L’Italia ha cominciato a riscaldare i motori. L’economia comincia a muoversi dopo anni in cui ha bruciato capacità produttiva e posti di lavoro. L’ennesima conferma arriva da un punto di osservazione privilegiato, quello dell’Associazione Bancaria Italiana. Che registra una novità non meno importante: quella di una inedita convergenza dei tassi di crescita del Bel Paese con quelli dei principali competitor europei. Nel 2015 il nostro Pil dovrebbe aumentare dello 0,7%, poco più della metà rispetto alla media Ue. Ma nei due anni successivi, la crescita dovrebbe raggiungere l’1,6%, in linea con le performance del Vecchio Continente. Ci sarebbe un riavvicinamento dell’economia italiana agli standard europei, cosa che non accadeva da almeno quindici anni.
Ma sarebbe sbagliato cantare vittoria troppo presto. In primo luogo il passo dell’Europa è ancora troppo lento. Forse sarebbe più corretto dire che l’Europa si sta “italianizzando” piuttosto che il contrario. Ma c’è un altro dato significativo: anche se crescessimo ad un ritmo a ridosso del 2%, servirebbero non meno di 15 anni per tornare ai livelli pre-crisi. I numeri diffusi proprio ieri dalla Cgia di Mestre sono eloquenti: la recessione ha bruciato quasi 110 miliardi di investimenti, una caduta del 30% in sette anni. Di fronte a queste cifre, è illusorio pensare che ci si possa accontentare di quello che “passa il mercato”, e cioè un aumento del Pil dettato da una crescita moderata della domanda interna e da una ripresa, a macchia di leopardo, dell’export. Elementi in grado di allontanare lo spettro della deflazione con l’inevitabile spirale della bassa crescita. Ma non sufficienti.
Occorre, invece, proprio approfittare del cambiamento di tono dell’economia per affrontare con forza quello che è il vero nodo della bassa crescita italiana: l’elevato livello della pressione fiscale. Con un peso delle tasse che arriva a sfiorare il 60% è davvero difficile immaginare un aumento della competitività e soprattutto un’accelerazione del Prodotto Interno Lordo in grado di farci recuperare i posti di lavoro e la ricchezza perduta negli ultimi sette anni. L’Italia, ma anche l’Europa, deve tornare a scommettere su se stessa, imboccando con maggiore decisione la strada che porta al rilancio degli investimenti e riducendo un po’ quell’ossessione “rigorista” che, Grecia a parte, non è riuscita a trovare il giusto mix fra il risanamento dei conti pubblici e le politiche di sviluppo. È arrivato il momento di trovare altre strade, per trasformare i primi sprazzi di rosa in uno scenario che, per troppo tempo, è stato a tinte scure, in una ripresa solida e, soprattutto, più forte. Renzi, con il suo piano di riduzione delle imposte, lo ha capito. Bisognerà vedere ora se anche Bruxelles gli darà ragione