Ricordate il Ventre di Napoli di Matilde Serao? Tutto nasce nel 1884, con il drammatico colera che colpisce Napoli. Nella città si addensano 61 000 abitanti per chilometro quadrato ma in alcune zone l’indice sale a 100mila abitanti che vivono stipati in poco piú di 30 000 vani, il che praticamente significa che almeno cinque persone dormono nell’unica stanza da letto. Alla stessa data, i fondaci – vicoli ciechi e cortili chiusi – sono 106: secondo la icastica definizione di Salvatore Di Giacomo, sono altrettanto scarrafunere, ossia tane di scarafaggi, covi luridi e brulicanti di uomini-blatte, privi di fognature, di impianti igienici e di acqua potabile, per non parlare dell’aria pura. Su quasi 12 000 pozzi, oltre 7000 risulteranno infetti o sospetti di inquinamento. In queste condizioni il colera si abbatte sulla città. L’epidemia scoppia a fine agosto in tutta la sua violenza, divampando dal 7 all’11 settembre in città e in provincia. In città c’è Stanislao Mancini, il ministro degli Esteri del governo allora guidato da Agostino De Pretis, che decide di non lasciare la città. Il 13 settembre arriva a Napoli anche il re, Umberto I, che per una volta perde la sua alterigia militare e segue l’evolversi della situazione sul campo. Quando gli illustri ospiti sono condotti agli Orefici, dinanzi al fondaco Marramarra e al cupo vico Lamie, il «venerando» presidente Depretis ne rimane talmente scosso da esclamare che «bisogna sventrare Napoli».
È una frase che fa subito il giro d’Italia. Matilde Serao segue da lontano, il «cuore da napoletana» tormentato da una schietta angoscia, le notizie del colera. Vive da due anni a Roma, dove ha appena conosciuto Scarfoglio, ed è già celebre in tutto il paese per le novelle, i primi romanzi, l’attività giornalistica sulle colonne del «Capitan Fracassa». Le parole di Depretis la colpiscono vivamente, suggerendole il primo di una serie di vigorosi articoli che saranno raccolti sotto il titolo Il ventre di Napoli. L’incipit è maestoso. La frase di Depretis non la commuove e non la persuade, perché egli è il governo e «il governo deve sapere tutto», non può pretendere di scoprire all’improvviso la situazione della città, quando dispone della piú ampia documentazione sulle condizioni reali dei suoi abitanti, sul numero dei mendicanti e dei vagabondi, delle prostitute e dei loro protettori, dei moltissimi nullatenenti e dei pochi «commercianti»; sugli introiti del dazio, della fondiaria, del monte di pietà, del lotto. Se questa documentazione è imprecisa o incompleta, a che serve l’enorme e dispendioso ingranaggio burocratico? a che servono i ministeri?
L’atto di accusa
L’atto di accusa di Matilde Serao – scriverà Antonio Ghirelli nella sua storia di Napoli – contro le autorità si stempera, secondo il temperamento della donna e della scrittrice, nella descrizione di tutte le atrocità e le miserie che gonfiano orrendamente il «ventre» di Napoli (questa tematica dell’esplorazione del «ventre» ci viene «anche essa d’oltralpe», cioè dalla Francia). La scrittrice difende con passione non soltanto le qualità dei suoi concittadini – pietà e gentilezza anzitutto, allegria e musicalità – ma anche i loro difetti: la superstizione quasi pagana, il vizio del gioco, le consuetudini pittoresche. Il nocciolo degli articoli, comunque, sta nella netta affermazione che sventrare la città non basta, non basta aprire tre o quattro grandi strade attraverso i quartieri popolari per salvarli. Non basta sventrare Napoli per distruggere la corruzione materiale e quella morale, per restituire la salute e la coscienza alla povera gente, per insegnarle a vivere: bisogna «quasi tutta rifarla».
Si muove il governo
La legge sul Risanamento
La prima idea di un provvedimento straordinario per Napoli è del ministro degli Esteri, Stanislao Mancini. Ma Depretis traccheggia. Teme che dietro l’attivismo del ministro ci siano interessi elettorali. Il presidente del Consiglio convoca a Stradella il ministro delle finanze Magliani ed altri esperti ministeriali, per arrivare alla discutibile conclusione che bisogna contenere l’intervento nei limiti del «piú stretto e urgente bisogno», alla stregua di un qualsiasi provvedimento di ordinaria amministrazione e sempre nella logica puramente contabile del bilancio statale. Anche la cifra di cui si sarebbe parlato a Stradella, e cioè uno stanziamento di 30 milioni, appare inadeguata. Secondo Magliani, che pure è notoriamente un ministro delle finanze tutt’altro che austero, governo e Banco di Napoli dovrebbero sovvenzionare esclusivamente i lavori di bonifica dei vecchi quartieri, lasciando ad una «poderosa società» il compito di creare quelli nuovi in cui trasferire la popolazione sfollata, ed incentivando l’impresa con la concessione gratuita dei suoli comunali e demaniali, piú l’esenzione decennale dell’imposta sui fabbricati.
A fine novembre Depretis presenta alla Camera il disegno di legge. Non meno serrati sono i tempi della discussione in Parlamento, sulla base di una relazione che Rocco De Zerbi prepara per conto della commissione Nicotera. A Montecitorio, il dibattito dura soltanto tre giorni, in un clima patetico che il presidente del Consiglio sottolinea tributando un clamoroso omaggio al duca di Sandonato, attualmente schierato sui banchi dell’opposizione al governo, per i suoi meriti nel «bonificamento» di Napoli. Il 21 dicembre, il disegno di legge passa nella sua stesura definitiva con 259 voti favorevoli contro 145. Al Senato, Brioschi e Pasquale Villari conducono una polemica piú vivace, senza riuscire tuttavia ad impedire che il provvedimento sia approvato con 96 sí contro 21 no. Finalmente il 15 gennaio 1885, la «legge per il Risanamento della città di Napoli», numero 2892, diventa esecutiva. Il testo non si riferisce ad alcun piano specifico di opere, ma delega al municipio il compito di definirlo entro trenta giorni e prevede che il governo debba pronunciarsi nel merito entro tre mesi, anche se in realtà i lavori cominceranno soltanto quattro anni dopo.