C’è aria di ripresa in Europa. Dopo sette anni di recessione anche quel venticello leggero segnalato ieri dalla Bce, non è affatto da sottovalutare. Anzi, è una boccata di ossigeno. Ma mentre gran parte degli altri Paesi hanno tirato su le vele ed hanno cominciato a muoversi sia pure con ritmi differenti, l’Italia arranca, viaggia ad una velocità dimezzata rispetto ai suoi principali partner. Da questo punto di vista, la moneta unica non ha portato quella convergenza fra le economie che era stato uno dei suoi principali obiettivi. Le parole di Mario Draghi, numero uno della Banca Centrale Europea, suonano come un campanello di allarme ma anche come un monito. E’ da oltre vent’anni che l’Italia, nonostante il suo secondo posto nella classifica europea dell’industria manifatturiera, continua a essere un Paese-tartaruga. Un dato per tutti: negli anni più duri della crisi, fra il 2008 e il 2013, il Pil dei 27 dell’eurozona è calato dello 0,8%, in Italia dell’8,9%, dieci volte di più.
Ma c’è un altro elemento ancora più preoccupante, denunciato ieri dalla Svimez, l’associazione che ogni anno sforna il rapporto sul Mezzogiorno. C’è un terzo del Paese che in dieci anni ha fatto addirittura peggio, è cresciuto la metà della Grecia e si allontanato a tutta velocità dalle aree più forti della moneta unica. Nel Sud non si fanno neanche più figli: nel 2014 ci sono state solo 174mila nascite, un dato che ci riporta indietro di 150 anni, a prima dell’unità. Un meridionale su tre è ad un passo dalla povertà o vi è già dentro. Ancora più clamorosi i dati sulla disoccupazione: un giovane su due è senza lavoro mentre gli occupati hanno raggiunto il minimo dal 1977. Insomma, il Sud rischia di diventare un’area permanente di sottosviluppo e l’Italia sembra essere condannata ad un dualismo che non ha paragoni nelle economie occidentali.
Per questo, oggi, la partita decisiva del nostro Paese resta quella della crescita. Una sfida che non può essere affrontata con le armi spuntate messe a disposizione dei cittadini e delle imprese. Ma con un vigoroso piano di riforme che porti ad una sostanziale riduzione delle imposte e alla lotta, senza quartiere, a tutti quei vincoli che ancora impediscono al Paese di ridurre il divario interno, che riguarda il Mezzogiorno, e quello esterno, con i Paesi più forti dell’eurozona. Il venticello della ripresa che ha cominciato a soffiare in Europa rappresenta un’occasione da non perdere, forse l’ultima per uscire dalla recessione e cambiare finalmente passo. Altrimenti non solo il Sud ma l’intero Paese sarà condannato ad un futuro di bassa crescita se non di declino.