Ci sono le luci, quelle di un Paese dove lo spread è tornato ai livelli di tre anni fa, l’inflazione non fa più paura, i consumi interni sono in ripresa e gli investimenti hanno registrato un forte aumento: +4.9%, passando dal terreno della stagnazione a quello di una forte espansione. Ma anche le ombre, quelle proiettate sull’orizzonte di uno scenario internazionale segnato da una sessantina di conflitti e, in particolare, da una vera e propria guerra contro l’Occidente che si combatte a colpi di droni sulle rotte commerciali del mar Rosso. La consueta analisi congiunturale di Confindustria ci consegna non solo una fotografia dell’esistente ma allarga lo sguardo anche sulle prospettive a breve termine della nostra economia, segnalando una crescita frenata dalle incertezze geopolitiche. E’ vero che, dalla revisione dei dati dell’Istat, il Pil 2023 è uscito rafforzato, anche al di là delle previsioni. E che, se riuscissimo davvero a far decollare gli investimenti previsti del Pnrr, potremmo avvicinarci a quell’obiettivo del +1,2% del Prodotto Interno Lordo previsto nell’ultima manovra economica. Un dato che smentirebbe le previsioni che, dall’Fmi all’Ocse, inchioderebbero la crescita italiana fra lo 0,7 e lo 0,8%. Mentre, sul fronte dell’industria, le buone notizie arrivano dal fatturato, aumentato del 3,2%: segno di un recupero della produzione a inizio d’anno.
E’ presto, però, per cantare vittoria. Per usare la metafora del Centro Studi di Viale dell’Astronomia, il nostro sistema produttivo è ancora in convalescenza. Per guarire davvero ha bisogno di una ulteriore iniezione di antibiotici. A partire dal taglio dei tassi di interesse, che la Bce continua a rinviare a giugno prossimo. La verità è che per rilanciare effettivamente la nostra economia occorrerebbe chiudere la pagina delle politiche deflazionistiche e imboccare, rapidamente, quella di una ripresa degli investimenti sia pubblici sia privati. Una svolta che, però, andrebbe accompagnata da un serio ripensamento delle strategie di crescita a livello europeo.
Va bene il nuovo fondo per lo sviluppo suggerito da Draghi, anche con l’emissione di eurobond, titoli garantiti dall’Unione. Ma, prima ancora, occorre ripensare profondamente alla governance di Bruxelles e, soprattutto, evitare di ingabbiare l’industria europea nei lacci di regolamenti e normative che in nome di transizioni più o meno green mettono a dura prova la sopravvivenza del nostro sistema produttivo. Il caso del regolamento del packaging, da questo punto di vista, è emblematico: solo grazie alla battaglia portata avanti dall’Italia si è riusciti ad evitare norme che avrebbero penalizzato intere filiere, dall’agroindustria al farmaceutico. Per tornare a crescere serve un’Europa in grado di garantire la pace (con una difesa comune), la stabilità (con una governancepiù efficace) e la competitività (con regoleche garantiscano gli investimenti produttivi senza salti nel buio e una politica energetica orientata sull’indipendenza dal gas russo). E’ vero che, come dice Confindustria, sono tempi incerti per l’economia e difficili per gli economisti. Ma la ripresa del 2024 dipenderà soprattutto dalle scelte che si faranno nei prossimi mesi. Vietato sbagliare.