Antonio Troise

Dalle pensioni minime all’Irpef: sono tanti i capitoli, cari anche ai partiti della maggioranza, a non aver trovato posto nella versione definitiva della manovra economica. Tutta colpa delle nuove regole del bilancio europeo, con l’obbligo, sia pure spalmato su sette anni, di riportare debito e deficit su traiettorie discendenti. Ma anche della volontà del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, di non deragliare sulla rotta del rigore e del risanamento, anche per evitare brutte sorprese sui mercati. Così, i partiti hanno dovuto masticare amaro e ingoiare il rospo di una legge di Bilancio che ha tradito molte delle promesse fatte durante la campagna elettorale.

I più delusi sono, sicuramente, gli esponenti di Forza Italia. Si sono impegnati a portare le pensioni minime, entro la fine della legislatura, a mille euro al mese. Nel 2025 si dovranno accontentare di un ritocco minimo, poco meno di 4 euro, una cifra che ha portato l’assegno dell’Inps poco sopra 673 euro al mese, molto lontano dal traguardo che sognano gli azzurri (e, ovviamente, i pensionati). Gli esponenti del partito di Tajani hanno dovuto riporre nel cassetto anche l’altra bandierina, quella del taglio delle tasse per il ceto medio. Avrebbero voluto portare l’aliquota intermedia giù di due punti, dal 33 al 35% e, contemporaneamente,  alzare lo scaglione da 50 a 60mila euro di reddito. Ma le speranze di ridurre le imposte già dal 2025 si sono infrante sul flop del concordato preventivo biennale, che ha portato nelle casse dello Stato appena 1,6 miliardi, un terzo della cifra necessaria per la nuova rimodulazione dell’Irpef.

Sul taglio delle tasse e, in particolare, sull’estensione della Flat tax, aveva puntato anche la Lega. Chiedendo di alzare da 85 fino a 100mila euro la soglia di fatturato per le partite Iva che potevano optare per una tassazione ridotta. Niente da fare. Così come sono caduti nel vuoto gli appelli del carroccio per attenuare le regole troppo stringenti di quota 103 e fare qualche passettino in avanti sulla strada di quota 41 per tutti. Sfumata anche l’ipotesi di una nuova finestra di silenzio-assenso di sei mesi per portare ilTtfr nei Fondi pensioni, la cosiddetta terza gamba del nostro sistema previdenziale. Stesso copione anche per un altro dei cavalli di battaglia di Salvini: la riduzione del canone Rai da 90 a 70 euro. Tutto rimandato a tempi migliori, quando i saldi di bilancio lo consentiranno. Ma il leader del Carroccio non ha perso le speranze: “Aumentare la flat tax e azzerare la Fornero è un obiettivo di questo governo, come azzerare il test di ingresso a medicina. Siamo ancora a meno di metà della legislatura”, ha scritto ieri su X.

Bilancio tutto sommato magro anche per Fdi, il partito di Giorgia Meloni, che avrebbe voluto dare qualche soldo in più nelle tasche delle famiglie numerose e favorire la natalità, grande emergenza del Paese. L’arrivo anche in Italia del Quoziente famigliare, cioè di un sistema fiscale che tenga conto anche della composizione del nucleo familiare, è per ora stato accantonato perchè troppo costoso.

Sull’altro fronte, quello dell’opposizione, la bocciatura della manovra è praticamente totale. Il Pd punta l’indice soprattutti sui tagli per la sanità e la scuola oltre che sul metodo seguito dal governo per il varo della legge di Bilancio, che ha di fatto tagliato fuori dall’esame un ramo del Parlamento, quello del Senato. “Il governo, con il silenzio complice della maggioranza, ha tolto dignità al Parlamento. La destra ha cancellato risorse destinate alla sanità, alla scuola, precarizza il lavoro e svende le infrastrutture ai privati, a partire dal multi-miliardario Elon Musk”, tuona Francesco Boccia. No anche all’appello del presidente della Commissione Sanità del Senato, Francesco Zaffini, su un patto bipartisan per rilanciare la Sanità. “Si appelli alla Meloni”, taglia corto il capogruppo dell’Alleanza Verdi e Sinistra Peppe De Cristofaro, presidente del gruppo Misto di palazzo Madama.

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