Il titolo Italia è tornato a brillare. Una sorpresa che ha colto in contropiede, per la verità, solo chi ha continuato, negli ultimi anni, nel racconto stereotipato di un Paese a corto di fiducia, fanalino di coda della crescita europea e perennemente in bilico sul fronte della finanza pubblica. Mentre il trend positivo è stato più volte segnalato da chi, a cominciare da questo giornale, si è limitato a osservare i dati che arrivavano dall’economia reale che, puntualmente, hanno smentito a consuntivo le previsioni delle Cassandre di turno, anche autorevoli.
Resta il fatto che gli investitori e le famiglie, nelle loro scelte, guardano più ai numeri che alle parole. Solo così si può spiegare, ad esempio, l’ondata di fiducia che continua ad investire il nostro Paese. Basta dare un’occhiata all’ultimo rapporto di Ernst Youg, autorevole barometro del mood degli investitori esteri nei confronti del nostro Paese, per capire che il clima sta cambiando. E’ vero che per il 2024 la crescita è ancora ferma allo 0,7% ma già nel 2025 si sale all’1,2%, quasi in linea con le previsioni del governo. Ancora più positivi i dati dell’inflazione che passerà dal 5,6% del 2023 all’1,9% nel 2024, all’1,8% nel 2025. Mentre la crescita del monte salari reali negli ultimi trimestri si traduce in una leggera ripresa del potere di acquisto delle famiglie. Un dato che dovrà tenere conto anche del boom degli occupati, che significa anche maggiore ricchezza a disposizione per i consumi.
Certo, ci sono variabili esogene difficilmente controllabili, come quelle che arrivano dalle zone di guerra o l’escalation delle ultime ore del conflitto con la Russia. Un clima che condizioneranno sicuramente gli investienti privati. Ma, anche da questo punto di vista l’Italia ha una carta in più da giocare, quella del Pnrr. Il clima molto cordiale delle relazioni con la Commissione Europea che il ministro Fitto è riuscito a portare a casa sta rendendo più veloci e consistenti i flussi di risorse che arrivano da Bruxelles, con un effetto positivo sulla domanda interna e, in particolare, sugli investimenti pubblici. Fondi che, in sostanza, potrebbero alla fine avere un impatto – scrivono gli esperti di Ey – sul Pil potenziale nel medio e lungo periodo.
Ma i segni palpabili di questa inversione di rotta non si fermano qui. C’è il calo dei tassi di interesse a lungo termine (al 3,7%), lo spread rispetto ai titoli a lungascadenza tedeschi ai minimi storici. E poi la grande corsa a investire nel Btp. Un boom che non riguarda solo le famiglie italiane.
Anzi, nonostante il tentativo del governo Meloni di “nazionalizzare” il debito, la quota dei nostri titoli nel portafoglio degli investitori esteri è cresciuta notevolmente. A fine 2023, il debito italiano piazzato sui mercati internazionali era del 27,6%, lo 0,8% in più rispetto all’anno precedente. Numeri che sono la conseguenza di due condizioni che non erano affatto scontate dopo la parentesi del governo Draghi: politiche di bilancio precepite come stabili e rigorose e il buon andamento dell’economia. E si tratta di un trend ancora più interessante perché sconta l’impatto sul nostro deficit pubblico del superbonus al 110%, che nonostante la stretta decisa dal governo, farà sentire il peso della sua eredità per molti anni. L’atteggiamento favorevole degli investitori è ancora più interessante se si pensa che i dati del bilancio pubblico sono restati più o meno gli stessi, e così anche le strategie per la riduzione del debito. Come a dire che questo governo appare più affidabile rispetto a quelli precedenti.
E’ probabile che questo trend non cambierà sostanzialmente nei prossimi mesi. Per quanto riguarda il fronte della finanza pubblica, il Tesoro nei primi tre mesi ha raccolto 112 miliardi di euro, un terzo del programma annuale delle emissioni. Nei prossimi mesi, anche alla luce dell’ormai imminente taglio dei tassi di interesse, i titoli italiani resteranno insomma appetibili, anche con rendimenti più bassi. Se il Pnrr farà la sua parte anche il potenziale di crescita dell’economia potrebbe rendere più semplice la compilazione del nuovo Documento di Economia e Finanza, che arriverà sul tavolo di Palazzo Chigi il prossimo 10 aprile. La sorpresa, soprattutto per gli investitori esteri, potrebbe arrivare dal rapporto debito/pil dopo la revisione al rialzo della crescita annunciata dall’Istat. Infatti, l’effetto congiunto di una discesa dell’inflazione più veloce del previsto e di un’economia che continua a marciare ad un ritmo superiore a quello della media europea e dei diretti concorrenti francesi e tedeschi, hanno già portato ad un Pil nominale 2023 sensibilmente più alto (di oltre un punto) dei preconsuntivi con l’effetto di ridurre il rapporto con il debito di quasi 3 punti (al 137,3%). Se a questo aggiungiamo il fatto che la crescita reale del 2024 dovrebbe beneficiare anche un effetto trascinamento più elevato, non sembra impossibile per il Mef avvicinarsi a quell’obiettivo di crescita dell’1,2% del Pil messo nero su bianco nella Nadef. Senza considerare, infine, l’ulteriore aiuto alla finanza pubblica potrebbe arrivare dalla discesa dei tassi di interesse prevista nella seconda metà dell’anno.