Punto primo. Nessun atto è stato compiuto da Matteo Salvini in quei cinque drammatici giorni di luglio per trarre vantaggio o lucrare politicamente dalla vicenda dei 131 immigrati a bordo del pattugliatore della Guardia Costiera Gregoretti. Tutte le decisioni sono state adottate nella sua qualità e nei suoi poteri di ministro dell’Interno. Punto secondo. Delle sue determinazioni in tal senso sono stati sempre tenuti al corrente il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e i ministri competenti. A conferma, ed è il terzo punto, ci sarebbe il fatto che pur essendo di dominio pubblico lo stallo della nave al largo di Catania e poi di Augusta, non è giunto alcun ordine in direzione opposta da parte di Palazzo Chigi. Per difendersi Matteo Salvini proverà a trascinare con sé il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e l’intero governo gialloverde, primo fra tutti Luigi Di Maio che era vicepremier come lui. E lo farà con la memoria sul “caso Gregoretti” depositata questa mattina alla giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato. La richiesta di autorizzazione a procedere avanzata dal Tribunale dei Ministri di Catania per sequestro di persona sarà discussa già a partire da mercoledì 8, in vista del voto finale del 20 gennaio da parte dell’organismo presieduto da Maurizio Gasparri. Durante il comizio di ieri a Bormio il leader della Lega è tornato a battere sul tasto della propaganda di quando era al Viminale: «Mi sento Silvio Pellico, “Le mie prigioni”. Rischio fino a 15 anni di carcere perché ho bloccato degli immigrati e difeso íl mio Paese. Ma che memorie difensive vuoi produrre? Lo Stato è come casa mia, devi usare il campanello, se non hai il permesso di entrarci ti rimetto sul barchino e ti rispedisco a casa tua».