Era di fronte a lei, un po’ di fianco, nascosta soltanto in parte dallo scaffale della libreria che sovrastava la scrivania dove lavorava.
Scriveva a computer e di tanto in tanto lo sguardo volava sulla foto: una spiaggia (Coroglio? Licola?), se stessa bambina, con un cappello giallo (la foto era in bianco/nero, ma lo ricordava, le pareva di poterlo toccare), seduta, gambe piegate, un braccio teso a sfiorare la spalla del fratello Gianni (in foto c’erano tutti e quattro i fratelli), anch’egli sulla sabbia (doveva scottare), con la sua aria malandrina e allegra, una gamba tenuta con le braccia e l’altra tesa.
Alle spalle, in piedi, il fratello Vincenzo (lo scacchista), Leonardo (l’amato scienziato), la zia Veronica (che era un poco anche la loro mamma), e infine Roberto, il più alto, il più forte, Ivan il terribile che, nella foto, aveva il braccio sinistro proteso in basso, verso di lei. Forse intendeva fare sì che stesse ferma, per la foto.
No, Non ricordava affatto chi l’avesse scattata. Mancavano la mamma e il padre, quindi era pensabile che a scattarla fosse stato il papà.
Ricordava che vi fosse stata un’altra foto, dove erano tutti assieme e la zia non c’era. Quella che le avevano spedito quando, partita per la colonia (testardamente), volevano consolarla per il distacco. Ricordava che la mamma le aveva scritto dietro, con la sua grafia svolazzante:
-“Tra poco saremo di nuovo tutti assieme.”-
Tutti assieme non lo erano più da un pezzo.
La foto l’aveva recuperata, morta la zia, tra le carte da buttare via. L’osservava spesso, chiedendosi se la lei bambina avrebbe potuto (era stata sempre un po’ capace di predire il futuro), avvisare, al tempo, il fratello Gianni dei rischi che correva.
Il fratello Roberto delle sofferenze che l’attendevano se avesse compiuto le stesse scelte.
Suo padre, perché non la lasciasse troppo presto a causa di un infarto.
A lei stessa, cosa avrebbe suggerito?
Poteva? Avrebbe potuto?
Scriveva un romanzo. La figliola più piccola stava per uscire: un esame all’università.
La luce del balcone penetrava stranamente velata e poco nitida a causa…
a causa?
Non capiva: pochi minuti prima un bel sole di maggio faceva capolino -finalmente – in quella primavera fredda. Adesso, invece, sembrava che la luce avesse perduto di forza.
-“Chissà come mi sentirei se tornassi di nuovo a quegli anni: una bambina agile, danzatrice, col corpicino svelto, le gambe veloci. Chissà.”-
Un tuffo.
Oddio, non respiro!
Il mare mi sommerge. Qualcosa mi è piombato addosso. Mi agito come un gatto nell’acqua. Non sono mai stata troppo brava a nuotare, ma adesso non riesco a venire fuori con la testa.
Vorrei urlare, non posso, graffio l’acqua, m’infilo in uno spazio più chiaro, mi lancio nel chiaro e qualcuno mi aiuta, mi afferra. Graffio anche quel qualcuno.
Ecco, sono all’esterno. Mi avevano inavvertitamente sommersa con una camera d’aria della gomma di un autocarro.
Ma questo lo scoprirò dopo.
Per intanto ritorno a riva, sconvolta, dopo avere bevuto un bel poco di acqua salata. Già lo so, quell’avventura mi segnerà a vita. Se possibile, diverrò ancora di più ansiosa al solo vedere il mare.
Mi viene incontro mio fratello Gianni. Com’è snello! Come siamo magri tutti noi! in quegli anni cinquanta il problema dieta non fa parte della famiglia.
-“Che cosa ti è successo?”-
-“Non so. Non so.”- Sono lì, gocciolante, infuriata, ragazzina di circa otto anni, mentre gli esseri stupidi che mi hanno gettato addosso la camera d’aria se la sono prudentemente data a gambe. Il mio corpicino è agile, piccolo. Guardo in su verso gli occhi neri, verso i denti chiari del sorriso di Gianni. Lo abbraccio.
-“Che hai? Che cosa è successo?”-
-“Successo? Non so!”- Lo abbraccio di nuovo. Ha il corpo asciutto, caldo di sole e lo infastidisco con il mio bagnato e freddo. Però se la ride. Tipico.
E’ abbronzato.
-“Gianni?”-
-“Sì?”-
-“Debbo dirti una cosa.”-
Ho qualcosa da dirgli, sento dentro me che è importante, ma sembra che venga inghiottita dal sole che mi batte sulla testa. Non ho i miei zoccoletti da spiaggia e sto per scottarmi i piedi. Lui mi prende per sotto le braccia e mi solleva, depositandomi più in là sugli asciugamani da bagno.
-“Dopo. Me lo dici dopo. Sto andando con Roberto e Leonardo a fare una nuotata.”-
Non importa, tanto non ricordo più cosa dovevo dirgli.
Mi guardo intorno. C’é la zia che prende il sole. Un bambino di circa quattro anni, tutto nudo. Guarda anche lei nella mia direzione e sorride.
-“E’ un maschietto.”- Mi prende in giro, perché crede che io gli stia guardando qualcosa che io non ho. Ma non è vero.
A casa, con quattro fratelli e un padre, mai che sia capitato di vederli nudi. Certo che non ho mai visto un maschio nudo, ma nemmeno in mutande. Tutti ben attenti a mantenersi coperti davanti alla piccola di famiglia.
-“No, zia! Guardavo per caso!”-
Lei continua a sorridere ironicamente.
Il sole è a picco su di me, lo stomaco reclama. Ecco mia madre: costume a un pezzo, capelli rossi e ricci, giovane, bella, bianca. Non è abbronzata.
-“Vieni ad aiutarmi?”-
-“Per fare cosa?”-
-“Mettiamo in tavola.”-
In tavola? Non capisco ma la seguo.
C’é una passerella in legno, inseguendola giungiamo alle cabine: sembrano piccole abitazioni e ognuna, sul davanti, ha un terrazzino in legno. Che belle!
Entriamo e si fa aiutare a portare fuori un paio di tavolini in legno, di quelli che si aprono.
Poi l’aiuto a metterci su una, due tovagliette e un recipiente che contiene un’enorme frittata di pasta al forno.
Arrivano “i ragazzi”, portano le gazzose e le birre. Mio padre ritorna dal mare, con l’aria di chi è a disagio: il dirigente di banca fatica ad assumere il ruolo del bagnante. Tra l’altro, con il nuoto, non ha dimestichezza: di qualcuno dovevo avere preso, io!
Si mangia. Che buono! Cosa non c’é in quella frittatona!
La fame passa, ma non l’intontimento. Continuo a sentirmi come se dovessi ricordarmi qualcosa. Roberto fa sempre un tantinello il dispettoso. Non avevo qualcosa da dire anche a lui? -“Roberto, tu dovresti evitare di…”-
-“Evitare cosa?”-
-“Forse una ragazza. Forse non ha colpa lei, ma poi succederebbe…”-
-“Farfugli? Ti ha dato in testa il caldo?”-
-“No.”-
-“E allora?”-
-“Niente. Allora, niente.”-
-“Lasciala stare, Roberto!”- Protesta Gianni. -“Stava per affogare, a mare.”-
-“Affogare?”-
Chiaramente interviene mia madre e mi tocca raccontarle l’avventura con la ruota d’autocarro. Si arrabbia contro il mondo, vorrebbe sapere chi è stato, poi sgrida uno ad uno i miei fratelli che mi hanno lasciata sola. Non è colpa loro. Inoltre, sono io che mi allontano da loro perché mi fanno gli scherzi: nuotano sott’acqua e mi tirano le gambe. Gianni, è vero, ci prova a farmi nuotare. Mi tiene la testa fuori e dice:
-“Sei leggera, resta a galla. Fai il morto.”-
Io sono proprio negata e resto a riva, dove c’é piede. Da non credere! In famiglia i miei fratelli (tutti tranne Vincenzo, in verità), sono capaci di nuotare per miglia. Roberto, quando andiamo in barca, si tuffa e scompare fino a quando non lo diamo per morto. Invece io…
-“Gianni, tu dovresti fare a meno di…”-
-“Cosa?”-
-“Se incontri quella ragazza, quella che quando sta seduta fa uno strano movimento con le narici…”-
-“Michela, ma che dici?”-
-“Poi… forse per la sabbia. Il piede, quel neo, non metterci le mani tu, fallo vedere…”-
-“Michela ha preso un colpo di sole!”- Ride Roberto.
-“No. E’ stata la paura.”- Asserisce mia madre.
Mio padre tace. Mi guarda in modo strano: io e lui ci siamo sempre capiti con lo sguardo.
-“Anche tu, papà, troppo lavoro. Io penso che…”-
-“Cosa pensi?”- Oggi il suo sguardo sembra provenire da una distanza insormontabile.
-“Forse, se lavorassi di meno. Forse se ti curassi di più…”-
Adesso mi osservano tutti, perplessi. Preoccupati, direi. Non ricordo più cosa volevo dire.
“i ragazzi” fuggono via.
-“Non fate il bagno dopo mangiato”- Gli grida dietro mia madre. Papà si stende in cabina, la zia si allontana verso l’ombrellone. La seguo.
Passano le ore. A breve andremo via. A breve tramonterà il sole.
Eccoli i miei fratelli! Ritornano agli asciugamani. Bagnati, spruzzando sabbia.
– “Finitela! Mi riempite di gocce!”- Brontola la zia.
Si passano gli asciugamani l’uno con l’altro e poi cominciano a metter a posto per rientrare. Leonardo indossa una camicia, io un giacchettino sul costumino a righe.
Arriva mio padre con la sua Nikon e suggerisce di fare una fotografia di gruppo. Non ne abbiamo molte di foto, al mare, perché non ci andiamo molto spesso. Almeno non tutti. I miei fratelli vanno per fatti loro, ma io posso andare al mare soltanto quando papà ha le ferie. Sono poche: lavora sempre e non gli piace neanche troppo mettersi in costume e stare al sole, per cui davvero le mie occasioni di apprendere a nuotare si riducono di molto. Ecco il perché della foto: quando capiterà di nuovo?
Ci raggruppiamo: Io a terra con Gianni e dietro gli altri tre con la zia Veronica. Leonardo le si mette accanto. Papà scatta. Poi cambiamo di posto e viene la mamma al posto della zia. Papà scatta e assolutamente rifiuta di farsi fotografare, anche se ha indossato la camicia e il suo solito cappello.
Beh: almeno avremo un ricordo.
Mi guardo intorno, mi rimetto i pantaloncini corti, trovo le borse da mare, scuoto la sabbia, piego gli asciugamani, poi corro verso la cabina ad aiutare la mamma.
Non capisco perché, ma ho la netta sensazione di avere dimenticato qualcosa. Qualcosa d’importante, che riguardava Gianni e Roberto. Qualcosa che dovevo dire anche a mio padre.
Niente da fare: nella testa c’é il vuoto.