Quattro anni, ma la ferita è aperta. Le immagini sono vivide. La lunga fila di camion militari con le bare dei
morti di Covid a Bergamo è ancora impressa nella nostra memoria. Il simbolo più drammatico di una
stagione terribile, con un bilancio complessivo che ha contato oltre 200mila morti. Basta chiudere gli occhi
per tornare a quei terribili giorni di un Paese stordito e impaurito, chiuso nei suoi lockdown, fra strade
deserte e balconi pieni. Un Paese che, però, proprio nell’ora più buia, è riuscito a ritrovare le ragioni di una
comunità. Lo ha sottolineato con forza il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel giorno della
memoria delle vittime del Covid, ricordando come “lo sforzo sinergico e solidale delle Istituzioni ad ogni
livello, del personale sanitario, dei volontari e società civile, abbia consentito di arginare un nemico
intangibile all'insegna di una rinascita globale". Un Paese che nell’emergenza ha ritrovato i valori dell’unità.
Per il resto ci ha pensato il progresso scientifico e i grandi balzi in avanti compiuti dalle conoscenze
mediche, che hanno consentito di realizzare un vaccino in tempi inimmaginabili appena un decennio fa.
Perfino l’Europa ha avuto uno scatto, approvando quel grande piano per la Ripresa e Resilienza (il
cosiddetto Next-Generation Ue) che ha dato ai cittadini del vecchio Continente l’impressione di una Unione
che non dispensa solo sacrifici ma anche risorse economiche.
Ma il pericolo è davvero superato? Abbiamo imparato la lezione del Covid? In realtà, le risposte non sono
affatto semplici. Prima di tutto perché il virus è ancora fra di noi, continuerà a circolare e ad evolversi con
tutte le sue varianti. Stiamo imparando a convivere con la pandemia, ma questo non significa che, in futuro,
non possa tornare a fare paura. Ma quello che è davvero preoccupante è la facilità con la quale il nostro
sistema sanitario sembra essere tornato ai livelli pre-Covid, con le stesse file d’attesa per i pazienti,
l’ineluttabile scarsità di medici e infermieri, gli investimenti che procedono con il contagocce nonostante la
dote di risorse prevista dal Pnrr. Eppure, dovremmo continuare a studiare nei laboratori le varianti del
virus, migliorare e aggiornare continuamente i vaccini, risolvere le vergognose diseguaglianze del sistema
sanitario italiano e quello fra Paesi ricchi e Paesi poveri, mantenere e diffondere i test diagnostici, far
ripartire adeguate campagne di vaccinazioni, in poche parole, mantenere sempre ben alta la guardia.
L’impressione, invece, è che passata l’emergenza, ci sia stata una sorta di rimozione di massa, con il
tentativo, più o meno consapevole, di voltare pagina e dimenticare quella stagione. Solo che, come tutte le
rimozioni compiute a metà, nel fondo della coscienza restano le immagini di Bergamo e le grandi paure.
Dovremmo fare in modo che le une e le altre trasformino la ferita in un progetto per il futuro insegnandoci
a vivere in un pianeta di virus.