di Bianca Fasano
Dopo molto dolore nacque suo figlio e il suo uomo la lasciò, non appena l’infermiera lavò il piccolo e lo consegnò alla madre.
Era bianco.
Un padre nero come l’avorio non può accettare che dalla propria donna nera venga fuori un essere dalla pelle bianca.
-“E’ uno zeruzeru”- Decretò.
Così erano definiti i piccoli diavoli bianchi (gli albini), nel villaggio di Maka. Si trovava fortunatamente in un clima mediterraneo ed era meno indigente di altri, ma questo non modificava le abitudini ancestrali.
La vegetazione a macchia, era stata utilizzata dall’agricoltura, per cui vi cresceva la vite e l’ulivo e quindi la vera povertà non era di casa.
Tuttavia l’ignoranza imperversava.
Strinse al seno quell’essere bianco che subito dimostrò la sua voglia di vivere succhiandolo.
Cosa ne avrebbe fatto?
Secondo quando aveva sentito dire, era stato il diavolo a sostituire suo figlio, nel suo grembo, con un bimbo albino.
Perché lei sapeva che suo figlio non poteva essere che albino. Lei non aveva tradito il marito con l’uomo bianco presso di cui lavorava come cameriera. La famiglia presso cui vivevano lei e il suo compagno era europea: una coppia di medici che a giorni sarebbe rientrata in Italia. Guardò il suo cucciolo e provò verso lui un amore feroce, ma sapeva bene che sarebbe stato condannato alla sofferenza: gli albini erano considerati contagiosi e potevano trasformare in pelle bianca chiunque li toccasse.
Lei sapeva, inoltre, che suo figlio sarebbe stato considerato un fantasma dei colonizzatori europei.
L’avrebbero condannata: doveva per forza avere avuto un rapporto sessuale con un uomo bianco. L’avrebbero cacciata dal villaggio, sempre che lei non avesse ucciso e seppellito il piccolo mostro. Ma c’era di peggio: le avrebbero proposto di acquistarlo per prelevare al bimbo le orecchie, la lingua, il naso, ma anche i genitali e gli arti.
Il suo uomo si era mostrato fin troppo buono: avrebbe potuto strapparle il figlio dalle braccia per rivenderlo a cifre enormi. Sapeva di bambini venduti, fatti a pezzi, la cui pelle era stata usata per confezionare talismani.
Cosa avrebbe fatto di lui?
Si addormentò, stanca e provata, con il bimbo a fianco, ma fu svegliata da un rumore.
Aprì gli occhi e vide che il dottore e la moglie la stavano osservando. Era brava gente, venuta in Africa per aiutare. Avevano vissuto per molti mesi in una capanna del villaggio, migliorando l’ospedale che era stato realizzato con denaro proveniente dall’Italia.
In quell’ospedale era nato suo figlio e Dott, con la moglie Irene, era venuto a salutarlo.
Ma adesso l’osservavano.
-“E’ bianco”- Disse Maka.
-“E’ albino”- Disse Irene.
Per qualche minuto tacquero tutti, tranne il piccolo che cominciò ad agitarsi e lanciare tenui strilletti pretenziosi: aveva fame.
La moglie del dott allungò le braccia per prenderlo e lei glielo consegnò.
Nel momento in cui il piccolo fu tra le braccia chiare di lei, sembrò essere al posto giusto. La pelle di lei e quella di lui erano uguali. Bianche.
-“Tu comprendi che non puoi tenerlo, vero?”-
Chiese l’italiana cullando suo figlio.
-“Sì. Il mio uomo mi ha lasciata. Posso tornare a casa con voi?”-
-“Certamente. Ma tra quindici giorni noi ritorneremo in Italia. Allora cosa sarà di te? Cosa avverrà del bambino?”-
Tacque.
Parlò il medico: -“Lo sai che ho studiato come sono trattati gli albini qui da voi. Li fanno a pezzi, perché la magia nera africana sostiene che se lo zeruzero soffre molto morendo, più urla, mentre gli sono amputati gli arti, più grande è il potere presente nell’arto amputato. Le Nazioni Unite hanno contato più di 70 albini uccisi in Tanzania negli ultimi mesi. E’ un numero basso rispetto alla realtà. Vuoi venderlo? Vuoi ucciderlo? Vuoi vederlo fatto a pezzi? Lo sai che anche se vorrà studiare sarà trattato come un deficiente. Nelle scuole, ammesso che tu possa portarlo all’età scolare, nessuno capirà che deve stare vicino alla lavagna, perché vede male, perché il suo udito può essere basso.”-
-“Cosa volete che faccia?”-
-“Dallo a noi. Non abbiamo figli e lo adotteremo.”-
-“No!”- Urlò lei.
Ma sapeva che l’offerta era buona.
-“Lo faremo crescere e studiare. Sarà un bambino normale. Bianco tra i bianchi.”-
-“Dimenticherà la sua gente. Dimenticherà sua madre!”-
-“Noi faremo in modo che non accada. Gli parleremo della sua terra e di sua madre. Gli diremo anche che tu hai fatto un grosso sacrificio a lasciarlo a noi, per farne un uomo felice. Studierà. Forse diverrà medico. Forse deciderà di tornare nella sua terra, da forte, da adulto, da italiano. Così potrà cambiare le cose. Se lo terrai morirà o ne farai un infelice.
Maka sapeva che avevano ragione.
-“Portatelo a casa.”- Disse.
Così fecero e dopo una quindicina di giorni in cui ebbe modo di vedere come fosse amato, lo condussero via con loro.
Lei non pianse. Poté tornare al villaggio, da sola. Il suo uomo la guardò e non disse nulla, ma poi l’abbracciò e la tenne con sé: aveva agito bene.