Il condottiero, se possiamo chiamarlo così più famoso dell’esercito borbonico fu Ferdinando Beneventano Del Bosco (Palermo 3.3.1813 – Napoli 8.1.1881) . Fuori della cerchia degli addetti ai lavori non lo conosce nessuno, come nessuno conosce Von Mechel, ma Ferdinando Beneventano del Bosco era l’ eroe capace di trascinare i soldati al combattimento e alla vittoria. Per la fortuna dell’eroe di Caprera, non raggiunse mai i vertici dell’esercito, riservato a nobili demotivati e senza competenze, molti dei quali si rivelarono traditori. L’eroe borbonico per antonomasia era nato a Palermo da Aloisio Beneventano dei baroni del Bosco, una antica famiglia siracusana e da Marianna Roscio. Era stato ammesso a corte nel 1821 come paggio di Ferdinando I. Nel 1829 usciva dalla scuola militare nella quale si era distinto per le capacità militari . Il carattere estremamente orgoglioso e collerico, unita ad una sorda avversione per i cortigiani ne bloccarono la carriera.
Nel 1845, per un duello, il primo di una serie, fu radiato dall’esercito. Tre anni dopo il re lo perdonò e lo riammise in servizio. Inviato in Calabria con la brigata comandata da Ferdinando Nunziante per combattere i rivoltosi si distinse in tutta la campagna. Non sopportava i suoi superiori diretti e aveva un canale diretto con il gabinetto del Re con il quale comunicava direttamente scavalcando ì superiori, verso i quali non mancava di formulare giudizi giudizi al vetriolo. Nel settembre del 1849 sbarcò a Messina con la sua compagnia e dette prove di grande valore espugnando alla baionetta una batteria nemica. Ferito al braccio da un proiettile, continuò imperterrito a combattere. Nell’aprile dell’anno successivo combattè valorosamente alla presa di Catania.
La promozione ed il primo comando arrivarono solamente nel 1859 quando Filangieri divenne presidente del consiglio. Il 1 maggio 1860 fu promosso tenente colonnello. Se Del Bosco ebbe difficoltà con i superiori per il suo carattere, non ebbe mai problemi con i suoi soldati che stravedevano per lui e ne ebbero sempre cieca fiducia. Profondamente devoto alla dinastia, nel maggio del 1860 avrebbe voluto agire in altro modo e con maggiore determinazione, ma nessuno lo seguiva. Le sue lamentele giungevano puntuali a Napoli per i rapporti che spediva giornalmente al segretario particolare del re, colonnello Severino, ma non seguivano mai atti concreti.
Nei combattimenti in cui fu coinvolto il 9° cacciatori Bosco dette sempre prove di grande coraggio che ridimostrò anche a Messina dove si erano riunite le truppe al comando del maresciallo Clary per una eventuale riconquista dell’isola. Per il re e per i borbonici era un eroe ed è facile comprenderlo nella pochezza che contraddistinse la maggior parte degli alti ufficiali dell’esercito napoletano. Se non altro fu sempre coraggioso e temerario. In lui furono riposte soverchie speranze e su suo consiglio furono inviate due forti brigate al suo comando ed a quello di Von Mechel per incontrare Garibaldi sulla piana di Salerno e tentare di batterlo prima che potesse giungere nella capitale. Ma l’ordine di battaglia fu annullato e, proprio quando stava per ripiegare su Capua, Bosco fu colpito dal classico colpo della strega che lo immobilizzò. La notte del 5 settembre fu ricoverato a Napoli dove dovette nascondersi perché due giorni dopo vi fece ingresso Garibaldi. Guarito dopo due mesi, Bosco si presentò a Gaeta e la sua sola presenza galvanizzò gli assediati. Esiliato a Roma fu espulso dallo stato romano e, da quel momento scompare dalle cronache.