Di Eleonora Diquattro
Siamo consapevoli che se il linguaggio cambia di medium da corpo, a carta, a elettroni, cambiano corpo, mente e sé? Veniamo tracciati e catalogati, poi seguiti e guidati nelle nostre scelte e fra poco, come in Cina, spiati, valutati e forzati ad adottare comportamenti prescritti. La nostra responsabilità sparisce perché sparisce l’opzione di scegliere? Noi stessi siamo invasi di algoritmi pensiamo di essere ancora umani come prima? La felicità urbana è un concetto di speranza. Nel tempo della fase elettrica della grande avventura del linguaggio, viviamo in città consumante da un sentimento di abbandono, rancore e tristezza, cosa possiamo fare per provare a stimolare un senso di comunità e di appartenenza?
E’ stato questo il focus dell’incontro con il sociologo e guru delle nuove tecnologie Derrick de Kerckhove, erede intellettuale di Marshall McLuhan, considerato uno dei massimi esperti internazionali sui mezzi di comunicazione di massa e della tecnologia digitale. Sue la teoria sulla “psicotecnologia”, ovvero il modo con cui le nuove tecnologie trasformano il nostro modo di pensare e di sentire, a quello di “inconscio digitale”, cioè la possibilità di estrarre da archivi digitali dati che riguardano la nostra persona ma anche presto, riguarderanno i nostri pensieri e le nostre emozioni. Padre inoltre, della definizione di “Intelligenza connettiva” che segue quella di intelligenza collettiva di Levy: cioè la conseguenza dell’estensione dell’esperienza individuale che, utilizzando la rete, porta a una socializzazione di pensieri ed emozioni.
Erede intellettuale di Marshall McLuhan, considerato uno dei massimi esperti internazionali sui mezzi di comunicazione di massa e della tecnologia digitale
Undici anni fa quando ti intervistai la prima volta, eravamo a Roma al Von Europe – Video On The Net conference 2007, evento dedicato alla riflessione sui new media e al mercato tecnologico, e tu dicesti convinto ai professionisti in sala; “Siamo qui perché crediamo nella Lunga Coda”. Oggi alla stessa sala, cosa diresti?
”Siamo qui perché crediamo all’Intelligenza Artificiale”. Undici anni fa’ nessuno ne parlava. Era più o meno considerata come una direzione sbagliata e incerta della ricerca. Oggi, con l’aiuto dei Big Data e la sofisticazione crescente delle tecniche di Analytics, l’I.A. è dappertutto, portando promesse e minacce. Per esempio, parlando del mercato, Analytics permette un mercato di alta precisione spazio-tempo-valore. Permette di conoscere al meglio cosa produrre e dove portare il prodotto o servizio. Il problema è che l’effetto ‘lunga coda’ ormai è minacciato dall’annullamento della “Net Neutrality” deciso dalla FCC con il sostegno dall’amministrazione Trump, misura che minaccia di escludere i piccoli dal profitto dei grandi.
In quale fase stiamo vivendo della “grande avventura del linguaggio”?
La fase elettrica. Chiamo “grande avventura del linguaggio” i rapporti fondamentali che le tecnologie di comunicazione intrattengono con il linguaggio. Ogni volta che il linguaggio cambia di medium (corpo, carta, elettroni), cambiano corpo, mente e sé. La fase attuale rovescia tutti gli effetti della precedente. Da opaci ci rende trasparenti, da isolati, ci trasforma in interdipendenti in un modo ancora più obbligato di tutte le culture tribali; da autonomi, ci fa teleguidati dalla raccolta e dall’uso dei nostri dati per influenzare (per non dire “forzare”) le nostre scelte. Fra poco negozieremo il nostro rapporto con il mondo attraverso un assistente digitale che ci conosce meglio di noi stessi. Il linguaggio sparisce nei data. Il digitale è translinguistico. Ormai scrivere significa programmare algoritmi che eseguono decisioni senza bisogno d’interpretazione. Un esempio ancora più semplice di questa strana – e un po’ inquietante – sparizione del linguaggio è il fatto che il progresso della traduzione automatica è stato eliminare completamente l’interpretazione nel processo di tradurre. Se mettiamo una frase inglese, anche complessa, in Google Translate, la ritroverai tradotta piuttosto bene in italiano, ma questa traduzione non sarà stata fatta dall’interpretazione intellettuale delle possibili equivalenze semantiche dalla lingua di origine all’altra, ancora meno utilizzando lo sforzo deliberato di uno stile. Questa traduzione è fatta dal paragone della tua frase scritta (senza tener conto del contenuto semantico) di mille parole e frasi simili già tradotte in mille versioni nelle banche dati. La sparizione del linguaggio è inquietante perché è stato fino adesso il modo umano di gestire il proprio mondo e il proprio destino autonomamente. Il linguaggio è il nostro primo strumento di libertà e di autonomia. Tutto dipende da quanto e come possiamo usarlo.
Il mondo è passato dalla cultura orale, alla scrittura. Quello è stato il momento che lei definisce “l’inverso di Don Chisciotte.” Che tipo di relazione avrebbe oggi Don Chisciotte con il mondo circostante?
Si tratta di un rovescio interno/esterno della persona umana. Allora, Don Chisciotte interiorizzava la totalità del suo mondo con la lettura permanente e silenziosa di romanzi, tendendo a riportare all’esterno il contenuto del suo immaginario, vedendo giganti al posto di mulini. Oggi forse s’interesserebbe ai videogiochi, non solo per penetrare quest’immaginazione esterna, ma anche interagire con essa. E, come amplificava sempre nel suo consumo di finzione, morirebbe affamato di fronte allo schermo. Oggi il nostro immaginario è spostato fuori della nostra mente, allo stesso modo la nostra memoria e finanche la nostra identità.
Per te Avatar è Pinocchio 2.0, perché?
Avatar è un avatar di Pinocchio! Una delle tante reincarnazioni del mito, tipo Blade Runner, Essere John Malkovich, The Matrix, A.I., ecc. Jake, di Avatar, diviene un burattino elettronico, al paragone del primo Pinocchio, burattino meccanico. Infatti questo profondo mito Italiano conosciuto dal mondo intero racconta come l’umanità può superare la disumanizzazione provocata dalle nuove tecnologie. Nel caso del Pinocchio originale, la sfida è di tornare bambino di carne e ossa. Però, per fare questo deve smettere di mentire. Ma di mentire su cosa? Essenzialmente sul fatto di sentirsi già come un bambino organico, imitando ragazzi reali benché ancora fatto di legno. Noi stessi siamo invasi di algoritmi pensando di essere ancora umani come prima. Pinocchio 2.0 affronta la stessa sfida. Il problema è che Jake in Avatar non ha un gran voglia di tornare umano, senza gambe. Più di tutti gli altri modelli dell’uomo del futuro proposti dall’industria cinematografica, Avatar solleva la crisi d’identità dell’uomo aumentato. Possiamo, vogliamo ritenere la condizione umana oltre la nostra digitalizzazione, come, per esempio, ci propone l’argomento di The Matrix, o quello di A.I?
Sei attivamente coinvolto e promotore di molti progetti afferenti la Social Innovation. Cos’è per te la felicità urbana?
La felicità urbana è un concetto di speranza. C’è molta tristezza in tante città italiane consumate da un sentimento di abbandono, come se lo spazio pubblico non fosse un fine, un’estensione del nostro spazio privato. Non pensare al futuro, una città senza coesione sociale né comunità non ha neanche un presente. Come fare per cambiare quest’attitudine? La proposta è provare a stimolare un senso di comunità e di appartenenza grazie alla creazione di un’opera comune, un monumento pubblico reale connesso alla rete in cui tutti i cittadini possono collaborare nel lungo termine. L’idea è quella di invitare i ragazzi delle scuole a raccontare la città a partire del nome della strada dove vivono, facendo storytelling multimediale con il loro telefonino. Una raccolta di documenti, video e foto, interviste ai genitori, amici, media locali e dirigenti istituzionali ecc. Per poi riunire tutti i contenuti, prodotti con elementi individuali creati da ogni ragazzo e connesso alla rete, in un’opera. L’opera sarà accessibile grazie a un codice a barre per ogni partecipante sul territorio locale e anche dal mondo intero via Internet. Oltre a rinnovare un senso civico e portare l’attenzione sulla città propria, permette anche ai ragazzi d’imparare l’uso professionale e persino estetico dei loro media. Adesso con l’aiuto del giornale Metropolis, di Castellamare e il sostegno dei sindaci, delle scuole e delle istituzioni locali, il progetto sta finalmente prendendo forma.
Tra gli altri, anche YouTube investe 25 milioni di dollari per combattere le fake news. Che fine farà la responsabilità individuale in rete in questo nuovo scenario?
Chiaramente è una buona notizia perché come, da una parte, la dichiarazione europea del GDPR che ti ridà potere e controllo su tuoi dati e dall’altra l’effetto di Cambridge Analytics che ha determinato il caos politico in UK e USA, una sorta di risveglio etico. La responsabilità individuale sta sparendo, non solo sulla rete, ma a causa della rete stessa. Veniamo tracciati e catalogati, poi seguiti e guidati nelle nostre scelte e fra poco, come in Cina, spiati, valutati e forzati ad adottare comportamenti prescritti. La nostra responsabilità sparisce perché sparisce l’opzione di scegliere. Già Freud ci aveva risparmiato la colpevolezza, adesso la rete ti assolve senza remissione.
Come è cambiata la narrazione del potere in rete per la creazione di consenso popolare?
La narrazione del potere è passata dalla televisione a Twitter, dove si crea un consenso popolare parziale e dirompente. Una ricerca recente dimostra che le notizie e commenti negativi su Twitter hanno cento volte più potere di diffusione e viralità delle notizie positive. Nel suo tempo di dominazione la TV aveva il potere di creare un consenso generale, proponendo sulle immagini e video del telegiornale lo spazio pubblico come condiviso ugualmente da tutti. Si chiamava in USA “the silent majority”, sostenendo il consenso sulla nostra appartenenza comune. Ormai Twitter ha l’effetto contrario di divisione e ostilità. Siamo al centro di un periodo di crisi sociale non senza precedenti perché era già successo durante il Rinascimento, ma ormai globale e folgorante. Ne usciremo al più presto ma diversi in un consenso algoritmico.