Il libro “Non chiamiamoli razzisti” rappresenta una lucida lettura della situazione politica e sociale italiana in cui, in un’atmosfera di apparente calma democratica, si intersecano conflitti pubblici che hanno un forte sapore d’intolleranza. In esso vi è un tentativo di sondare fenomeni come razzismo, xenofobia, sessismo, eccetera, focalizzando l’attenzione sul quotidiano Libero e Vittorio Feltri che di questi argomenti è tra i giornalisti italiani uno dei più cinici utilizzatori. La scelta quindi non è casuale, non solo dal punto di vista dei contenuti espressi da Feltri, altamente discriminatori verso ogni forma di diversità, ma anche per l’aspetto formale delle sue dichiarazioni, dal quale consapevole e puntuale utilizzo si desume come l’opinione pubblica sia fortemente influenzabile, anche in una situazione di libertà di pensiero e di accesso alla conoscenza, dalle affermazioni dei media. L’autore sottolinea, attraverso un capillare uso di citazioni degli articoli comparsi su Libero, proprio l’assenza della coscienza di ogni responsabilità morale in Feltri e il suo tentativo di mobilitare la massa fomentando principalmente l’odio. Si nota immediatamente in queste l’assenza di ogni contenuto, di ogni vero argomentare, nonché l’uso di frasi retoriche con lo scopo di impattare emotivamente sul pubblico. Una delle strategie di Feltri è infatti l’eludere, forse volutamente, ogni confronto razionale che non conduca all’insulto o alla rissa verbale. Un’altra strategia è quella di puntare sugli aspetti connotativi del dibattito attraverso la discussione di «problemi inesistenti» ottenuti de-formando la notizia. Ambedue permettono di guadagnare e rafforzare sostegni tra i propri fautori e nello stesso tempo cercare, celando così «gli elementi contraddittori del discorso», di porre sul piano dell’ingiuria gli avversari che invece avrebbero validi argomenti da contrapporre.
L’autore esplicita come la motivazione che lo ha condotto alla scrittura del libro non è di tipo politico, confidando comunque nelle mature capacità decisionali del popolo italiano, ma etica in un duplice senso: mettere in luce come dietro a questioni politiche pubbliche e generali risultino esserci interessi personali di potere e prestigio, e come dalla manipolazione dell’informazione possano derivare gravi effetti sull’eticità di un popolo, sulla sua unità e solidarietà interna ed esterna.
L’unico possibile argine è quello di porsi ad un livello differente di discussione politica che non sia quello dell’offesa, dell’opacità della notizia ma della trasparenza dell’informazione, inserita all’interno di un dialogo razionale tra pari.
Armando Fava
NON CHIAMIAMOLI RAZZISTI. Libero come Feltri e viceversa
Pagg. 149
Prezzo € 13,50
L’Abate – Independently published
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