Non si ferma l’escalation della tensione nel Mar Rosso. Anzi, il massiccio attacco alle caccatorpediniere
americane, condotto da 37 droni, rappresenta un vero e proprio salto di qualità nel conflitto. Non si tratta
più di offensive sporadiche, da “pirati” del mare ma di una vera e propria strategia bellica che ha come
principale obiettivo non solo gli Stati Uniti ma soprattutto l’Europa. E, le minacce rivolte proprio ieri nei
confronti delle navi italiane dai ribelli yemeniti non promettono nulla di buono. Con un rischio ancora più
evidente: quello di una saldatura fra il conflitto nel Mar Rosso e quello Israeliano, con l’Iran nel ruolo di
grande regista. Da una parte cercando di allargare il conflitto di Gaza a tutto il Medioriente. E dall’altra
aizzando i suoi alleati yemeniti, le tribù sciite degli Houti, ad attaccare il naviglio occidentale che, attraverso
lo stretto di Bab el Manden (la cosiddetta “porta delle lacrime”, tra Somalia ad ovest e Yemen ad est) entra
nel Mar Rosso per poi arrivare al Mediterraneo, passando per il Canale di Suez. Ed è quasi inutile ricordare
che da quella stretta striscia di mare passa il 12 per cento del traffico mercantile mondiale e il 40 per cento
di quello italiano.
Ma, la vera emergenza, prima ancora che economica, è soprattutto politica. E riguarda il ruolo che l’Europa
può e deve svolgere in questa area strategica per i suoi interessi. E’ evidente a tutti, insomma, che non con
una guerra al suo interno e un’altra alle sue porte, l’Unione Europea non può più voltarsi dall’altra parte e
arroccarsi nella sua trincea sperando che siano altri Paesi a scendere in campo al suo posto e risolvere i
problemi sullo scacchiere geopolitico mondiale. Fino ad ora, tutto sommato, è andata abbastanza bene,
soprattutto grazie all’impegno degli alleati americani. Attenti, però: in primo luogo non è detto che questo
sostegno duri per sempre. Anzi, è probabile che la vittoria di Trump alle prossime elezioni possa portare ad
un deciso sganciamento del colosso americano dalle vicende dell’Ucraina o del Mar Rosso. In secondo
luogo, è pericoloso e scaricare tutte le responsabilità sui populismi di questo o quel paese evitando, ancora
una volta di assumersi le proprie responsabilità. Germania, Italia, Francia e gli altri Paesi membri europei
della Nato hanno da tempo promesso più spese per la difesa, ma poi non le hanno mai realizzate. Manca
ancora una politica di difesa comune dell’Unione nonostante le parole pronunciate neanche qualche giorno
fa dalla presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen. E non si capisce neanche quale sarà, nei
prossimi giorni, la posizione dell’Unione sul fronte del Mar Rosso, se ci saranno contromisure comuni o se a
combattere i ribelli continueranno ad esserci solo le navi americane e inglesi con qualche sparuta pattuglia
di pochi Stati alleati. La verità è che ancora una volta l’Unione continua a muoversi in ritardo e senza una
vera e propria strategia unitaria. Questa volta, però, i rischi sono decisamente molto più alti: in gioco c’è la
pace e la stabilità non solo di Paesi lontani ma della stessa Europa.