Di Enrica Procaccini
L’abbiamo portato in tasca fino al ’79 sulla banconota da 5.000 lire, quella, per intenderci, con Antonello da Messina. Qualche mese fa, poi, è volato a Dubai sulla copertina del dossier della missione istituzionale della Regione Puglia in vista di Expo 2020. E’ il rosone a undici petali ricamati in pietra della cattedrale di Troia, capolavoro del romanico pugliese di una delle più belle località della provincia foggiana che a breve, nel 2019, festeggerà i primi mille anni di storia. Siamo in Daunia, distretto storico-geografico della Puglia settentrionale. Una Puglia meno conosciuta, meta di un ristretto turismo colto o di quello delle gite fuori porta. Ancora pochi i posti letto e un turismo più vicino all’artigianato che all’industria dei grandi numeri.
A mezz’ora di auto, c’è Ascoli Satriano che conserva i pregiati Grifoni marmorei del IV secolo avanti Cristo. Appena diecimila i biglietti staccati all’ingresso del Polo museale in un anno, scolaresche comprese.
Povera Puglia? Forse, a ben vedere, no. Per questo fazzoletto di terra, un tempo al confine tra Oriente e Occidente, tra l’Impero bizantino e il principato longobardo di Benevento, l’aver mancato l’appuntamento con i flussi del turismo di massa standardizzato può rappresentare oggi un vantaggio straordinario. L’autenticità dei luoghi e delle persone si presenta, infatti, quasi prodigiosamente preservata. Un’autenticità genuina e non, paradossalmente, artefatta, inventata ad arte e divenuta essa stessa merce per un turismo dallo sguardo esotizzante, appagato dal recupero fittizio di tradizioni ormai inesistenti. Questo lembo di Puglia autentica si rivela oggi perfettamente adeguata al nuovo paradigma del turismo di qualità. Lo “slow tourism”, un turismo attento alle identità culturali, al paesaggio ambientale e umano, al valore antropologico delle tradizioni di cui la Daunia è ricca.
Questo modello di incoming è stato benedetto pochi mesi prima della disfatta elettorale del Pd del 4 marzo scorso dall’allora ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, intenzionato a fare del 2019 l’anno del “turismo lento”. Una bella idea ora in stand by. C’è da capire se, come e quando il governo gialloverde riprenderà in mano il progetto.
Intanto questo nuovo umanesimo dell’accoglienza è praticato a Orsara di Puglia, borgo a 30 chilometri da Foggia, che per i riti di Ognissanti organizza l’evento della tradizione “Fucacoste e cocce priatorje”, la notte dei falò e delle zucche intagliate, o anche il festival estivo di musica jazz, richiamando migliaia di visitatori da tutta la Puglia e anche da fuori.
Scansata la mummificazione dei luoghi a uso e consumo del turismo, i borghi della Daunia possono progettare uno sviluppo di tipo nuovo, volto alla sperimentazione e all’innovazione. A pochi metri dalla cattedrale di Troia, su via Regina Margherita, c’è ad esempio la pasticceria Casoli che ha inventato un dolce, la passionata. “Quando la mangi ti appassioni. E’ preparata con tutti ingredienti genuini e sani del nostro territorio: ricotta di bufala, mucca e pecora, marzapane con pasta di mandorle pugliesi”, dice Lucia Casoli che, nonostante il successo di vendite anche nei circuiti della ristorazione del Nord, non si è mai fermata e ha già sperimentato molte varianti della ricetta originale.
Altro grande innovatore è Raffaele Giannelli, laureato in Tecnologie alimentari, che da qualche anno ha preso le redini della ditta di famiglia specializzata nell’offerta di carni. Ha stravolto completamente le ricette e, avendo eliminato i conservanti, sostituiti da elementi naturali quali il miele, l’aglio, il vino e il peperone dolce, oggi produce salumi d’eccellenza. Tra cui, un pregiato insaccato, battezzato Salame del Sud, tutto tagliato a mano, interamente naturale, condito con vino Nero di Troia. Raffaele, dal suo salumificio di Troia, è riuscito addirittura a farsi notare nella Food Valley d’Italia, Parma. Un po’ come vendere frigoriferi agli eschimesi.
Con un piede nella tradizione e uno nell’innovazione è l’ingegnere foggiano Marcello Salvatori, esperto di energie rinnovabili, che ha avviato, con successo, nelle campagne di Troia una produzione vinicola ricorrendo a metodi di lavorazione rigorosamente ecosostenibili. Da pochi mesi la sua azienda, Elda Cantine, ha debuttato sul mercato delle “bollicine” italiane con uno spumante rosé, il Pesca Rosa, prodotto con metodo classico e il 100 per cento di uve biologiche di Nero di Troia.
Seguendo quasi per gioco le orme del nonno, anche i fratelli Michele e Urbano Di Pierro, hanno iniziato a produrre Nero di Troia. Prima solo per gli amici, poi, costituita la Cooperativa Decanto di Troia, anche per il mercato. “L’enogastronomia – dicono – è un importante attrattore turistico”. Un’occasione per irrobustire i flussi turistici di cui i Monti Dauni hanno bisogno. E per dimostrare, con qualche sforzo in più, che si può superare l’antica contraddizione per cui ciò che è di qualità è per pochi. Oggi i Di Pierro vantano un vino dal sapore davvero originale, l’Unus, un Nero di Troia 100 per cento. Sull’etichetta hanno stampato l’immagine stilizzata del monumento simbolo del loro territorio. Quel rosone a undici colonne della cattedrale di Troia.