Intervista a cura degli studenti della “School of Public Affairs and Administration (SPAA) della Rutgers
University di Newark (USA)”.
A Vincenzo Musacchio – certamente tra gli esperti di rango internazionale e tra gli studiosi che
più di tutti conosce il fenomeno mafioso, le sue evoluzioni e la sua estrema pericolosità per
averlo studiato, approfondito e trattato da oltre trent’anni – chiediamo: chi è Rocco Morabito?
È tra i dieci latitanti più pericolosi e tra i mafiosi ricercati è il più potente dopo Matteo Messina Denaro.
La sua storia familiare ci racconta che è figlio di Domenico Morabito e parente di un altro boss della
‘ndrangheta, Peppe “tira dritto” Morabito. Rocco è riuscito a costruire un impero criminale fondato
essenzialmente sul traffico di cocaina. Da solo era in grado di gestire un traffico di droga transnazionale
ed avere contatti diretti con i narco trafficanti dell’America Latina. È un boss di nuova generazione in
grado di gestire un patrimonio immenso fino a quando con l’inchiesta Fortaleza (nome preso dalla
località del Brasile snodo dei traffici di Morabito) fuggì dal nostro Paese per rifugiarsi all’estero. Adesso
Rocco Morabito è accusato di associazione di tipo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al
traffico di sostanze stupefacenti ed altri gravi reati. Rischia trent’anni di reclusione.
Che significato ha questo arresto in termini di lotta alle mafie?
Da esperto dico che è la prova di come la cooperazione internazionale funzioni e sia quanto mai
necessaria nella lotta alle nuove mafie. Non è un caso che la cattura sia stata possibile proprio grazie a
un’operazione congiunta dei Carabinieri del Ros e del Servizio di Cooperazione internazionale di polizia,
con la collaborazione di Dea, Fbi e Dipartimento di giustizia americano. Quello che predico da anni oggi
trova riscontro oggettivo e non più solo scientifico.
Cosa significa per gli italiani questa vittoria dello Stato? Ha un suo valore?
Certamente sì. Quando lo Stato e le sue migliori forze si impegnano i risultati non tardano a venire. Non
deve mai prevalere la rassegnazione, bensì la consapevolezza che la mafia si può sconfiggere e oggi
c’è stata la prova. Lo Stato, se solo lo volesse, può farcela. Per riuscirci deve creare nuove sinergie a
livello transnazionale. A questo proposito, non dimentichiamo il supporto a Stati, come il Canada,
l’Australia, la Nuova Zelanda che in questi ultimi anni stanno vivendo l’esperienza del fenomeno mafioso.
Solo con la collaborazione internazionale e con l’esperienza italiana si può dare nuova linfa alla lotta
contro le nuove mafie.
Per i calabresi invece che significato ha questo arresto?
Sicuramente è un duro colpo alla ‘ndrangheta, ma non illudiamoci poiché “morto un Papa se ne elegge
subito un altro”. Le mafie moderne si rigenerano in fretta e senza più lotte intestine. Sono certo tuttavia
che la maggior parte dei calabresi onesti, seri e lavoratori sono felici e sono vicini alle Istituzioni e
sperano presto di potersi liberare definitivamente del loro cancro che si chiama ‘ndrangheta.
Possiamo chiudere con un suo messaggio personale?
Quello più ovvio. Si rafforzi al massimo la cooperazione giudiziaria internazionale e di polizia e diventi
regola e non eccezione, poiché è alla base di questa successo investigativo e lo sarà in futuro anche di
tanti altri.
Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale, è associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di
Newark (USA). E’ ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute
di Londra. E’ stato allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.