Il governo esulta. Il premier tweeta contro i soliti “gufi”. Il ministro del Lavoro non sta nella pelle. I dati diffusi ieri dall’Inps disegnano una bella pennellata di rosa sul fronte dell’occupazione. Tutto merito delle nuove regole del Jobs act (la riforma del mercato del lavoro) e degli incentivi per i neoassunti decisi dal governo, una iniezione di oltre 14 miliardi in tre anni. Risultato: un forte aumento, oltre il 36%, dei contratti di lavoro a tempo indeterminato e un calo di quelli “precari”. Ma l’Inps fa anche di più. Il saldo fra nuovi rapporti di lavoro e quelli interrotti è fortemente positivo, con 683mila nuovi occupati, oltre il 30% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
Un quadro che sembra fare letteralmente a pugni con le variazioni sui nuovi posti di lavoro, dell’ordine di qualche decimale, registrate mese dopo mese dall’Istat e con i record negativi che ancora sistemano l’Italia ai primi posti nelle classifiche europee dei disoccupati. A chi credere? Chi ha ragione?
Partiamo dai dati certi. La riforma del mercato del lavoro, insieme al taglio dei contributi, ha avuto soprattutto l’effetto di stabilizzare i contratti. In sostanza, pur di incassare gli incentivi, le imprese hanno trasformato i vecchi rapporti di lavoro a tempo determinato in quelli a tempo indeterminato, sfruttando anche l’abolizione delle tutele dell’articolo 18. Una buona parte dei numeri messi in mostra dall’Inps più che riflettere la creazione di nuovi posti di lavoro sono la conseguenza di una variazione, per così dire, “amministrativa”. Che però sarebbe un errore sottovalutare: per un mercato del lavoro da troppo tempo segnato dalla precarizzazione, avere rapporti più stabili é sicuramente positivo. Ma questo non significa che, miracolosamente, il job act abbia creato quasi 700mila posti di lavoro nei primi sei mesi. La realtà, da questo punto di vista, é molto più vicina alle statistiche dell’Istat (certificate a livello europeo) che a quelle basate unicamente sulle variazioni contrattuali dell’Inps. I posti di lavoro non si creano per decreto ma solo se ripartono gli investimenti e se c’è una vera ripresa economica. L’azienda Italia, invece, continua a marciare a ritmi molto bassi. E forse non ha torto chi dice che, con questo passo, torneremo solo fra venti anni ai livelli di occupazione pre-crisi.
È giusto valutare positivamente gli effetti dei Jobs act, fa bene l’esecutivo a insistere sulla strada dei taglio del costo del lavoro. Ma Renzi farebbe un grave errore se oggi si fermasse ai primi dati positivi della sua azione per abbassare la guardia. La situazione del mercato del lavoro resta ancora critica. E, se l’economia non si rimette in moto, anche l’Inps sarà presto costretta a ridimensionare i suoi dati positivi e tornare con i piedi per terra.