizzazione del Pnrr?
In merito ai “Progetti di Filiera” presentati, che nel complesso superano abbondantemente il plafond iniziale previsto, ci auguriamo che il Governo attuale possa trovare le risorse mancanti, al fine di approvare i numerosi progetti di filiera volti proprio al potenziamento delle produzioni di olio EVO made in Italy, al miglioramento qualitativo e all’innovazione tecnologica dell’intera filiera.
Veniamo all’olio Evo 100 per cento italiano. Quali proposte vanno avanzate all’esecutivo per sostenerlo?
È fondamentale continuare a porre in campo progetti e misure finanziare atte alla valorizzazione e alla tutela del patrimonio olivicolo nazionale, tenendo conto che l’olivicoltura italiana presenta delle notevoli differenze a seconda dei territori di riferimento. Questo elemento da un lato è un punto di forza perché caratterizza le tipicità delle diverse produzioni, ma dall’altro lato diviene un punto di debolezza, in quanto non consente un’unica misura trasversale di attuazione valida per l’intero territorio nazionale. E’ inoltre importante che tra i sette nuovi IGP figuri l’IGP Olio Campania.
Oltre alla differenza tra territori, esiste in Italia anche il problema di una filiera decisionale parcellizzata…
Ed infatti a tal proposito abbiamo dato l’indicazione di concepire ed attuare la strategia di intervento settoriale con un approccio analogo a quello utilizzato per il Piano strategico della Pac (Politica agricola comune. NdR) 2023-2027 e cioè con la partecipazione paritaria tra Ministero, Regioni e Province autonome.
E quali indicazioni proposte riguardano i produttori e quali si ripercuotono invece sulla salute dei consumatori?
Finanziare progetti di ricerca che mirano all’applicazione di pratiche agronomiche maggiormente sostenibili e produttive, per una olivicoltura che garantisca il giusto reddito agli olivicoltori. Finanziare ulteriormente progetti che mirano alla meccanizzazione di precisione. Per quanto riguarda il consumo direi finanziare progetti che privilegiano l’impiego di varietà nazionali valorizzando gli aspetti nutraceutici e salutistici e finanziare progetti di ricerca volti all’implementazione dei mezzi di Bio-Controllo per le avversità olivicole e dell’impiego dei DSS (Decision Support System. Ndr) al fine di limitare l’impiego dei principi attivi più impattanti, ma preservando la produzione e la qualità delle produzioni. E non solo…
Che cos’altro ritenete necessario?
Una vigilanza altrettanto attiva ed efficace nei confronti della proposta di regolamento dei fitofarmaci proposta dalla Commissione Europea. Un dossier complicato che, nella formulazione attuale, mette a serio rischio le produzioni agricole in generali comprese quelle olivicole, perché elimina principi attivi utili nel controllo delle malattie e dei patogeni delle piante, senza prevedere però delle alternative al riguardo. Ricordo che il comparto olivicolo ha subito negli ultimi anni la revoca dei due principi attivi più efficaci per il controllo del patogeno principe dell’olivo. Faccio l’esempio della mosca olearia, capace da solo di incidere pesantemente sulla quantità e qualità delle produzioni. Il tutto è avvenuto come al solito senza suggerire le efficaci contromisure del caso.
Il tema dell’orientamento dei consumatori diviene sempre più importante, perché cresce anno dopo anno la loro sensibilità alla conoscenza della qualità alimentare. Non è così?
È fondamentale investire nella diffusione della conoscenza dell’olio EVO di qualità italiana con campagne di sensibilizzazione ed informazione rivolte ai consumatori, al fine di fornire gli strumenti idonei per una scelta ed un consumo consapevole del prodotto italiano. La maggior parte dei consumatori percepisce l’olio EVO come un prodotto sostanzialmente uguale, indifferenziato. Tende ad acquistare questo pregiato prodotto basandosi spesso sul prezzo più basso.
E invece l’Italia possiede il più vasto patrimonio varietale olivicolo del mondo: oltre 500 cultivar autoctone. Giusto?
Sì. E questa incomparabile biodiversità, l’eterogeneità delle aree olivicole vocate e le peculiari competenze che contraddistinguono i nostri territori sono rappresentate e valorizzate dagli oli con certificazione di origine DOP o IGP. Il nostro Paese vanta oggi 42 oli DOP e 7 IGP. Si tratta di un primato assoluto, non solo in termini numerici, ma anche in termini di distintività e riconoscibilità, che costituiscono elementi preziosi per il posizionamento di tutto il settore olivicolo italiano all’estero.
Resta sullo sfondo il complesso e controverso tema dei cambiamenti climatici…
Ecco, su questo fronte occorre un intervento organico verso la filiera olivicola-olearia che non può prescindere da una gestione razionale della risorsa acqua ed alle emergenze fitosanitarie che coinvolgono il settore, primo tra tutti un trattamento preferenziale merita la questione Xylella per la quale a nostro avviso si necessita di un commissario ad acta con potere pieni e adeguate risorse finanziarie, per l’applicazione di misure urgenti e non più procrastinabili.
Il mondo olivicolo oleario è molto tecnico, in ambito Ue ed internazionale cosa non funziona a suo parere?
C’è sicuramente la questione dell’eco-schema tre della Pac, un pagamento ad ettaro da 220 euro ad ettaro al minimo, che viene assicurato agli oliveti tradizionali per incentivarne la potatura almeno biennale, a patto che sulla parcella agricola non insistano più di 300 piante ad ettaro. Tale impostazione va sottoposta ad una severa analisi critica, perché così come oggi è concepita, appare in contraddizione con l’esigenza di implementare la produzione mediante l’infittimento delle superfici già esistenti o mediante la realizzazione dei nuovi impianti.
Con quali misure?
Andrebbero fatte delle attente valutazioni finalizzate a proporre modifiche all’eco-schema 3 in sede di revisione della Pac di medio termine. Inoltre, in sede di Consiglio olivicolo internazionale sicuramente l’Italia si batterà, anche mediante il tavolo di filiera, per chiedere la revisione del parametro degli steroli nell’olio, in quanto, negli ultimi anni, la difficoltà nel raggiungimento del parametro minimo di 1000 mg/kg.
Si tratta di un parametro non essenziale peraltro, che per una combinazione di cause climatiche e soprattutto genetiche, legate ad alcune varietà importanti del patrimonio olivicolo nazionali, ha enormi difficoltà a realizzarsi, per motivi peraltro non ascrivibili ai produttori o ai trasformatori. Non è così?
Cultivar importantissime, come la Coratina, la Nocellara del Belice, la Biancolilla, stanno paradossalmente fortemente penalizzando le produzioni di qualità, in particolar modo i monovarietali e le DOP di Puglia, Sicilia e Calabria, con pesanti svalutazioni di prezzo per un prodotto che, pur rispondendo ad ogni altro parametro dell’extravergine, deve essere innanzitutto declassato a vergine. E come tale non può fregiarsi – ove esistenti – né della Dop né dell’Igp. Un paradosso, questo, da superare questo in sede Coi.