Nel labirinto di viuzze di Minervino Murge, che da un termine arabo qui chiamano ‘scesciola’, il silenzio è rotto dai nostri passi e dal vento che soffia più o meno dodici mesi all’anno. Sulle mura imbiancate delle case a due piani, i balconi fioriti disegnano macchie di colore. Mai penseresti che questo borgo, novemila anime scarse, sia stata una delle realtà a più alta intensità di partecipazione democratica della Puglia. A partire dal risultato elettorale del Referendum costituzionale dal ’46 quando, in un Sud a maggioranza monarchica, spiccò quel 65,22 per cento dei minervinesi favorevoli alla Repubblica.
Un piccolo, grande centro di mobilitazione politica, dalle occupazioni di terre incolte ai cortei per la pace durante la guerra del Vietnam, alle manifestazioni del Primo Maggio, quando i partiti crescevano all’ombra delle grandi ideologie. E’ questa la storia che racconta il piccolo museo messo in piedi dall’Associazione “Cecchino Leone”, che dal Pci-Pds-Ds ha ereditato la sede, l’archivio fotografico e una collezione unica di bandiere. Il colore prevalente è il rosso, le scritte sono interamente ricamate a mano. C’è quella della Confederazione nazionale dei perseguitati politici antifascisti di Minervino, quella della Federbraccianti Cgil, il tricolore del Comitato nazionale di Solidarietà Democratica e quella multicolore della pace, datata 1945. Ma la più vecchia, presumibilmente, risale agli inizi del Novecento, quando i sindacati si chiamavano Leghe.
Il materiale fotografico, raccolto anche in un volume di duecento pagine (“Minervino Murge – Pace Libertà Lavoro da P.C.I. a D.S – La storia nelle immagini” pubblicato nel 2014 dall’Associazione Cecchino Leone) racconta, poi, le manifestazioni di massa organizzate sotto l’emblema della falce e del martello. “Grandi masse chiamate a costruire lo stato democratico – spiega il presidente dell’Associazione, Giuseppe Chiodo – a ristabilire e consolidare le libertà fondamentali per la convivenza pacifica del Paese uscito dilaniato dal Ventennio, che si trova, però, da subito a fare i conti con il problema del lavoro, della casa, dell’istruzione e dei diritti”. Sfogliando le istantanee dell’Associazione, vengono fuori le visite a Minervino dei più alti dirigenti del Pci, da Umberto Terracini a Pietro Ingrao, Luciano Barca, Alfredo Reichlin. Senza dimenticare Giuseppe Di Vittorio, che a soli 19 anni fu chiamato a dirigere la Camera del Lavoro locale, e che vi tornò ancora nel ’53 per un comizio tenuto alle tre di notte che i più vecchi ancora ricordano.
Ma il lavoro sulla memoria collettiva del borgo pugliese non finisce qui. Ora il nuovo filone battuto dall’Associazione è quello che porta a una pagina della storia locale fino a poco fa sconosciuta, ossia il contributo che i minervinesi emigranti al Nord hanno offerto alla Resistenza. “Ci sono giunte segnalazioni di almeno dodici persone, originarie di qui, morte sotto il fuoco fascista e nazista durante il periodo della lotta di Liberazione – spiega Chiodo – Già abbiamo trovato al Comune un atto di morte che recita: trucidato dai nazisti a Biella. Dobbiamo risalire alle storie degli altri nostri partigiani ”.