E ’ il gran ritorno dei Btp-People. Un record dopo l’altro, una vera e propria corsa all’acquisto. Le famiglie italiane sono tornate a investire in massa sul titolo italiano, smentendo le Cassandre di turno che continuano a raccontare un Paese in piena crisi di reputazione e credibilità. Certo, dietro il boom degli ordini del Btp-Valore c’è sicuramente l’effetto inflazione e la scarsa remunerazione dei depositi e dei conti correnti da parte delle banche. Ma forse c’è anche qualcosa in più, la sensazione di un’economia che ha fondamentali più solidi rispetto alla vulgata corrente e che spesso ignora anche la realtà dei numeri e delle statistiche.
Basta guardare, ad esempio, alla crescita del Pil reale che, anche quest’anno, nonostante la frenata dell’ultima parte del 2023, continua a crescere ad un ritmo doppio rispetto ai vicini della Germania e con qualche decimale in più rispetto alla media europea. Nonostante il superamento della Corea del Sud come esportatore, l’industria italiana, esclusi i mezzi di trasporto, è il
quarto esportatore mondiale. Mentre la produttività in molti settori, sempre escludendo le quattro ruote, supera quella tedesca. Ma il dato più interessante è quello relativo alla crescita di
posti di lavoro, con circa 500mila posti in più in anno e un trend che non ha eguali da quando l’Istat ha cominciato a mettere in fila le statistiche sull’occupazione.
Se gli italiani lavorano di più cresce anche la ricchezza e ci sono più soldi in tasca per i consumi che, non a caso, sono tornati a crescere insieme con l’indice di fiducia dei consumatori. Insom-
ma, tutti elementi che hanno spinto la premier e il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, a stimolare il risparmio domestico per mettere nelle mani italiane il maggior stock possibile di debito pubblico, che resta fra i più alti del mondo occidentale, il secondo (percentualmente) in Europa dopo la Grecia.
Negli ultimi due anni, infatti, la quota di titoli di Stato acquistati dai piccoli risparmiatori ha registrato una vistosa accelerazione: a dicembre 2021, con il debito che aveva toccato i 2.572 miliardi, il mercato retail aveva il 6,4% delle obbligazioni emesse dal Tesoro in circolazione, vale a dire 685 miliardi su 2.234 miliardi complessivi di titoli. A fine 2022, secondo un dossier della Federazione Autonoma dei Bancari Italiani, con il debito che aveva toccato i 2.757 miliardi, un primo scatto: la percentuale di titoli statali in mano alle famiglie era salita all’8,7% (199 miliardi su 2.280 miliardi di titoli).
Ma è nei primi 10 mesi dello scorso anno che, tra Btp Italia e Btp Valore, la corsa le famiglie a comprare debito pubblico si è fatta più insistente: a ottobre (ultimo dato disponibile, quando il
debito era arrivato a 2.867 miliardi), le famiglie avevano il 13,5% di Bot e Btp, cioè 322 miliardi sui 2.389 miliardi totali di emissioni statali.
Un buon trend se si considera che nel 2024 l’Italia dovrà rinnovare circa 400 miliardi di debito pubblico. Su 2.364,6 miliardi di euro in titoli in circolazione complessivamente, nell’anno appena cominciato scadono 383,9 miliardi.
Insomma, quello che sta avvenendo sul fronte dei titoli pubblici rappresenta il segnale più evidente della realtà di un Paese che, dopo trent’anni, ha un’economia che è passata da essere sempre nei vagoni di coda a diventare una delle due o tre locomotive sopravvissute ad un’Europa che deve affrontare la più grave crisi strutturale di competitività dal dopoguerra. Con un ulteriore elemento da non sottovalutare, quello del Pnrr. Il 2024 dovrebbe essere l’anno dell’accelerazione dei cantieri e quindi degli investimenti pubblici che potrebbero compensare la frenata di quelli privati. Anche per questo la partita dei fondi europei diventa ancora più decisiva.