Commercio frenato da dazi e incertezza. Esportazioni non brillanti. Uno scenario negativo per gli investimenti, con prospettive incerte sui consumi. E ancora: l’Eurozona che tira il freno, e l’Italia che non cresce. Dati che suggeriscono ad Antonio D’Amato, il presidente dei Cavalieri del Lavoro, il giusto equilibrio tra pessimismo dell’intelligenza e ottimismo della volontà.
D’Amato è un protagonista della scena imprenditoriale nazionale da decenni. E’ un pastpresident di Confindustria, uno dei più vivaci industriali italiani, incline alla polemica franca, senza remore e ipocrisie. La Seda, azienda di famiglia con stabilimenti in Italia, Regno Unito, Germania, Portogallo e Stati Uniti è una holding internazionale leader mondiale nell’imballaggio alimentare. L’ultima occasione per commentare i temi caldi dell’economia D’amato l’ha colta parlando dinanzi al capo dello Stato il 1° maggio, in occasione della Festa del Lavoro. “Occorre un sforzo collettivo del Paese – ha dichiarato nel suo intervento pronunciato dinanzi al presidente della Repubblica Sergio Mattarella – nel creare le condizioni indispensabili per rilanciare in maniera significativa gli investimenti pubblici e privati, i soli che possano creare vera e buona occupazione”. Un concetto che risponde all’intento, tipico di ogni imprenditore, di affrontare i problemi con ottimismo. Ma senza perdere lucidità riguardo agli errori da non ripetere di “una Italia che negli ultimi dieci anni si è fortemente impoverita” perché cumula da ben prima “ritardi di competitività” senza mettere mano sino in fondo alle riforme che sarebbe indispensabile realizzare per mettersi al passo con i competitor europei e globali. “Riforme di cui parliamo da troppo tempo – ribadisce D’Amato – e che sono indispensabili per rimettere in moto il Paese” che soffre un deficit di credibilità internazionale che certo non favoriscono gli investimenti esteri. I quali si attivano solo a seguito di “un ampio programma di riforme e significativi investimenti pubblici produttivi”. Quali? Non certo gli interventi assistenziali che “non risolvono le legittime istanze sociali, mentre sottraggono risorse pubbliche alle indispensabili emergenze di bonifica ambientale, di risanamento idrogeologico, di riqualificazione delle aree urbane, di potenziamento dell’ormai inadeguato sistema infrastrutturale”. Questo pacchetto di interventi sarebbe oltretutto in grado di generare posti di lavoro molto più e molto meglio che non il reddito di cittadinanza…”
Argomentazioni che, in un contesto meno istituzionale, D’Amato ha espresso con efficacia avvalendosi di una analisi più ampia e approfondita, in occasione del Convengo di Matera del 30 marzo scorso, intitolato “Conoscere per competere”. Dove il numero uno dei Cavalieri del Lavoro ha spaziato sul tema “reputazione” del sistema Italia, il cui impatto antieconomico è stato valutato di recente grazie a una ricerca della Boston Consulting. A partire dal Made in Italy, di cui andiamo giustamente orgogliosi, ma che non sappiamo gestire e sfruttare come i francesi o i tedeschi. I primi imponendo la supremazia del loro settore alimentare: “Non c’è vino italiano che possa essere venduto al prezzo di una bottiglia francese”, commenta il presidente D’Amato. E i tedeschi? Nonostante tantissima tecnologia italiana di qualità, il differenziale di presso è sempre favorevole a tedeschi e svizzeri con 15-20 punti di percentuale. Per non dire del patrimonio di Arte e Bellezza, che dovrebbe vederci svettare su in cima, dal momento che abbiamo più del 70% del patrimonio artistico e culturale del mondo “a casa nostra – soggiunge D’amato – trattandolo nel modo peggiore possibile”. E tutta questa cattiva reputazione, chiosa il presidente, “noi lo paghiamo in termini di pricepositioning, gettito fiscale e revenue per le imprese, quindi, miliardi di euro l’anno”.
Ma a Matera era il momento della Cina, l’agenda setting di fine marzo imponeva come tema dominante l’arrivo del presidente cinese e gli accordi per la Via della Seta. Contingenze che offrironoil destro a D’Amato per una riflessione incrociata sulla competizione Cina/Usa nella partita per il controllo dell’economia mondiale. “L’America – affermò a Matera – ha un’agenda precisa: riequilibrare la capacità manifatturiera del paese che si è completamente deindustrializzato. La Cia ha un’altra agenda, industrializzarsi per conquistare quote di mercato e soprattutto per mettere in sistema globale sotto il governo cinese”. Con un commento finale amaro quanto pessimista: “L’Africa è già stata comprata… Adesso c’è l’Europa…”. Pe fortuna viene in soccorso l’ottimismo dell’intelligenza, che dice “Solo un’Europa più competitiva, più forte e più unita può contribuire all’affermazione dei suoi valori fondanti: la difesa del pianeta, la pace tra le nazioni, il benessere tra i popoli”.
Il 24 maggio ci sono le Europee. A buon intenditor…