Perché il mondo ha rimosso il genocidio degli indiani? Eppure ben 180 milioni di nativi morirono a causa dei colonizzatori, come conseguenza delle guerre di conquista, per la perdita del loro habitat, per il cambio forzato del loro stile di vita e —non meno importante— a causa delle malattie contro cui i popoli nativi non avevano alcuna difesa immunitaria.
Il 27 gennaio del 1945 finì ufficialmente il più grande omicidio di massa della storia avvenuto in un unico posto —ad Auschwitz— dove morirono più persone che in qualsiasi altro luogo: 960 mila ebrei, 74 mila polacchi, 21 mila rom, 15 mila sovietici e 10 mila di altre nazionalità.
«Ma non è questo l’unico olocausto. Accanto al dramma della Shoah esistono altri massacri di cui nessuno parla, drammi come quello degli Indiani d’America, che portò allo sterminio di gran parte delle etnie indie che popolavano il continente americano prima dell’arrivo degli Occidentali» puntualizza Viola Lala, press officer della World Organization for International Relations (www.woirnet.org).
La scoperta dell’America fu infatti per i nativi l’inizio della fine. Quella data segnò l’inizio di un massacro che si concluse solo dopo la Prima Guerra Mondiale: oltre 500 anni di guerra durante i quali in nome della colonizzazione vennero uccisi 180 milioni di esseri umani.
«E non morirono solo i nativi, ma anche le loro tradizioni e la loro cultura e venne distrutto per sempre un habitat naturale incontaminato» spiega la portavoce della World Organization for International Relations. Insomma, intere comunità vennero sterminate all’interno dei loro villaggi dagli eserciti regolari, altre morirono perché gli occidentali portarono con sé vaiolo ed altre malattie ed altre ancora morirono di fame dopo la sistematica devastazione di piante ed animali.
«Il genocidio degli indiani —prosegue Viola Lala— venne inoltre accompagnato dalla tratta degli schiavi che venivano costretti a lavorare nelle terre dove prima vivevano i nativi: una macabra geografia dello sterminio e della schiavitù sostenne la nascente industria occidentale».
Ed oggi con il Coronavirus torna l’emergenza. La mortalità infantile tra gli indigeni è di 5 volte superiore alla media generale ed il tasso dei suicidi tra gli adolescenti è di 10 volte superiore alla media. Il 48% degli adulti è inoltre disoccupato ed il 38% è analfabeta.
«Includendo l’intero continente americano la speranza media di vita è di 40 anni contro una media generale di 68 anni» sottolinea Alejandro Gastón Jantus Lordi de Sobremonte, Capo della Casa Dinastica del Rio de la Plata (www.virreinatodelriodelaplata.org), che dal 1989 si batte per i diritti delle popolazioni indigene e delle minoranze svantaggiate.
Per quanto riguarda più specificamente il Sudamerica, milioni di persone aggredite dalla pandemia rischiano di non ricevere assistenza e cure. La situazione è più a rischio proprio nei territori del Rio de la Plata: Argentina, Brasile ed Uruguay.
La stima nel Rio de la Plata è di 3 milioni di indigeni che stanno morendo a causa del Covid-19, ad un tasso che è il doppio rispetto a quello nel resto della popolazione dei Paesi coinvolti. A denunciarlo è proprio la Casa Dinastica del Rio de la Plata che —vista la gravità della situazione— sollecita l’attenzione delle Nazioni Unite sull’aumento dei casi di Covid-19 nei villaggi indigeni, affermando di trovarsi di fronte alla mancanza di politiche efficienti per combattere la malattia.
«I governi degli stati coinvolti non stanno adeguatamente aiutando con i test rapidi e non riescono a raggiungere le popolazioni indigene più isolate» puntualizza Viola Lala, press officer della World Organization for International Relations.
Secondo la Casa Dinastica del Rio de la Plata, anche quando le popolazioni indigene sono in grado di accedere ai servizi sanitari, subiscono stigma e discriminazione. E molto più spesso sono vittime della mancanza di accesso ai servizi essenziali ed alle altre misure preventive chiave come acqua pulita, sapone e disinfettanti.
«Ora noi tutti dobbiamo impegnarci per includere le esigenze e le priorità specifiche delle popolazioni indigene» conclude Alejandro Gastón Jantus Lordi de Sobremonte, Capo della Casa Dinastica del Rio de la Plata, auspicando che il Giorno della Memoria —riconosciuto ufficialmente dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite— si possa quest’anno dedicare anche alla storia dei nativi americani.
Accanto al dramma della Shoah esiste infatti anche quest’altro massacro di cui nessuno parla, quello che ogni anno non viene celebrato, quello che non restituisce dignità alle vittime.