Il pomeriggio forse qualcuno riposa sdraiato sul divano, qualcuno su una sdraio o su una poltrona comoda…Barbara, invece è sola a lavorare.
Stringe tra le mani la tazza di quella tisana ai frutti rossi…le ricorda le ciliege, rosse le sue preferite. Lei vuole scappare dalla sofferenza. Non è un mito. Non lo sarebbe mai stata. E’ magra, molto magra, si sente un fuscello.
A volte pensa: “Mi appiattisco alla parete, divento trasparente, non esisto più”.
I suoi pensieri tendono al suo isolamento. Perché? Perché lei così simpatica vuole scappare da sé stessa?
Lei è come un neonato che fa fatica a nascere, ha la fame del neonato che piange disperato, che vuole essere cambiato.
I mali del mondo sono i suoi. Quale il suo tempo? Quale le sue ragioni? E’ anche quel lavoro monotono. Lei è un avvocato. Barbara è costretta a non essere pagata come tutti, è l’ultima arrivata e deve fare anche le fotocopie…anche il caffè quando è richiesto.
“Io posso amare me stessa, solo se lo voglio. Ma io non voglio…”, si dice mentre sorseggia la tisana. Ci sono delle voci. Sono tornati i colleghi.
“Cosa fai ancora qua?”, le dice Franco.
“Devo concludere la battitura di questi documenti. Lo sai che questo compito è mio”.
Franco è stupito, sa che Barbara ha una laurea con lode, ma nello studio di associati, non è valorizzata…lui non può fare niente, lui è solamente un avvocato, non fa parte dei soci dello studio.
“Ciao e ci vediamo lunedì”.
“Ciao”.
Barbara ogni tanto fissa il pavimento, il computer si ferma con lei. E sembra che una lama le trafigga il viso, una sensazione dal nulla.
Sente un colpo, le raggiunge il cuore. Si tocca, è sangue. Ha il cellulare e chiama il 118.
“Chi poteva farle del male?, chiede il commissario.
L’avvocato Giulio Tessa risponde: “Nel mio studio Barbara è arrivata da poco. Segue il nostro lavoro e deve fare esperienza. Quel pomeriggio era sola e non si è accorta del ladro. E’ stata ferita in modo non grave. Si riprenderà. E’ andata bene”.
Sembra che tutto si ricomponga. Sarà così?