Pensate come si deve sentire uno studente universitario di storia quando nel preparare la sua tesi si imbatte in una realtà storiografica sconvolgente, che rovescia completamente la propria storia nazionale. Vi racconterò da vicino cosa è successo a me.
Piemonte 1840. Un nome prestigioso, De Agostini. Prestigioso non in quella data ma molti anni dopo, quando i fratelli De Agostini fondarono quella che è la Casa editrice più longeva e famosa d’Italia. Ma nel 1840 altri due fratelli editori, Gioacchino e Paolo, sempre in Piemonte, erano editori di successo. I miei studi risorgimentali ,cui rimando in rete[1]chiariscono bene non solo la fattiva importante realtà editoriale di questi due fratelli“primigenii” ma anche la loro comunione e le molte “coincidenze” che rimandano ai successivi editori De Agostini.
In Piemonte, quando ho chiesto spiegazioni, un importante storico e personaggio alle mie affermazioni ha subito tratto la medesima associazione. Segno che quanto sto per narrare corrisponde a verità assoluta.
Le vicende personali di Gioacchino e del fratello Paolo, che aveva, quest’ultimo, una tipografia in Torino, e precisamente in via della Zecca, oggi via Verdi, nel palazzo che ha come sede attuale la Camera di Commercio, e pubblicava i libri di Silvio Pellico e di Don Bosco, ci rimanda al più celebre fratello Gioacchino. Più celebre perché questi è il fondatore del moderno giornalismo piemontese, che si richiamava alle testate inglesi e francesi del tempo. Classe 1808, il nostro prima fece il religioso “poco ortodosso” in Piemonte come docente nei collegi e scrittore di successo, poi pensò di mettersi in proprio come editore, lasciò l’abito talare, si avvicinò a Londra a quelli del British e sposò una di loro, Adelaide Galli Dunn, figlia di Luigia Dunn, cugina del pittore ebreo David, quel David che illustrò magnificamente i fasti napoleonici.
Era Adelaide figlia anche di Fiorenzo Galli di Carrù. Un patriota “reazionario” all’epoca, amico del livornese Janer, di Guerrazzi. Il suo nome non dice nulla adesso ma in quel periodo Fiorenzo Galli era una celebrità. Suo fratello Celestino uno scienziato di successo, inventore del partenografo, prototipo della macchina da scrivere. Venivano da Cuneo ma volarono in Europa. Lo zio Francesco era i vice direttore del Collegio Clementino di Roma. Fu lui di straforo a salvare Fiorenzo dalla Corte marziale, facendolo espatriare a Londra, dopo aver circumnavigato il Mar mediterraneo, con imprese valorose in Spagna, dove aveva conosciuto Pietro Janer.
Il de Agostini non era da meno del suocero.
Pensate che i suoi giornali vercellesi, “Il Vessillo della Libertà” poi “Vessillo d’Italia”, ed altre testate come l’ancora presente “La Sesia” lo videro attivissimo su giornali e riviste. Era amico fraterno di Quintino Sella di cui era stato Professore al liceo e con cui si mantenne sempre in contatto, anche quando ormai era caduto in disgrazia. Perché il De Agostini non cedeva a compromessi, era un “semi riformato” con la moglie per metà protestante e per l’altra metà ebrea, che si era convertita al cattolicesimo solo per sposarlo, nel 1849. L’ex religioso, in corrispondenza con don Giulio Ratti, prevosto di San Fedele a Milano, confessore quest’ultimo di Alessandro Manzoni e cugino del futuro papa Pio IX, era la riprova che molto si era mosso a Londra se lui, cattolico liberale, operava assiduamente col mondo riformato.
Ma soprattutto se gli States erano pienamente coinvolti in queste manovre, dati i rapporti strettissimi del De Agostini medesimo con i Palma di Cesnola. Luigi, membro della importante casata piemontese, diverrà il Console americano a Cipro e direttore del Metropolitan Museum, nonché collaboratore durante la guerra di Secessione americana dello stesso Presidente Abramo Lincoln.
Che tipo di giornalismo era quello di Gioacchino De Agostini?
Distante anni luce da quello che sarà sempre e che è tutt’ora il giornalismo italiano. Nello stile e nei contenuti.
Libertà editoriale ma anche cultura a go go visto che il nostro era un importante intellettuale da tutti apprezzato ed osannato.
Quei rapporti con don Bosco e i luoghi ed ambienti di provenienza dei salesiani ci riconducono naturalmente ai successivi editori De Agostini, che furono essi stessi Salesiani. E cartografi, come il nostro Gioacchino. Ma mentre i De Agostini salesiani DOC poco avevano in comunione col mondo del sud Italia, Gioacchino De Agostini era uomo Mediterraneo, era uomo del Sud.
Infatti collaborò politicamente con Pasquale Galluppi come le carte attestano.
1840. Bastia. Il suo amico e collaboratore politico padre Gioacchino Prosperi invia tutte le sue lettere missionarie dalla Corsica a lui, Gioacchino De Agostini.[2]
Cosa ci racconta il religioso lucchese suo amico? Che lui come il nostro Gioacchino torinese erano ispirati nella loro “opera missionaria bonapartista e mazziniana,” in combutta con i Clementini romani e con il cardinale Bartolomeo Pacca, che Prosperi non dimentica di citare nelle lettere, proprio dal filosofo di Tropea. Perché questo? Perché la comunione tra gli stessi, Galluppi e Rosmini ma anche con i Bonaparte era sincera, fattiva e costante. Perché tutti questi personaggi sono quelli del British. La conferma? Una lettera presente all’Archivio di Stato di Lucca, dove proprio il direttore del British Museum, Sir Antonio Panizzi, scrive a Lucca all’amico del cuore Raffaelli, suo ex compagni di studi ed ex ministro delle finanze del piccolo Stato Lucchese sino al 1847, per confermare nel 1870 il suo rammarico a come erano andati i fatti rivoluzionari italiani. Con i Savoia definiti “Intrusi del Quirinale”.[3] Già, proprio lui, il politico ed intellettuale italiano a Londra più inglese degli stessi inglesi, Antonio Panizzi da Reggio Emilia.
Ad un Raffaelli stretto collaboratore dei cugini di padre Gioacchino Prosperi. E di quel duca che a Londra aveva finito la strada, come attestano i documenti, Carlo Ludovico di Borbone Parma.
Il giornalismo del De Agostini dunque vedeva di buon occhio le testate come il Times o il New York Times. Il De Agostini era un “romano imperfetto?”. Probabile e del tutto dimenticato dalla storiografia.[4] Muore nel 1873, come l’amico Prosperi, anche lui dimenticato “dal tempo giustiziere e come tale, a volte spietato”.[5]
Eppure ritornano alla nostra memoria non solo i richiami atlantici ( Londra e New York) ma anche quelli Russi. Già, perché i nostri oltre che anglofili erano pure russofoni.
Stanno dallo Zar. Questo perché erano “quelli di San Giovanni”, I gerosolimitani insomma, e dunque a partire dal 1798 si erano trasferiti a San Pietroburgo.
Trasferiti per un lasso di tempo ridotto in verità. Quando nel 1825 già va la potere Alessandro I, che era figlio dello Zar Paolo, rifanno armi e bagagli e si trasferiscono a Roma, in via Condotti, dove stanno adesso ( 1834).
Paolo, lo Zar, si era svenato e suo figlio Alessandro I non voleva fare altrettanto. I gerosolomiti erano andati lì perché fuggiti da Malta, all’arrivo napoleonico nell’Isola. Il Mediterraneo ritorna. Nessuno come loro dai tempi di Carlo V, l’Imperatore, aveva difeso il Mediterraneo riportandolo nell’alveo romano e veneziano. Ma ora Inglesi americani e russi se lo contendevano. E i pirati Saraceni non erano più un pericolo, la mazzata finale i Gerosolomitani l’avevano ricevuta con la calata napoleonica in Egitto proprio in quel periodo. Il Problema per Napoleone ma anche per inglesi e americani nonché romani erano i costi dell’apparato gerosolimitano e fu quella la vera ragione della “cacciata” anche da San Pietroburgo.
Probabilmente a Roma non potettero più godere dei fasti precedenti e dovettero mantenere un profilo più sobrio.
La famiglia di padre Prosperi e l’intero contesto lucchese afferiva a quei cavalieri. Anche in questo caso il ritrovamento di una lettera del 1856 conferma queste mie frasi.[6]
Una sola domanda. Quando ci lamentiamo per un giornalismo nostrano odierno ma anche dal passato sempre poco libero, poco internazionale, votato a mezzucci di bottega piuttosto che a perorare cause familistiche di chi da questa situazione forse ha motivo di sguazzare, ci domandiamo davvero a quando risale questa nostra condizione? Da sempre si dice sovente, le cose in Italia stanno così. Non è vero, e quanto ho descritto mostra che tale affermazione è un falso storico.
Ci fu chi fu vicinissimo negli anni quaranta del XIX secolo a quelle testate e a quei luoghi cui vorremmo ispirarci e da cui siamo così distanti! Purtroppo questo qualcuno è stato messo a tacere, e chi volesse farlo risuscitare avrebbe le carte ed i mezzi per farlo.
TAG: Gioacchino De Agostini, Quintino Sella, Fiorenzo Galli, Zar Paolo I, Carlo V.
[1] www.storico.org, Elena Pierotti. Gli editori De Agostini.
[2] Padre Gioacchino Prosperi, “La Corsica e i miei viaggi in quell’Isola”, Bastia, Fabiani, 1844.
[3] Archivio di Stato di Lucca, Legato Cerù, rif. 7.
[4] www.storico.org, Elena Pierotti, Gioacchino De Agostini. Interprete del Risorgimento nel Piemonte Sabaudo. Ma seguirei i tentativi della società Storica Vercellese che ha provato invano, sin qui, a far risuscitare il personaggio, sul piano storico.
[5] Luigi Venturini, Di Padre Gioacchino Prosperi e del suo libro sulla Corsica, Milano, Tipografia Tyrrenya, 1926.
[6] Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Carteggi Vari, Legato Capponi IX, lettera di Giuseppe Pierotti a Gino Capponi, 1856.