ANTONIO TROISE
Non è una partita a poker, si è affrettato ad assicurare il presidente della Commissione Ue, Junker. Eppure, sul tavolo della Grecia, dove si gioca il destino di undici milioni di cittadini europei, tutti puntano al rialzo. C’è la Merkel che fa sapere che se fallisce l’euro fallisce l’Europa. C’è Renzi che parla, esplicitamente, di un derby fra euro e dracma. C’è Obama che telefona preoccupato alla Cancelliera tedesca. Si fa sentire perfino Pechino che non vuole una Grecia fuori dalla moneta unica.
Come sempre, il termometro vero della situazione, è quello dei mercati. Ieri, le Borse di tutto il mondo hanno registrato dei veri e propri momenti di panico, segno che la partita è tutt’altro che sotto controllo. E, al di là dei 36 miliardi di euro di crediti che rischiamo di veder svanire nel nulla, il vero pericolo, anche per l’Italia, è un altro: il trattato sulla moneta unica non ha mai previsto che uno dei soci potesse ritirarsi. Il legame era, ed è, considerato indissolubile. Non si può tornare indietro. L’uscita della Grecia rappresenta, perciò, un precedente che mina alle radici l’euro, mette a dura prova la tenuta del trattato e amplifica a dismisura il rischio del contagio, soprattutto per i partner più deboli.
L’eventuale default di Atene, che vale più o meno il 2% del Pil del Vecchio Continente, mette a nudo l’estrema fragilità di una moneta che era basata su un calcolo contabile (i rapporti di cambio) ma, soprattutto, sul grande sogno dei padri fondatori dell’Unione: creare, attraverso l’euro, una vera e propria nazione europea, in grado di trasformare il vecchio continente in un grande soggetto politico, in grado di tenere testa alle vecchie e nuove superpotenze. Un obiettivo che, con la crisi, si è prima appannato e, poi, irrimediabilmente perso di vista. Il timone dell’Europa è passato dalle mani dei leader politici a quelli degli euroburocrati che, sia pure con qualche lodevole eccezione (leggi Mario Draghi) non sono stati capaci di trovare soluzioni praticabili ed adeguate exit strategy.
Ora, la situazione, è sfuggita di mano. La mossa del referendum ha, di fatto, spiazzato le diplomazie ed ha spinto Bruxelles ad un’ingerenza inedita sul voto di uno Stato membro. Ma, ormai, la posta in gioco è talmente alta che sono saltate tutte le regole. Se i greci diranno no all’accordo promosso dalla Troika e appoggeranno Tsipras, all’Ue non resteranno che due strade: mettere da parte l’orgoglio e tornare al tavolo delle trattative con più miti pretese o procedere con il salto nel buio dell’espulsione della Grecia. In entrambi i casi il fallimento politico sarà completo.