Il disastro del Sud? Dipende dal Sud? Nel senso che è colpa dei meridionali. Si sono scelti una classe dirigente indegna? Ora ne pagano le conseguenze. E’ questa, in breve, la linea scelta da alcuni giornali italiani (o del Nord?) per respingere al mittente la requisitoria di Svimez sul Mezzogiorno che sta peggio della Grecia.
Sarebbe ora di finirla con questo gioco del bastian contrario. Perché al presunto piagnisteo di Svimez sul divario Nord-Sud che non finisce mai (ma a cui ha dato credito di recente, è bene non dimenticarlo, persino una testata come The Economist), segue ormai con metodica precisione una reazione uguale e contraria che suona così: è colpa vostra, lavatevi i panni sporchi in famiglia. A un presunto piagnisteo sul Sud abbandonato, quindi, si oppone un contro-piagnisteo (del Nord) teso a rilanciare la palla nel campo dell’avversario: sempre che il Mezzogiorno sia un avversario davvero.
Di Domenico Cacopardo, per esempio, si sa poco e niente. Salvo che nacque a Taormina. E questo particolare anagrafico lo rende sufficientemente accreditato per dargli spazio e titolo roboante su Italia Oggi, il 13 agosto scorso. Cacopardo rielabora (ma mica tanto) il motivetto che piace tanto alla Lega dei tempi peggiori. Non quella 2.0 di Salvini, che si affaccia sempre più spesso al Sud col capo cosparso di cenere, ma quella versione mesozoico di Umberto Bossi e Borghezio, che coltivava il sogno di secessione salvifica sotto il belletto del federalismo.
Cacopardo suona la solita solfa, ma è siciliano e quindi può permettersi di scrivere quanto segue:
“Ripeto, c’è una ragione accettabile perché il pensionato di Lodi veda parte delle tasse, trattenute dalla sua pensione, finire nelle mani, per esempio, di Crocetta che le disperderà in mille rivoli, compreso il carnevale del mio medesimo paese?”.
La meraviglia fa 72 ed è il numero che andava giocato nella prima estrazione utile dopo la pubblicazione del pezzo, che continua con altre amenità su cui sorvoliamo. La meraviglia, appunto, è che chiacchiere da bar fermentate in molti calici di bianchetto trovino posto in un giornale serio come quello diretto da Pierluigi Magnaschi.
Il ragionamento di Cacopardo non sta sulle gambe, nemmeno a tenerlo su con i puntelli, Proviamo infatti a fare la prova del contrario:
“Ripeto, c’è una ragione accettabile perché il pensionato di Noto (o Acerra, o Barletta o Trani) veda parte delle tasse, trattenute sulla sua pensione, finire nelle mani, per esempio, di Galan (o di Formigoni, o dell’ex sindaco di Venezia), per prendere poi la strada del rifornimento del gigantesco sistema corruttivo che ha portato allo scandalo del Mose o dell’Expo…?”.
Ma per dimostrare che non ha la mortadella sugli occhi, e non è animato da livore verso la terra sua d’origine, Cacopardo riferisce di un caso “anomalo”: una iniziativa che “stranamente” ha funzionato alla perfezione. Sì, proprio in Sicilia.
Parla dell’aeroporto di Cosimo, realizzato nei tempi giusti sotto la guida antimafia di un garante come il giudice Severino Santiapichi. L’aeroporto Pio la Torre “oggi magnificamente funziona”. A dimostrazione che anche in Sicilia….
Ma anche questo è, sia detto senza offesa, un ragionamento del piffero. Infatti frana alla prova del contrario. Proviamo?
Anche l’Expo di Milano ha avuto bisogno di un garante per poter tagliare il nastro in modo degno, cioè senza strascichi giudiziari irriferibili, nocivi per il buon nome dell’Italia. E c’è riuscito per il rotto della cuffia, grazie al napoletanissimo giudice Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità anticorruzione….
Morale della favola. Se il Sud è nei guai, dipende in buona parte dai meridionali, certo. Ma solo un cieco (o uno che ha alzato troppo il gomito) non vedrebbe che anche il Nord non se la passa tanto meglio. Lo stesso Luca Ricolfi, che non è certo un incallito meridionalista, lo ha ribadito in passato:
“… c’è un punto fondamentale su cui, contrariamente a quanto si crede, il Nord non è affatto in vantaggio sul Sud. Questo punto è la crescita: dal 1995 a oggi il prodotto interno lordo (Pil) del Nord non è affatto cresciuto più di quello del Sud, e in termini pro capite è cresciuto decisamente di meno. E questo è vero non solo per gli anni della crisi (dopo il 2007), ma per il lungo periodo che va dalla fine delle svalutazioni della lira (1995) all’ultimo anno pre-crisi (2007). In quel dodicennio il Pil pro capite del Sud è cresciuto a un tasso medio dell’1,4%, quello del Nord a un tasso compreso fra lo 0,7% e lo 0,8%, dunque circa la metà di quello del Mezzogiorno» (La Stampa, 18/4/2011).
Si può quindi concludere: è l’Italia nel suo insieme che non va. Quando ce ne renderemo conto, da Comiso a Seveso a Treviso, sarà sempre troppo tardi.