I moti insurrezionali del 1820 scoppiati a Napoli furono il primi di una lunga serie che si concretizzarono nel corso del nostro Risorgimento. Conosciuti e considerati l’origine di quel patriottismo nazionale di matrice liberale, non altrettanto noti personaggi chiave che vi parteciparono e che segnarono in silenzio le sorti del nostro Paese. Tra questi il lucchese Carlo Massei.
Mi sono sempre chiesta perché Re Gioacchino Murat, prima dell’avvento della Restaurazione, regnante in Napoli, avesse voluto a proprio servizio un agente lucchese, Giuseppe Binda, e finora, pur avendo studiato a fondo il personaggio, non sono riuscita a darmi una risposta certa. Però direi che le due figure, Massei e Binda, si intrecciano inesorabilmente e forse in questo modo riuscirò qui a definire alcuni tratti essenziali del nostro Risorgimento che poco sono stati trattati. Compresa una loro fattiva collaborazione. Perché le due vicende, quella di re Gioacchino e i moti del 1820 non sono affatto disgiunti, come potremmo erroneamente pensare, leggendo alcuni libri di storia.
Murat aveva una formazione giacobina e repubblicana. Così come tutti i napoleonidi, a cominciare dallo stesso Imperatore francese napoleone I.
La famiglia Bonaparte era stata al seguito in Corsica del generale Pasquale Paoli, emblema in Europa del repubbicanesimo, preso a modello dallo stesso Giuseppe Mazzini. Carlo Buonaparte, padre di Napoleone, era stato segretario personale del generale Corso, che aveva inviato a fine settecento una lettera a padre Ghesucci dei Chierici Regolari lucchesi, lettera di matrice politica che ben avvalora la tesi secondo cui questi ambienti non furono così distanti dal Mediterraneo dei Lumi.[1] Si trattava in alcun casi di Muratori, la muratoria ed i lumi furono parte integrante della loro esperienza politica.
Si comprende dunque perché lo stesso Gioacchino Murat, che divenne Re di Napoli, avesse le medesime origini e la stessa formazione politica. Attingere in una Repubblica come lo era Lucca, luogo peraltro molto conosciuto dagli stessi Bonaparte assai prima di divenire la famiglia celebre in tutta Europa, non dovette essere cosa incomprensibile.
La città bianca lucchese era pur sempre una millenaria repubblica. Vicina a tutte le Repubbliche italiane ed europee, a cominciare dalle ex repubbliche marinare medievali, di cui Napoli era quasi “una succursale” visto che la vicina Amalfi era stata un’apripista in tal senso. Lucca e Napoli ebbero sempre, se osserviamo le carte in nostro possesso, privilegiati legami.
Giuseppe Binda, con le carte di Re Gioacchino in Mano cercò di trattare con Lord Bentick a Genova nel 1815 ma venne intercettato e finì a Londra in casa del suo caro amico e protettore Lord Holland. Il resto è storia, nel senso che il grande e capace agente non si fermò qui, ma finì in America sposando la figlia del potente generale Sumter, ebbe un incarico prestigioso dal Governo Americano nel 1840 essendo divenuto cittadino americano ed afferendo alla potente famiglia della moglie, console americano a Livorno negli anni cruciali del nostro Risorgimento, come ho avuto modo di scrivere in un articolo, servì magistralmente la causa, soprattutto quella Repubblicana della Repubblica Romana di Mazzini. I documenti ci sono e li ho citati proprio nell’articolo. La storiografia ufficiale lo vuole viceversa dedito a traffici con il partito avverso, quello Restaurativo degli Asburgo Lorena; e questo perché nel 1860 Binda non salì sul carro dei vincitori, ma rimase fedele alla nomenclatura Toscana che egli rappresentava, nomenclatura che mai avrebbe auspicato la perdita dell’indipendenza del Granducato a favore di un’Unità non federale. Così alcuni aspetti poco noti dell’operatore Binda sono stati taciuti. Prima tra tutti l’amicizia, il netto segnale ed inequivocabile del sostegno dato al generale Avezzana, ministro della guerra di Mazzini nel 1848, per raggiungere Civitavecchia e poi Roma, passando proprio per Livorno.[2] Ma soprattutto il legame profondo di Giuseppe Binda non solo per Alexander Walewsky ma in primis per il banchiere e ed uomo d’affari americano, di origini ebraica, il tedesco poi n<turalizzato americano Belmont, che aveva fatto a New York la sua fortuna e quella dei Rothschild.[3]
Giuseppe Binda, in Lucca, nel 1830, dava la sua villa di Segromigno in Monte di Lucca a tre patrioti mazziniani celebri: il conte Bichi di Siena; Gherardi Angiolini, genero del plenipotenziario di Seravezza Luigi Angiolini, amico intimo di Giuseppe Bonaparte, ex re di Napoli, peraltro in quel periodo residente a New York come Giuseppe Binda; e Michele Carducci, il padre del poeta Giosuè.
In Lucca assistiamo in quegli anni un era l’humus ideale che portò re Gioacchino a fidarsi e ad affidare le sorti del suo Regno napoletano proprio a Giuseppe Binda. Quest’ultimo era vicino ad un altro illustre cittadino lucchese che, quasi contemporaneo a Binda, rappresenterà le sorti di un’Italia di stampo repubblicano e democratico: l’avvocato Carlo Massei. Se leggiamo le carte di quest’ultimo capiamo i movimenti del Binda e di conseguenza alcune particolari coincidenze che vedono proprio il Massei a Napoli durante i moti insurrezionali del 1820.
“Forse sin qui gli storici non si sono prodigati abbastanza nel constatare la reale portata politica di un uomo come Carlo Massei. Traggo dal Dizionario Biografico Treccani, e dalla bibliografia ivi inserita, alcune note su uno dei Padri fondatori, a pieno titolo, della vita democratica del nostro paese.
Carlo Massei è più conosciuto in sede locale, ma il valore politico dello stesso e la sua piena collaborazione, nonostante suo laicismo e liberalismo mazziniano, col mondo cattolico, ne fanno un politico degno di nota. Perchè accosto Massei a Binda, a Napoli ed ai moti insurrezionali partenopei?. Per ragioni personali. I miei andarono a vivere nel 1929 presso villa Massei, a Massa Macinaia, una località non lontana da Lucca dove Caro Massei aveva avuto una sua proprietà, poi venduta dagli eredi al conte Bianchi di Bientina, provincia di Pisa. I miei si recarono in questo luogo perché invitati ad andarvi dalla famiglia di origine, che aveva avuto legami sia con Giuseppe Binda che con Carlo Massei. Perciò la storia di questo nobile lucchese, il Massei, la cui famiglia affonda le su origini al trecento ma che di madre faceva Burlamacchi, ossia la famiglia di riformati lucchesi trapiantati a Ginevra che vide in Francesco Burlamacchi un simbolo non solo cittadino, per la creazione nel centro nord Italia di una Repubbblica nel quattrocento, poi abortita sul nascere, ne fanno emblema di sperimentazione politica. L’avvocato Massei, che fu sostenuto dal duca Carlo Ludovico di Lucca ma anche monitorato e “tartassato” dallo stesso Duca per le sue idee politiche; che partecipò attivamente in sede nazionale nel parlamento del neonato Stato unitario italiano, pur rimanendo in ombra perché rimase sempre di idee repubblicane e mazziniano nello spirito, in età giovanile si trovò a vivere a Napoli la stagione dei moti insurrezionali.
Della vita privata del Massei in età giovanile, non si hanno notizie. Fu comunque indirizzato agli studi classici e successivamente avviato a quelli legali presso scuole lucchesi. Per le capacità personali e i segnali di fedeltà della famiglia il 19 ottobre 1815 ottenne il riconoscimento dal Governo di un sussidio triennale di 600 lire annue per completare gli studi – a sua discrezione – in una delle più famose università d’Europa. Scelto l’ateneo di Bologna, il Massei già il 6 luglio 1816 conseguì la laurea dottorale in diritto a pieni voti. Sulla scia di tali risultati il nostro si trasferì a Roma, dove fu avviato alla pratica legale dal giureconsulto Cavi ed ebbe modo di frequentare anche lo studio dell’avvocato Bonadosi. Nel febbraio 1822 fu iscritto all’albo degli avvocati di Roma. Il soggiorno romano fornì al Massei l’occasione per allargare le proprie conoscenze e incontrare studiosi delle più sparate discipline tra cui Giulio Cordero di San Quintino, storico, numismatico, archeologo molto conosciuto anche a Lucca, insieme al col quale nel giugno del 1820 intraprese un soggiorno a Napoli. Qui ebbe modo di entrare in contatto con le “idee liberali” e di osservare con interesse l’ordinato compiersi della rivoluzione napoletana”.[4]
L’annotazione è di Giovanni Sforza, che sposò in Lucca Elisabetta Pierantoni, la cui famiglia aveva origini napoletane. Se lo Sforza descrive l’episodio della presenza del Massei in Napoli, dove peraltro per l’occasione conobbe il Poerio, ed i suo rapporto col Cordero di San quintino come legato solo a bisogni e motivazioni culturali, possiamo facilmente dimostrare che non fu così.
Giulio Cordero di San Quintino fu un padre Barnabita piemontese di estrazione nobiliare, che ebbe contatti con tutta la nomenclatura europea, soprattutto inglese, legando questi contatti in via ufficiale col suo percorso culturale di archeologo e numismatico, anche dopo aver dismesso i voti. In realtà, come spesso accadeva, si trattò di coperture volte a tenere in vita contatti politici. Non fu casuale che questi personaggi si spostassero sempre su teatri politici in bilico nel momento giusto, anche quando iv si presentavano “spericolate” e/o “inattese” rivoluzioni. Sia il Massei che il Cordero furono dunque in Napoli proprio nel momento, tengo a rilevarlo, in cui le questioni napoletane erano spinose e bollenti. Il personaggio della mia tesi, padre Gioacchino Prosperi, lucchese ed aristocratico, padre gesuita e poi padre rosminiano massone, fu a lungo proprio in quegli anni in Torino, ed ivi in stretta relazione con gli amici più intimi del Cordero. A cominciare dall’intera famiglia d’Azeglio, per proseguire con l’abate Peyron, con gli stessi Sovrani Sabaudi, con diplomatici del calibro di Luigi Cibrario, Filiberto Avogadro di Collobianoe Monsignor Giovan Pietro Losana. E Prosperi era un lineare moderato in strettissimi rapporti, anche di parentela, con i personaggi che citerò più avanti, in sintonia con gli stessi luoghi d’elezione del Massei. Visto poi il proseguo delle vicende del nostro, oso dirlo, Napoli in quel momento non fu per entrambi, Carlo Massei e il Cordero, un rendez vous casuale.
Proprio l’evoluzione della situazione politica del Regno delle due Sicilia e soprattutto l’apertura del Parlamento (non dimentichiamo i forti legami de Cordero con Londra e degli interessi inglesi nella vicenda) spinsero il Massei a prolungare fino alla fine di ottobre del 1820 il suo soggiorno in città. Il Massei prese a seguire quotidianamente le sedute dei deputati napoletani e riuscì anche astringere amicizia con Carlo Poerio. Nel 1839 a Luca giungerà una lettera da Londra scritta a due mani dall’editore piemontese Pietro Rolandi e dal Vate Gabriele Rossetti, entrambi esiliati a Londra. La lettera era indirizzata al patriota lucchese Pier Angelo Sarti, un mazziniano che era rientrato quell’anno a Lucca con moglie inglese al seguito, dopo aver trascorso diversi anni a Londra come patriota mazziniano fuggiasco e lavorato all’interno del British Museum, di cui fu un collaboratore. I saluti del Rolandi e del Rossetti si accompagnano a quelli di molti altri patrioti della penisola. E viene citato anche Carlo Poerio. [5] Il Rolandi cita a piene mani il Duca borbonico lucchese, che ben conosce gli ambienti londinesi dei patrioti fuggiaschi. Carlo Ludovico di Borbone, a differenza dei cugini partenopei, aveva velleità democratiche, si era fatto protestante e voleva diventare, come scrisse suo cugino Carlo Alberto di Savia, re d’Italia. Solo Velleità, o come ho avuto modo di provare grazie al rinvenimento di documenti, anche fondati agganci sia a Berlino che a Londra, il nostro era legato ai Bonaparte mazziniani e inviò il Massei negli anni trenta del XIX secolo in Corsica, in quegli ambienti rivoluzionari in Bastia che ebbero un ruolo decisivo nei moti insurrezionali della Penisola. La mia tesi ed i miei studi lo documentano.[6]
Carlo Massei non era nuovo ai moti insurrezionali. L’esperienza napoletana portò con sé, prima del soggiorno in Corsica voluto dal Duca Borbonico, fantomatiche cospirazioni mazziniane di cui fu accusato e che videro poi il Duca come soggetto amnistiante. Carlo Ludovico era incostante e certamente cercava di nascondere questi suoi progetti rivoluzionari alle autorità viennesi. Massei viene citato in una lettera rivoluzionaria in codice di Ant. M. ( Antonio Mordini ai tempi della militanza nella lega Italiana dei fratelli Fabrizi), lettera del 1843.) [7] Qui sono ben evidenti coinvolgimenti inglesi, del duca, ma anche dei Savoia in un progetto federale che dalle carte, non escludeva i sovrani della penisola che non facevano Asburgo. Paradossalmente anche i Borbone di Napoli in quel 1843 potevano, stanti le carte, non essere estranei e/o ignari di fronte a questi tentativi di cacciare lo straniero dalla Penisola, in un’ottica federale.[8] Se questo è il quadro, e sella frequentazione dintorni al 1846-1848 di Carlo Massei col livornese Gian Domenico Guerrazzi sono evidenti dai carteggi, nulla vieta che la relazione intercorrente tra Los tesso e l’ex agente murattiano Giuseppe Binda, anche lui di idealità Mazziniane, che curava gli interessi americani in Livorno, potesse esserci del tutto.
Se analizziamo gli ambienti londinesi che protessero gli amici di Carlo Massei, ci rendiamo conto che si tratta degli stessi con cui Giuseppe Binda e i Bonaparte Mazzini fuggiaschi erano in assonanza. Una realtà inscindibile, almeno fino al 1848.
Napoli ed il sud rappresentarono per questi patrioti un connubio ricco di risvolti . Ed una presa di volontà di partire proprio dal sud per rivendicare spazi politici fino ad allora vietati all’Italia stessa. Meravigliose risorse, gesti semplici ma diretti a gran voce verso chi necessita di sostegno e comprensione. Finalmente un barlume di visibilità italica d’insieme che ritengo non sia stata ancora abbastanza messa in risalto. Che nel 1820 era più ricca di sfumature di quanto sin qui sia stato prodotto.
[1] Luigi Cibrario, lettere pubblicate nel 1819 per l’editrice Agliana, Torino.
[2] www.sorico.org, Giuseppe Binda, articolo mio qui pubblicato.
[3] North Carolina, Stati Uniti, documentazione rinvenibile presso famiglie vicine allo stesso Belmont. E alla famiglia Sumeter, ivi residente.
[4] Giovanni Sforza, storie di uomini lucchesi illustri, 1886, p. 74.
[5] Archivio di Stato di Lucca, Legato Cerù, rif. 18. Lettera alla voce Rossetti.
[6] “Padre Gioacchino Prosperi. Dalle Amicizie Cristiane ai valori Rosminiani” Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, A.A. 2009- 2010. Autore Elena Pierotti
[7] Lettera che appartiene all’ingegnere Enrico Marchi di Lucca, che me l’ha gentilmente concessa.
[8] Archivio di Stato di Lucca, Fondo Mansi e carte Bernardini, lettere della marchesa Eleonora Bernardini di Lucca ad Ascanio Mansi degli anni 1830-1838.