La formula del «politicamente corretto» oggi abusata e logorata, ha un forte bisogno di essere chiarita, soprattutto in questi tempi. «In ogni luogo del discorso pubblico i soggetti più disparati – politici, intellettuali, giornalisti, artisti – gareggiano nel dichiararsi politicamente scorretti, intendendo con ciò ‘anticonformisti’, ovvero estranei all’ortodossia ideologica, linguistica e culturale dominante, alla quale si riferiscono con atteggiamento sarcastico, sprezzante». Soltanto però che la dottrina ufficiale del politicamente corretto secondo il professore Eugenio Capozzi, è «viva e vegeta, ed ha una forza tale da esercitare una coercizione ferrea, imponendo terminologie, erogando censure e divieti».
Pertanto di fronte a questa forza, quelli che si considerano anticonformisti, facilmente si piegano, si inchinano e si auto correggono. E i pochi che hanno il coraggio (questi si che sono i veri anticonformisti) di continuare «a sostenere tesi non allineate vengono isolati, delegittimati e le loro opinioni bollate come offensive verso specifici gruppi di persone, a volte persino come hate speech, incitamento all’odio».
Il 4 aprile scorso Alleanza Cattolica, presso il Centro culturale “Rosetum” di Milano, ha presentato il libro di Capozzi, «Politicamente corretto. Storia di un’ideologia», edito da Marsilio Editori (2018). E’ stata una serata di studio come ha precisato, Marco Invernizzi, responsabile nazionale dell’associazione. Una sorta di scuola popolare in atto per uomini e donne che intendono combattere la “buona battaglia” del nostro tempo.
Eugenio Capozzi, professore ordinario di Storia contemporanea presso la Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa”, in questo libro ricostruisce le origini ed evidenzia le attuali contraddizioni della retorica del politicamente corretto collegandola ad una vera e propria ideologia, che affonda le radici nella crisi della civiltà europea di inizio Novecento. Una ideologia che cresce negli anni sessanta, al tempo dei cosiddetti baby boomers e soprattutto dopo la fine della guerra fredda, con la morte dei totalitarismi. Si sviluppa e si impone con la globalizzazione e diventa egemone soprattutto nell’Occidente relativista e scettico.
Il politicamente corretto è una visione del mondo che ha dato vita secondo Capozzi a dogmi e feticci, come il multiculturalismo, la rivoluzione sessuale, l’ambientalismo radicale, la concezione dell’identità come pura scelta soggettiva (il gender).
Il professore napoletano, in questo libro ben documentato, sono straordinariamente tante le citazioni a piè di pagina delle opere consultate, soprattutto di autori anglosassoni, presenta gli evidenti eccessi e gli aspetti grotteschi del politicamente corretto. Soprattutto per Capozzi, lo ha sottolineato più volte durante la serata di Milano, è necessario proporre la storia di questa ideologia anch’essa totalitaria come quelle del Novecento. Una storia che si può studiare, proprio ora che il fenomeno culturale e politico secondo il professore, appare avviato verso la sua parabola discendente.
Tuttavia, Capozzi vede un’aperta ribellione, una certa ostilità di intellettuali, veramente anticonformisti, ma anche di tante maggioranze silenziose, che non vengono presentate nel mondo dei social media, verso le classi dirigenti, e la loro retorica del politicamente corretto. Nello stesso tempo stanno nascendo nuove forze politiche, che «si distinguono per essere apertamente polemiche verso aspetti qualificanti dell’agenda progressista politicalcorrettista, e che in genere vengono bollate dai sostenitori di quest’ultima come fenomeni pericolosi e regressivi». Capozzi si riferisce a quelle forze politiche, chiamate «populiste», o «sovraniste», o «neo-nazionaliste», nate in Europa quanto nel continente americano, che hanno conseguito rilevanti successi elettorali, e che hanno conquistato il governo dei loro paesi.
Un altro aspetto importante che Capozzi ha sottolineato nella serata milanese, è quello che noi spesso pensiamo che l’ideologia politicalcorrettista, la sua egemonia, la sua centralità, sia un dato naturale e non invece un fatto storico, soggetto come tutti gli altri all’incessante dialettica del divenire, cioè destinata a finire.
Il professore insiste, «per comprendere il politicamente corretto è indispensabile studiarlo in chiave storica, inserirlo nel suo contesto, ricostruirne lo sviluppo dalle origini a oggi, evidenziare le forze che lo hanno favorito e quelle che lo hanno contrastato e lo contrastano tuttora». Pertanto per contrastarlo efficacemente, occorre risalire alle sue radici profonde della visione del mondo che l’ha generato. «Questo libro- scrive Capozzi – intende dunque essere in primo luogo la ricostruzione di un fenomeno, una riflessione che tenta di individuare in esso ‘ciò che è vivo e ciò che è morto’, per usare una nota espressione di Benedetto Croce. A tale scopo è necessario innanzitutto classificarlo per ciò che è, definendone la natura».
Il «catechismo civile», del politicamente corretto che tende strutturalmente alla censura, non è una moda delle classi colte. Piuttosto, «rappresenta invece l’espressione di un’ideologia, impostasi nelle società occidentali nell’ultimo mezzo secolo, paradossalmente mentre il luogo comune dominante sosteneva la ‘morte delle ideologie’».
Nei cinque capitoli del libro Capozzi definisce le forme e lo sviluppo dell’ideologia dalla quale derivano precetti del politicamente corretto, quel progressismo fondato sul relativismo etico radicale e sull’idea radicale dell’autodeterminazione del soggetto. E’ una Weltanschauung secondo Capozzi che ha segnato un mutamento profondo delle società occidentali. A questa idea si è formato un blocco sociale e una classe dirigente, che hanno abbracciato il nascente progressismo come filosofia di vita e fondamento della convivenza civile.
Un blocco sociale di uomini e donne capace di indirizzare secondo i loro interessi, i loro desideri, i loro gusti, l’economia, la politica, la cultura, la ricerca scientifica, la comunicazione mediatica.
Nel I° capitolo viene subito delineata la nuova ideologia: il progressismo diversitario, che arriva, nelle università dei paesi anglosassoni, ad esplicitare addirittura una condanna retroattiva, una specie di censura applicata allo studio del passato. Capozzi riporta l’esempio di Ovidio, di Shakespeare e di Mark Twain; nelle opere di questi letterati secondo i politicalcorrettisti, si intravede discriminazione, violenza, addirittura stupri. Inoltre negli atenei vengono poste in discussione i concetti stessi di civiltà in riguardo all’Occidente.
La pressione sui professori e gli studenti è molto forte, i programmi si devono adeguare al politicamente corretto. Tutto viene controllato dalla letteratura all’intrattenimento di massa, viene censurato, edulcorato e riscritto nei contenuti. Questo perchè ci sono ondate di proteste suscitate da presunte offese. Il metodo è sempre lo stesso: «un soggetto (intellettuali, giornalisti, organizzazioni della società civile) punta il dito contro una frase, un termine, un comportamento percepito come discriminatorio, e immediatamente si scatena sui media tradizionali e sui social – traducendosi poi in manifestazioni fisiche – una campagna che costringe alla rettifica, alle scuse, alle dimissioni coloro che vengono additati come colpevoli diretti o indiretti». Ricordo il caso Barilla.
E’ successo nel caso delle statue di nudi maschili e femminili nei Musei capitolini di Roma, che il governo italiano ha subito fatto coprire in occasione della visita ufficiale in Italia del presidente iraniano Hassan Rouhani. Una cosa simile è capitata anche nella metropolitana di Londra, la nudità di un’opera d’arte poteva essere considerata offensiva nei confronti dei molti abitanti musulmani.
Insomma in ogni contesto culturale e sociale c’è una costante pressione nel ridefinire il linguaggio, «che si traduce nella rimozione di espressioni, definizioni, modi di dire, e nella corrispondente adozione di una serie innumerevole ed elaborata di eufemismi, neologismi, perifrasi, approvati volta a volta dalle élite culturali, politiche e mediatiche più influenti».
Capozzi a questo proposito fa degli esempi eclatanti, come quelli delle accuse pesanti per molestie sessuali, che hanno subito certi noti personaggi Sono espressioni politically correct e political correctiness che si sono diffusi a partire dal mondo anglosassone in senso negativo nei confronti dei comportamenti sociali delle classi colte. Formule molto simili al linguaggio usato dagli attivisti e dai documenti ufficiali comunisti dopo la rivoluzione bolscevica, e poi soprattutto negli anni trenta, «all’epoca della strategia staliniana dei fronti popolari, per descrivere i comportamenti giusti o sbagliati di militanti del partito comunista e di compagni ‘di strada’ (intellettuali fiancheggiatori) rispetto alla linea dettata dai vertici dell’organizzazione».
Tra l’altro, scrive Capozzi, si tratta della stessa terminologia usata da alcune frange della sinistra movimentista degli anni sessanta e settanta nel senso analogo di teorie e comportamenti conformi ai nuovi standard e slogan ideologici allora in voga. C’era qualcuno che aveva la pretesa del monopolio della verità, il partito totalitario, il movimento, lo Stato onnipotente.
Successivamente questi precetti si sono diffusi nelle società occidentali, a tal punto che si percepiscono come una severa morale sociale imposta dall’alto. Per Capozzi appare come una «morale pedante alla quale occorre rendere omaggio per non essere emarginati dal discorso pubblico, per rimanere nel consesso delle ‘persone perbene’ […]».
A questo punto Capozzi si pone la domanda sul perchè il catechismo del politicamente corretto, i suoi codici di prescrizioni e divieti ha conquistato un’egemonia indiscussa? E qui Capozzi narra un po’ la storia del Progressismo, dell’idea di progresso, comune a gran parte della cultura europea moderna. Si tratta di quel blocco dottrinario, di quell’ideologia, che vuole creare un mondo nuovo. Un’idea progressista ideologica che è apparsa e incarnata sotto diversi nomi: liberalismo, democrazia, nazionalismo, socialismo. «Tratto comune a tutte le forme di progressismo è l’obiettivo di estirpare dalle società disuguaglianze e ingiustizie ereditate dal passato per condurle verso un avvenire radioso, di volta in volta, attraverso l’ampliamento e l’estensione dei diritti civili (il liberalismo nella sua versione radicale), l’uguaglianza politica (la democrazia), l’uguaglianza sociale ed economica (socialismo, comunismo, anarchismo), la liberazione dei popoli dall’oppressione esterna (i nazionalismi)».
Addirittura per il nostro, persino le ideologie totalitarie o autoritarie del Novecento, come il nazismo e il fascismo, possono essere classificate per molti versi come espressioni di un progetto progressista, sebbene opposto alla vulgata liberale, democratica e socialista. Comunque sia tutte le forme di progressismo, tendenzialmente sono convinte che «attraverso la traduzione di una dottrina in azione politica, si possano colmare le lacune della natura umana».
Dunque il progressismo dottrinario diventa l’ideologia occidentale, che si base su una «vita priva dell’orizzonte della trascendenza, ma che della religione trascendente mantiene l’anelito alla redenzione e alla salvezza, e l’attesa della fine dei tempi».
Per questo motivo tutte le ideologie intese come sistemi di idee per il governo delle società, «possono essere considerate religioni politiche o religioni secolari, secondo la definizioni che ne hanno dato rispettivamente Eric Voegelin e Augusto del Noce».
In particolare scrive Capozzi, «tutte le ideologie sono eredi di quella che sempre Voegelin considera la tendenza ‘gnostica’ della cultura europea moderna[…]».
Naturalmente la versione più assoluta e seducente del progressismo è stato incarnata nel Novecento, «dal comunismo che a partire dalla rivoluzione bolscevica in Russia, ha dominato incontrastato l’immaginario politico occidentale e di conseguenza il dibattito ideologico».
L’Unione Sovietica appariva come il modello della società egualitaria, il “paradiso in terra”. Intanto si comincia ad abbattere non solo il capitalismo, ma anche la civiltà occidentale, come modello di vita, la sua cultura, le sue tradizioni. Adesso “l’uomo bianco”, diventa il nemico, il conquistatore schiavista, devoto al sacrificio e alla produzione, repressore di ogni slancio creativo, era il nemico della liberazione umana, il freno al vero progresso verso un mondo più giusto e felice.
Praticamente l’Occidente arriva a odiare se stesso. Il progressismo cerca di de-occidentalizzare il mondo e di fare un’opera di “trasvalutazione di tutti i valori” come l’aveva elaborata un secolo prima Friedrich Nietzsche. L’ideologia del politicamente corretto, potrebbe essere definita come l’«autofobia» occidentale, il grande conservatore Roger Scruton, prendendo in prestito dal vocabolario psichiatrico, l’avversione alla propria casa, alla propria patria, l’ha chiamata, «oicofobia», che corrisponde in simmetria l’«allofilia», quel valutare pregiudizialmente positiva qualsiasi aspetto- culturale, sociale, politico, persino estetico – delle civiltà non europee e non occidentali.
In questo modo l’ideologia del progressismo secondo il sociologo canadese Mathieu Bock-Cotè si propone come un’«utopia doversitaria», dove il protagonista, l’eroe della lotta per il nuovo paradiso in terra diventava l’Altro, ‘il diverso’, in tutte le sue possibili eccezioni». Il nuovo progressismo diversitario, non abbraccia più l’ingegneria sociale, ma una infinità di «soggetti diversi, liberati da ogni vincolo, che esprimono se stessi convivendo armoniosamente senza alcuna gerarchia». Arriviamo così a quell’ideale dove i protagonisti sono quei giovani degli anni sessanta che si ribellano, siamo alla controcultura del sessantotto europeo. Non più il mito del comunismo sovietico ma il parricidio dell’Occidente cattivo, imperialista, colonialista, repressivo, discriminatorio. In pratica si tratta di un «primo mondo» che dovrebbe abbandonare le proprie caratteristiche culturali, per cominciare un nuovo ciclo. La forza trainante di questo nuovo percorso saranno tutti gli esclusi, gli emarginati a qualsiasi titolo dal sistema di dominio, le minoranze più varie che unite formeranno una nuova classe che interpreterà il senso della storia. Questi soggetti, che saranno minoranze etniche, culturali, religiose, sessuali (comprese le donne) sostituiranno il proletariato operaio eletto a suo tempo dal marxismo.
In questo quadro di minoranze escluse, vanno aggiunte l’ambiente e gli animali. Creando così le basi del filone del neo-progressismo ecologista.
La retorica e la propaganda riveste una importanza fondamentale per tutte le ideologie. Così «ogni religione secolare non soltanto ha i suoi testi sacri, i suoi santi, i suoi martiri, i suoi riti, le sue liturgie, i suoi simboli sacri, ma anche il suo catechismo». Soltanto che nell’ideologia del progressismo diversitario, il nemico, non è più come al tempo del marxismo, ma il nemico, si trova nelle nostre menti. Occorre vincere la resistenza oscurantista che c’è in noi. E quindi si arriva ben presto a delegittimare i nuovi avversari politici che saranno quelli che l’ideologia ha costruito come categorie spregiative per indicare le opinioni dei dissidenti.
Questi a sua volta sono relegati «in uno spazio di esclusione totale da qualsiasi possibilità di discussione civile, in quanto portatori di odio e discriminazione; l’avversario è ‘razzista’, ‘intollerante’, ‘sessista’, e poi ‘omofobo’, ‘islamofobo’, e via di questo passo». Praticamente secondo Capozzi questo nuovo tipo di ideologia è ancora più intollerante rispetto a quella comunista, che bene o male ti faceva dibattere, qui sei escluso e basta.
Il nuovo catechismo ideologico diversitario nato all’interno di una società dei mass media, «sfrutta ogni occasione offerta dalla comunicazione, dall’industria culturale e dalla cultura pop per comunicare i propri messaggi, rendendoli comprensibili, accattivanti, persuasivi per il maggior numero possibile di persone».
Se nel passato, per le ideologie classiche, la funzione divulgativa, avveniva attraverso il partito, i manuali di propaganda, dai libretti rossi, dai manifesti murali, dai volantini, «per il progressismo diversitario viene esercitata dai film, dal teatro, dalle canzoni, da trasmissioni di informazione/intrattenimento televisivo, e infine dai contenuti veicolati attraverso il web e i social network».
Il nuovo catechismo ha conquistato la nuova borghesia senza radici, che si è manifestata a partire dal boom economico del secondo dopoguerra, sono i giovani baby boomers ribelli degli anni sessanta che intraprendono professioni liberali, entrano nel sistema dei grandi media, dell’editoria, dell’accademia, dell’intrattenimento di massa e vanno a costruire l’economia in via di essere globalizzata.
Insomma per Capozzi, l’ideologia diversitaria ha conquistato l’egemonia culturale nei paesi liberaldemocratici. Gli ex ribelli del sessantotto diventano borghesia, fino ad arrivare al vitalismo libertario dell’industria hi-tech di Silicon Walley, con i suoi leader riconosciuti, come Bill Gates o Steve Jobs. Paradossalmente l’ideologia di queste èlite, diventa dottrina ufficiale di certa sinistra occidentale, nonostante negli anni novanta, si imponevano i movimenti della contestazione No global.
Le classi dirigenti riescono a rovesciare quella diffusa contestazione, presentando la globalizzazione a favore dei nuovi diritti e delle opportunità individuali.
Come è stato scoperto il politicamente corretto? Per il professore si comincia con il 1994, un caso letterario clamoroso, un libro satirico di un umorista americano rivisita le più note fiabe europee secondo i canoni linguistici e morali delle retorica correttista. Si comincia con Cappuccetto Rosso, che si trasforma in una arringa a favore dell’emancipazione femminile e in una ferma condanna del cacciatore come simbolo del potere maschilista. Si prosegue con i Tre porcellini, i Sette nani di Biancaneve e così via. E’ un documento prezioso questo libro, perchè già allora, si mettono insieme in un unico bersaglio satirico femminismo, multiculturalismo e abientalismo/animalismo, considerandoli elementi di un unico sistema di pensiero.
In questo periodo in cui si profilava la nuova ideologia sono stati pubblicati dei libri che denunciavano l’avanzare di un conformismo politico-culturale, i suoi luoghi comuni, la crescente limitazione della libertà di pensiero e di espressione. Sono comunque delle voci minoritarie. Capozzi, cita, «Singhiozzo dell’uomo bianco» (1983) e «La tirannia della penitenza» di Pascal Bruckner, dove viene descritta la progressiva trasformazione del terzomondismo in un’ortodossia dogmatica, la civiltà europea è colpevole di tutti i mali sofferti dai popoli ex colonizzati. Ma il più potente atto di accusa nei confronti della nuova ideologia del politicamente corretto compare nel 1987, «La chiusura della mente americana» del filosofo Allan Bloom. L’autore denuncia entrando nei particolari, la riscrittura della storia del sistema formativo scolastico e universitario americano che demolisce dalle fondamenta la cultura occidentale. Successivamente ci pensa un altro volume, «La cultura del piagnisteo. La saga del politicamente corretto», di Robert Hughes, a criticare la sinistra americana per l’attenzione ossessiva ai diritti civili e al multiculturalismo, l’ipocrisia moralista, la fissazione per le ‘vittime dell’Occidente’.
Tuttavia ritornando all’ideologia diversitaria, Capozzi nel libro ne descrive tutti gli aspetti. Guardando i principali temi del dibattito, Capozzi ritiene che i dogmi del neo-progressismo si possono raggruppare in quattro blocchi principali: 1)l’equivalenza tra le culture e le civiltà (il multiculturalismo); 2) l’equivalenza tra desideri e diritti (la rivoluzione sessuale, antropologica, biopolitica); 3) la messa ai margini della civiltà umana rispetto alla salvaguardia dell’ambiente (ecologismo ideologizzato e antiumanesimo ambientalista); 4) la concezione dell’identità non come eredità naturale e storica, ma come scelta soggettiva, espressione dell’autodeterminazione individuale e collettiva.
Sono le quattro verità, articoli di fede, dell’ideologia correttista che si innesta facilmente nel nostro mondo occidentale relativista che peraltro sta morendo. Sono i quattro argomenti che Capozzi sviluppa nei capitoli successivi del libro.
L’Occidente è sempre colpevole. Oggi è diventato impossibile fare un discorso di appartenenza senza essere tacciato di etnocentrismo, di imperialismo culturale, se non di razzismo. Praticamente «tra gli intellettuali, politici, classi dirigenti si è imposto un relativismo culturale che condanna a priori qualsiasi gerarchia di organizzazione sociale, di costume, di valore». Ricordo sempre tanti anni fa quando una collega mi riprendeva a scuola perchè io sostenevo che gli Atzechi con i sacrifici umani non potessero essere considerati popoli civili. Siamo all’affermazione del multiculturalismo, dove le culture devono convivere, mescolarsi e integrarsi, senza che nessuna cultura prevalga. Anzi per la verità sottolinea Capozzi sono le altre culture a prevalere. Infatti in America viene messa in discussione la Dichiarazione dei Diritti dell’uomo del 1948, perchè espressione di una cultura occidentale e quindi secondo l’antropologo culturale statunitense Melville J. Herskovits, «non avrebbe dovuto applicarsi astrattamente all’intero genere umano, ma tenere conto delle diverse culture e rispettarne le differenze». Infatti l’ideologia correttista si rifà a questo antropologo che aveva criticato la dichiarazione.
Comunque sia secondo Capozzi la conversione della sinistra dal marxismo classico al terzomondismo e alla contestazione dei modelli occidentali era stata preparata da molto tempo; nel secondo dopoguerra veniva fatta propria dai vari fronti di liberazione di molti paesi. L’anticolonialismo era sempre presente nelle forze politiche della sinistra. Alla base di quell’idea c’era che le «culture dei popoli extraeuropei assoggettati erano depositari di un’«innocenza» originaria macchiata dai dominatori».
Capozzi descrive bene quegli anni della guerra in Vietnam, dei movimenti di protesta, delle rivolte pacifiste dei giovani americani ed europei. La protesta contro la guerra in Vietnam, offre al relativismo un ambiente ideale in cui svilupparsi. In quegli anni assume una importanza incisiva il brano musicale di John Lennon, Imagine, del 1971. Un brano semplice che esprime «in una forma universalmente comprensibile l’utopia di un mondo dal quale sarebbero state estirpate tutte le cause della violenza». Un brano che si è trasformato nell’inno ufficiale del pacifismo, e in uno dei monumenti del catechismo politicamente corretto, ancora oggi un valido collante emotivo propagandistico. Non sto qui a riferire i contenuti della canzone, mi limito solo a scrivere quali sono i mali che intende rimuovere: la religione, le nazioni, la proprietà. In pratica i fondamenti della modernità euro-occidentale.
L’ultimo stadio del multiculturalismo è un mondo di migranti. Secondo la vulgata multiculturalista, le politiche dei governi occidentali non avrebbero dovuto pretendere che i nuovi arrivati si omologassero al contesto politico e giuridico, l’obiettivo è quello di fare società globali aperte, fluide, fondate sulle contaminazioni.
Il 3° capitolo riguarda la rivoluzione sessuale in atto nelle nostre società. “Ogni desiderio è un diritto”.
Capozzi affronta i temi connessi alla libertà sessuale in tutte le sue forme. Negazione di ogni repressione o differimento della soddisfazione dei desideri. Chiunque in Occidente «riproponga la validità di una morale imperniata su autodisciplina e continenza viene messo in ridicolo, oltre che accusato di essere reazionario, nostalgico di un passato oscuro». Oppure come è capitato ai partecipanti al Congresso delle Famiglie di Verona viene classificato come medievale.
Nel capitolo Capozzi risponde alla domanda sul perché i temi legati alla sessualità sono diventati uno tra i pilastri del nuovo progressismo nel secondo Novecento.
Il testo fa una splendida sintesi degli avvenimenti che caratterizzarono il sessantotto. Soprattutto della controcultura di quei movimenti, dei gruppi, degli hippie e poi dei festival che hanno segnato la storia della musica pop: Monterrey, Woodstock. Ma fa anche i nomi dei gruppi musicali. In questo ambiente si prospettava una liberazione dai vincoli e un risveglio delle energie interiori, ritrovarsi insieme uniti non per norme etiche universali, tradizioni, leggi o istituzioni, ma da istinti, emozioni, desideri comuni. Vivere alla giornata. Il nuovo metro di giudizio del progresso sarà il piacere soggettivo. Si arriva alla rivoluzione sessuale attraverso “la politica del piacere”.
Naturalmente Capozzi fa i nomi dei vari filosofi, studiosi che hanno teorizzato questa emancipazione dell’uomo e della donna. La scuola di Francoforte con Eric Fromm, ma soprattutto con l’austriaco Wilhelm Reich, con la sua celebra opera, “La rivoluzione sessuale”. E poi Herbert Marcuse, che ha dato alla sessualità un sostegno filosofico criticando sistematicamente l’organizzazione sociale occidentale.
A poco a poco si pone l’attenzione sui gruppi più discriminati: le donne e i gay, i cultural studies influenzano il movimento femminista e quello dei diritti degli omosessuali. «contribuendo a diffondere l’identificazione di pratiche non legate alla stabilità familiare e riproduttiva con una sorta di proletariato della vita emotiva, istintuale, etica».
Con la seconda ondata del femminismo, la donna ha pieni poteri sulla vita. Le donne sono liberate dall’essere mogli e madri. Riconquistano la sovranità sul proprio corpo, demolendo le prigioni in cui erano relegate.
Nel 4° capitolo Capozzi affronta il tema dell’utopia dell’antiumanesimo ambientalista. Secondo i politicalcorrettisti, l’uomo non è necessario. Perchè l’uomo inquina, costruisce, distrugge. A poco a poco negli anni, la sensibilità ecologica viene trasformata in rivendicazione etico-politica e l’ambientalismo entra a pieno titolo tra i temi della sinistra. Pertanto per la“salvezza del pianeta”, si arriva a prescrivere una serie di precetti che investono non soltanto i comportamenti delle classi politiche ma anche quelli dei privati cittadini.
Le forme dell’ecologismo radicale concordano sul fatto che l’unico modo per garantire la salvaguardia dell’ambiente, è quello di ritornare per certi versi allo stadio precedente alla civilizzazione e allora contro l’imperialismo del genere umano, si propone veganesimo e antispecismo.
Infine il 5° e ultimo capitolo si occupa dell’autodeterminazione dell’essere umano. “Puoi essere quello che vuoi”. Per cambiare sesso basta una semplice attestazione di “sentirsi” maschio o femmina. Pertanto si possono avere diverse identità. L’uomo viene spogliato della sua essenza, viene ridotto a semplice hub di percezioni, emozioni, desideri. Il percorso giunge a un’umanità neutra, quella del Gender: essere quello che si vuole.
Domenico Bonvegna