C’erano due margheritine gialle, piccolissime, maltrattate, nate ai bordi di una strada di campagna.
Rosi è quasi piccola come loro, con un buffo faccino orientale e due occhi a mandorla. Ma non è cinese.
Porta due treccine strette strette, fermate da un nastro rosa. Parrebbe quasi che sia nata così: con le treccine. Sorride a tutti, agita le manine grassocce dall’alto del balcone anche quando passa qualcuno per strada e neanche la guarda. Sorride lo stesso. Quando deve mangiare fa confusione tra forchetta e coltello e c’è rischio che si tagli. Occorre che qualcuno la guidi, pazientemente, senza sgridarla: piange per nulla.
La mamma non ha sempre pazienza, una volta le è scappato uno schiaffo su quella guancia rosa. Ma lei quella volta non ha affatto pianto, anzi, è scoppiata in una strana risatina e poi ha messo l’intera paffuta manina nella minestra. Ma nessuno l’ha sgridata.
Il mondo è pieno di grandi cose e di grandi menti. Pieno di grandi artisti e di grandi scienziati. Ma anche di immense vallate e lontanissime montagne viola, di dolcissimi cieli azzurri, velati a volte di nuvole stracciate, quasi appese ai campanili, come nei racconti.
Appese ai campanili.
Rosi allunga le mani, talvolta, perché “vuole liberarle”. Poi vuole afferrare le rondini che in autunno vanno via e piange perché non vorrebbe che andassero. Occorre dirglielo con delicatezza che hanno le ali. A, come Ali. E la manina, stretta nel pugno grande del papà, scorre sul foglio, incerta, e segna linee e trattini. Ma lei vorrebbe che A di Ali avesse uno svolazzo più lieto, come quello delle rondini. E ogni volta quel piccolo segno si allunga come un baffo sulla pagina. Poi c’è M, come Mamma. Lei sa bene chi è quella mamma che la veste al mattino e le insegna con voce stanca una volta di più: -” scarpe, lacci, calzini…”- col sottofondo della vocina di Rosi che ripete -”cciiii… niii…”- e resta un momento sull’ultima vocale come l’eco di uno scampanellio.
Scampanellio. Come il telefono. E’ grigio, si agita, suona, fa strani singhiozzi monotoni e speso parla. E’ strano quel telefono. Da prendere in mano con attenzione perché poi sfugge, anche, dalle mani, e cade in terra e si rompe con un buffo suono.
E’ un suono, quello del telefono quando squilla, che ha il potere di incantare Rosi. Lo fissa e sorride. Parrebbe quasi che le ricordasse qualcosa di molto bello.
Un tempo Rosi è andata a scuola. Era una bella scuola e si chiamava “asilo nido”. “Ilo ido” lo chiamava lei, seria. Non ci rideva su quei due suoni. C’erano tanti bambini in quella scuola, tutti più piccini di lei, ma tutti tanto più bravi. Lillo sapeva già far funzionare il trenino e con le sue manine sciolte e destre lo posava delicatamente sui binari e gridava:- ”Via!” Poi premeva un tasto e quel cosino tutto nero e lucente si metteva in moto e girava sempre in tondo per intere mezz’ore. Ma quello stesso trenino nelle mani di Rosi faceva il difficile: pungeva, si scuoteva, scappava dai binari, s’impuntava come un cavallino imbizzarrito ed infine Rosi indispettita gli appioppava un colpo. Arrivava subito la voce della maestra:- ”Devi portare “pazienza”, usa “destrezza”, usa “attenzione”, Rosi. Se solo volessi “davvero, ci riusciresti, ma sei troppo impaziente!”- Diceva la voce. Rosi proprio non capiva cosa dovesse portare, dove fosse “attenzione” sul trenino e “destrezza” poi… -” Non devi dargli le botte, altrimenti si rompe!”- Ritornava la voce. Botte lei lo capiva. Ma era troppo stancante capire tutto e c’erano sempre troppe cose difficili da capire. Era stato sempre così. Come le sue eterne treccine che lei si ritrovava in testa intatte, con il solito fiocco rosa che “Non si deve toccare altrimenti si scioglie!”- Per carità! Chissà cos’era quel “scioglie!”. Fiocco rosa. Lo posero sulla porta della stanza che la mamma occupava in clinica. Si trattava di un fiocco gigantesco, allegro, da cui pendeva un bimbo di panno rosa. Lo appese la nonna che era testarda ed avendo atteso tanto quel primo nipotino precisò quasi con rabbia:-”E’ una femminuccia, credo? Almeno su questo sarete d’accordo!”- Rosa furono i confetti del battesimo, rosa i vestitini che le regalarono e rosa anche il velo di quella splendida culla che era stata fatta “tutta a mano” -prima che si sapesse- Ma le lacrime che versava la mamma, quelle erano trasparenti. Lei non sopportava di vederle, invariabilmente si metteva a piangere, “per simpatia”, diceva il medico. Ma in realtà piangeva per un nonnulla, quando non sorrideva.
Intelligenza. Che parola lunga! Difficile. L’aveva ripetuta un signore tanto simpatico che le stringeva la manina e la fissava negli occhi. I suoi occhi da orientale a cavallo sul nasino tondo. Poi c’erano tutti i cosi colorati che non trovavano mai sistemazione perché erano sempre diversi dalle loro “tane”. poi c’erano tutti quei disegnini da fare o da indovinare:-
“Cos’è questo? Cos’è? Cos’è?”-
Era una mucca -”Ucca”- Poi un topo tutto giallo. No, era una “falfalla”. Di quelle che fuggono via appena tu allunghi una mano. Inoltre c’erano tutte quelle linee, quei buffi ghiribizzi arancioni e viola. Le “macchie”. Gioca con me, Rosi, c’è nascosto qualcosa qui dentro. Gioca con me… ma non era un gioco e se lo era si trattava proprio di un gioco cattivo che serviva soltanto a farla sentire tutta triste e molto stupida. -”Upida!”- Upida era lei. Ricordava che il piccolo biondino con quegli strani occhi azzurri come il cielo le diceva sempre:-”Stupida!”. E lei con quel trenino proprio non ci riusciva. Però era divertente anche “upida!”- Sempre meglio che stare in casa sul balcone senza trenini ne bambini biondi. E sorrideva dunque al ricordo del campanello che chiamava tutti i bimbi a scuola, quando squillava quel benedetto telefono nero.
A casa c’era il papà così serio che qualche volta la fissava con certi occhiacci, eppure si sa che ai bimbi piccoli capita di non fare in tempo ad andare al gabinetto.
Ma lei non era più piccola. O forse si? per una strana magia, sempre piccola? Coi treccini ed il visetto a palla e le orecchie un po’ a sventola e le manine paffute. Come in una fiaba un po’ cattiva? Una lacrima è concessa, poi un sorriso ed addormentarsi con il grosso orsacchiotto di pelo, vecchio vecchio, che aveva condiviso con lei il primo biberon e non si lamentava dello strappo che gli aveva fatto nella pancia. Buffo come lei e come lei un po’ troppo grande e troppo solo. Buffo.
L’orsacchiotto e le treccine nere si addormentavano con lei ogni sera e si risvegliavano con lei ed i fiocchi rosa erano già li, come per incanto. Qualche volta si andava in auto e tutto diveniva tanto difficoltoso:
– “Tieni chiusa la bocca …”- diceva il papà. -”Lo sai che le è difficile…”- “Sì, ma non vuol proprio capire: è testarda”- “Che dici, non è colpa sua!”- “So io di chi è la colpa…”- “Torniamo di nuovo sulla storia del test che avrei dovuto fare.”- “Lo sapevi che tua cugina…”- “Sì ma perché anche a me? Il medico…”- “Intanto non se la ritrova lui la figlia handicappata. E non ci casco più. Una e basta…”–
Vecchie storie che davvero lei ringraziando il cielo proprio non capiva, capiva soltanto che il volto del babbo era meno liscio di quello della mamma e le sue carezze rare. Il viso della mamma però a quelle parole si incupiva come un cielo quando è nuvolo. Eppure dopo tanti musi duri un bel giorno anche il volto del papà aveva sorriso. Dopo quei mesi in cui la pancia della mamma era cresciuta così tanto e lei faticava ad abbracciarla: tirava calci e le avevano detto che dentro c’era “un fratellino”. “dentro in pancia?”- Incredibile! -”E’ piccino piccino”- “iccino, iccino ome me?”- No! Tanto più piccolo, Rosi”- “io!”- Disse lei con un sorriso. E poi:- “Iccina…”- In auto il papà l’aveva osservata curiosamente. Si erano poi fermati un momento su quella strada di campagna e proprio allora era accaduto il miracolo:-
“ Gialla!”- Disse Rosi, ed allungò una mano in quel po’ di prato al lato dell’asfalto per afferrare una margheritina tanto piccola e sporca di smog. -”Piccola!” Esclamò poi, un po’ emozionata come le capitava spesso per ogni cosa che le sembrava straordinaria. E non le colse. Fu allora che il papà rise, con gli occhi che brillavano di pianto e le disse: -”Piccola come te, tanto piccola che nel mondo si trova un posticino anche per lei…”– Ed ancora, con una strana espressione sul volto, le aveva sorriso.