Parla Osvaldo Cammarota
Venerdì 29 aprile, ore 17. Il Circolo Ilva Bagnoli ospita una iniziativa alquanto singolare. Si tratta di “La Musica fattore di comunità. Il valore della musica per la convivenza civile, la pace e la fratellanza tra i popoli.” Vi partecipa Marco Zurzolo e la sua band di artisti chiamati a conversare con Gino Aveta, autore televisivo, Enzo V. Alliegro antropologo della Federico II Napoli e Stefano De Stefano, critico jazz del Corriere della Sera. E’ il terzo appuntamento dedicato al tema della coesione e sviluppo, argomenti di cui lo storico Circolo, oggi punto di riferimento del quartiere, è secondo Osvaldo Cammarota, promotore dell’incontro, un emblema. Ed è con lui che Ilsudonline.it ha realizzato l’intervista che segue.
Da anni lei è impegnato nello studio dei fenomeni checoncretizzano capitale sociale, ossia l’intreccio tra coesione e sviluppo. Ma cosa c’entra in tutto ciò la musica?
C’entra e come. Se coltiviamo l’idea che la musica sia innanzitutto un bene immateriale intorno al quale si materializzano cultura, socialità e attività economiche che producono benefici per le comunità.
Bene immateriale. Un concetto che torna spesso nelle sue riflessioni. Vuole provare a spiegarlo?
I suoni non si toccano. Eppure accendono passioni, emozioni, sentimenti che muovono milioni di persone. Ben oltre i confini degli Stati e le diversità di razza, sesso, religione e culture. Sono una forma di comunicazione potente, anche se certo non lo sono abbastanza da superare i conflitti.
La musica sempre e dappertutto. Risuona sugli scenari di guerra, nelle prime fasi della pandemia…
Si, direi che si può definire come risposta corale alle avversità. Attraverso la musica si esprime una “pulsione alla comunità”, che unisce le persone su interessi, bisogni e desideri comuni. Abbiamo tutti qualcosa da imparare dalla musica. Del resto il valore aggiunto di ogni cosa nasce dalla combinazione delle diversità.
Da operatore di coesione e sviluppo che cosa ti suggerisce la musica. Che cosa ti ha insegnato?
Ho spesso associato due parole della musica – complesso econcerto – ai concetti di complessità e concertazione, che fanno parte del vocabolario di chi come me si occupa di questi temi. Più nel merito, la complessità è condizione di partenza, la concertazione è l’opera da svolgere per creare armonia, che è elemento cardine del linguaggio musicale. un unico sostantivo che descrive la qualità della musica e del vivere in pace, nelle e tra le comunità.
Mi pare che siamo al nocciolo della iniziativa del 29 aprile. Può approfondire questo aspetto?
La complessità è caratteristica del nostro tempo. Il territorio e la società sono come un complesso musicale, composto da elementi e fattori diversi, spesso contrastanti, come tamburi e al violino. Solo l’opera di concertazione riesce a combinarli insieme.
In effetti, senza concertazione, avremmo solo rumori sgradevoli …
Si, proprio così. Come accade nella società quando i “suoni” del dialogo, del rispetto dell’altro da sé e del confronto civile, sono soverchiati dal fragore dei conflitti. I conflitti sono preziosi per il progresso ma vanno trattati, diversamente prevale il rumore delle armi.
Non può sembrare esagerato paragonare i conflitti sociali ai conflitti armati.
Non direi, è questione di dimensioni. I conflitti li registriamo dallivello minimo – nelle famiglie, nei condomini, nei quartieri – fino alla dimensione globale, vale a dire tra Stati e “religioni”,confessionali o economiche che siano. Le dinamiche sono le stesse, nella piccola dimensione come nella grande.
In definitiva l’unico modo per trattare i conflitti è la concertazione?
Credo di si. E’ un metodo moderno e per trattare i conflitti. In mancanza registriamo effetti dannosi per l’umanità, anche qui, nel microcosmo di Bagnoli.
Altro accostamento che può sembrare azzardato …
Non mi pare. Ho già scritto in altre occasioni sui danni derivanti dalla disarmonia tra decisori pubblici e comunità locali. L’esempio di Bagnoli è un caso di scuola. E quindi: proviamo a trarre qualche insegnamento dalla musica.