La linea non cambia, la Banca Centrale Europea congela ancora il taglio dei tassi di interesse. Con una
novità, però, rispetto al copione andato in scena nelle ultime settimane: la presidente dell’istituto centrale
ha chiarito che non intende seguire le orme dei cugini americani della Fed quasi automaticamente.
Riservandosi, cioè, un forte margine di autonomia. Una posizione che molti osservatori hanno letto come
un vero e proprio spiraglio su una riduzione del costo del denaro, probabilmente a partire da giugno.
Dietro le titubanze della Lagarde restano, ovviamente, i numeri dell’inflazione. La discesa dei prezzi è ormai
evidente a tutti. Ma la soglia del 2% non è ancora stata raggiunta. Senza considerare il fatto che la politica
attendista degli istituti di emissione ha anche l’obiettivo di spingere al ribasso le aspettative di inflazione. E,
come si sa, in economia le aspettative contano quanto e forse più dei numeri concreti. Una strategia che
non fa una piega. Senza contare il fatto che la prudenza è d’obbligo anche perché il carovita è la tassa più
ingiusta che ci sia, colpisce tutti allo stesso modo ma pesa di più nelle tasche delle fasce meno abbienti.
Fin qui tutto bene. Ma ci sono anche altri elementi che non possono essere trascurati. L’Europa, infatti,
continua a marciare con il freno a mano tirato, gli ultimi dati di Eurolandia raccontano di una stagnazione
del quarto trimestre con la locomotiva tedesca finita, addirittura, nelle secche della recessione. Con questi
scenari è davvero difficile immaginare un rilancio del “Vecchio Continente” in grado di assicurare
produttività, investimenti e benessere. Siamo in un mondo nel quale la globalizzazione potrebbe essere
sostituita da una sorta di “neo-protezionismo”, soprattutto se negli Usa dovesse prevalere la candidatura
Trump. I focolai di guerra accesi in molte parti del pianeta, compresa l’Europa, alimentano nuove
incertezze. Mentre manca ancora una vera e propria politica industriale condivisa che possa tracciare la
strada per un ritorno alla competitività per tutta l’area di Eurolandia.
Certo, anche negli Stati Uniti la Federal Reserve predica prudenza, anche perché il motore dell’economia
Usa continua a girare a pieni ritmi. Ma è anche vero che il governo americano, con l’”Inflation Reduction
Act”, ha investito ingenti risorse per sostenere le imprese e rafforzare l’offerta di beni e servizi. In Europa
non si è andati più in là di una pausa sulle norme relative agli aiuti di Stato e, almeno per ora è caduto nel
vuoto l’appello del Governatore della Banca d’Italia per una politica fiscale europea anche attraverso il
lancio di eurobond destinati allo sviluppo.
L’economia non può vivere solo di rinvii ed ha bisogno di certezze. Sarebbe ora che dalla Bce arrivassero
non solo parole ma anche, e soprattutto, fatti concreti. E’ vero che i prezzi danneggiano cittadini e imprese
bruciando risparmi e capitali. Ma se non si creano le condizioni per lo sviluppo, difficilmente l’Europa potrà
suscitare le attenzioni e anche le aspettative di crescita dei capitali internazionali.