“Ti aiuto a sopravvivere, ma solo se accetti di morire”. E’ questo il senso, tragicamente paradossale, del diktat che la Mitteleuropa a trazione tedesca ha lanciato alla Grecia. Un paese senza altre risorse che filosofia, poesia e teatro. E un po’ di formaggi e yogurth, un paio di liquori, un porto sul Mediterraneo (già opzionato dai cinesi), e tanto turismo.
Mettiamola così. Se i ministri attuali ellenici sono “incompetenti”; se il governo greco fa il furbo perché così è abituato; se il Paese vive al di sopra dei suoi pezzi per pagare laute baby pensioni: allora ha ragione chi auspica una vittoria del SI al referendum, all’esito del quale ormai manca qualche ora.
Ma stiamo ai fatti.
Vada come vada, il referendum è stato indetto non sull’euro o sull’Unione europea, ma su un piano di salvataggio che viene ritenuto un insostenibile bagno di sangue, è a questa istanza che dobbiamo attenerci.
Perché ogni altra considerazione (tipo “ci vogliono gli Stati Uniti d’Europa”; oppure “ci vuole l’unità politica europea, oltre alla moneta unica”; oppure “ci vuole una Banca centrale che punti alla crescita”), oltre a sembrare un lancio della palla fuori dal campo, mette il sospetto che si vogliano accampare attenuanti e pretesti a favore di chi, tra Bruxelles e Berlino, afferma senza pudore: Vi salviamo, ma solo se al referendum votate come diciamo noi…
SALVATAGGIO QUANDO?
Ma la domanda vera è un’altra. Può il popolo greco sopportare un nuovo draconiano piano di austerità pur di “salvare il salvabile”? Può mettersi in attesa degli effetti benefici delle riforme, che se ci saranno arriveranno nel medio periodo? Può sopravvivere attaccato alle flebo e alle bombole di ossigeno?
Un documento che riassuma per bene i punti del piano di “salvataggio” proposto dall’euro gruppo l’abbiamo cercato in Internet. Senza successo. Magari perché non siamo bravi a spulciare.
Abbiamo però trovato una nota di Wikipedia sulla “crisi economica della Grecia” molto istruttivo. Come siamo arrivati dove siamo arrivati?
IL CALVARIO DI ATENE
– Il primo pacchetto di aiuti europei alla Grecia risale al maggio 2010: 110 miliardi di euro in 3 anni. Nel 2011 le agenzie di rating Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch tagliano ulteriormente il rating della Grecia, cosa che costringe il governo ad effettuare nuovi tagli per 6,5 miliardi di euro e nuove privatizzazioni.
– La crisi ha riverbero anche sulla situazione occupazionale del paese, con un tasso di disoccupazione che a febbraio 2011 raggiunge il 15,9%.
– Dopo l’approvazione da parte del parlamento greco di un nuovo piano di austerità che imporrà al paese ellenico tagli per ben 28 miliardi di euro entro il 2015, l’Unione europea dà il via libera alle ulteriori tranche di aiuti per tutto il 2011.
– Il 25 luglio 2011 Moody’s taglia il rating greco di altri tre livelli portandolo da Caa1 a Ca, dando per certo il default della nazione.
– Nel settembre 2011 il governo greco vara un’ulteriore manovra tassando gli immobili allo scopo di recuperare 2,5 miliardi di euro utili a raggiungere un’ulteriore tranche di aiuti pari a 8 miliardi di euro
– La finanziaria sull’immobile non basta e il giorno 21 dello stesso mese il governo ellenico si vede costretto a formulare una drammatica manovra che prevede un ulteriore taglio alle pensioni, la messa in mobilità di 30.000 dipendenti statali già dal 2011 e il prolungamento della precedente tassa sugli immobili fino al 2014.
– Viene istituita la cosiddetta “troika“, formata da FMI, BCE ed UE, e grazie al suo verdetto sulla situazione della Grecia riesce a convincere la Germania ad attivare il fondo salva-stati, che garantisce alla Grecia ulteriore ossigeno economico.
– Nel frattempo il paese torna a vivere il fenomeno migratorio del dopoguerra verso altri continenti, in particolare il flusso caratterizza laureati greci che cercano opportunità prevalentemente in Australia, ma anche in Russia, Iran e Cina.
– Ad inizio 2012 l’agenzia Fitch dà per certo il default della Grecia e la Germania, paese maggiormente esposto verso il debito greco, si vede respingere la proposta di trasferire la sovranità nazionale del paese ellenico a Bruxelles.
– In febbraio 2012 la crisi si accentua ed il default sembra concretizzarsi, in quanto subito non si trovano accordi tra i partiti politici del paese per attuare nuovi tagli alla spesa pubblica che garantirebbero un aiuto economico da parte della Troika di 130 miliardi di euro, necessari per rimborsare i bond in scadenza a marzo per quasi 15 miliardi di euro.
– In quel periodo si discusse di tagliare altri 15.000 dipendenti pubblici.
– Nella notte fra il 20 e il 21 febbraio a Bruxelles l’Eurogruppo ha approvato la tranche di aiuti per la Grecia di 130 miliardi, rimandando quindi il default della penisola ellenica di qualche tempo.
– A marzo si verifica il tanto temuto haircut del debito: i detentori privati di titoli di stato greci si sono vistiristrutturare il debito riducendo il valore nominale di più del 50% e allungando la scadenza.
– Nel frattempo Standard and Poor’s rivede nuovamente in ribasso il rating greco, portandolo alla valutazione “SD”, ovvero di default selettivo, l’ultimo passo prima del default vero e proprio.
– Dopo diversi anni di recessione, nel 3º trimestre del 2014 l’economia greca torna a crescere dello 0,7% sul Pil
– In seguito alle elezioni del 25 gennaio 2015, Alexis Tsipras, capo del partito SYRIZA, viene eletto nuovo capo del governo con il 36,34% dei voti e 149 seggi.
– Tsipras, incaricato di negoziare con la BCE, il FMI e la CE il pagamento del debito greco, fallisce nell’intento, in quanto le condizioni imposte dai creditori sono definite “umilianti” per il popolo greco e porterebbero ad una “nuova crisi depressiva” l’economia del paese, in quanto fondate sui tagli e sull’austerity .
– A fine giugno 2015, con un discorso alla nazione in cui cita Roosevelt, Tsdipras decide di indire un referendum per il 5 luglio 2015, sul quale gli elettori saranno chiamati ad accettare o rifiutare le proposte di ristrutturazione del debito fornite dai creditori .
LO SGUARDO BREVE DI BRUXELLES
Un’Europa che marci al passo di falange nell’annessione di mercati e di intere economie da sottomettere al “virtuosismo” dei bilanci in pareggio non è solo un’Europa egoista. E’ peggio.
E’ un’Europa cieca e sorda e che vuole andare a sbattere.
Difendere questa Europa è consegnare i popoli alle destre nazionaliste ed euroscettiche.
La sinistra dovrebbe porsi il tema della crescita e della prosperità, su qualsiasi tavolo e sotto qualsiasi latitudine.
Del resto, per questo gli italiani si sono fatti mettere le mani in tasca (nei conti correnti) negli anni Novanta, pur di entrare a testa alta in Eurolandia.
Poi la testa evidentemente l’abbiamo abbassata.
Se qualcuno ora prova a rimette la schiena dritta, alla periferia dell’Impero, forse merita un sostegno convinto. A prescindere. Perché è da qui che bisogna ripartire.
Mettere le economie in ginocchio dopo averle succhiate fino al midollo spinale, è una politica che appartiene al colonialismo del ventesimo secolo. Non a una Europa che abbia una visione accettabile (nei principi) ed efficace (nei risultati) per il futuro.