“L’Italia faccia come la Germania con i Lander orientali“
Il Distretto aerospaziale della Campania? Un network di successo. Le fiere internazionali? L’Italia non partecipa in maniera adeguata. Il Mezzogiorno? E’ come un hangar vuoto di uno stabilimento (l’Italia) dove ci si ostina a tenere gli aerei sul piazzale. Appoggia su efficaci metafore il suo ragionamento a tutto tondo, esposto con la visione dell’industriale di lungo corso, nell’intervista che segue, tratta da Dac Informa, un format televisivo lanciato dal Distretto e curato da Maria Cava e Claudio D’Aquino, con riprese e montaggio di Emiliano Caliendo. Gianni Lettieri, 67 anni, imprenditore e dirigente d’azienda napoletano con una carriera di oltre quarant’anni alle spalle, oggi opera in qualità di presidente e amministratore delegato di Meridie Spa (prima investment company del Sud Italia quotata in Borsa) ed è presidente di Atitech, azienda leader nella manutenzione aeromobili civili e militari.
Presidente Lettieri, secondo Intesa Sanpaolo i distretti del Mezzogiorno hanno recuperato rispetto all’emergenza Covid il 24% dell’export. Ma il rimbalzo del polo aerospaziale campano è ancora più esaltante: 43,8 %, vale a dire quasi il doppio. Come commenta questo dato?
Il Mezzogiorno, come dico da tempo, ha una capacità di crescita enorme e sostanziale che potrebbe risolvere il problema della crescita duratura di cui il nostro Paese ha bisogno. Vede, la crisi pandemica ha colpito in tutta Italia, ma è il Sud la parte che, nei momenti di difficoltà, reagisce meglio. La fase critica della pandemia lo ha confermato: noi nel Mezzogiorno siamo abituati a rispondere alle criticità, quindi abbiamo reagito meglio. Ecco perché si dovrebbe investire di più sul Sud…
Investire di più? Ma le risorse per superare il divario territoriale sono state impiegate, spesso senza risultati tangibili. Non è così?
Le rispondo con una metafora. Immaginiamo l’Italia come uno stabilimento Atitech. C’è un’area con manodopera disponibile e domanda di attività, ma hangar vuoti. E questa area la chiamo Sud. E poi c’è, in un’altra zona dello stesso stabilimento, che fuor di metafora è il Nord, un’area dove gli hangar sono tutti pieni, e quindi non c’è più spazio per mettere altri aerei. Ecco, questa è la fotografia del nostro Paese. Ma se ci sono “hangar vuoti”, nel Mezzogiorno, l’obiettivo dovrebbe essere riempirli, non le pare? E così facendo non crescerebbe solo il Mezzogiorno, ma l’intero Paese.
Il Distretto aerospaziale della Campania è attivo da dieci anni, periodo in cui è cresciuto il capitale sociale e il numero dei soci, ma probabilmente è vincente il modello, che mette insieme mondi diversi tra loro: industria, ricerca, Università. È questo il fattore di successo o vede altri aspetti in grado di sprigionare altre potenzialità?
Guardi, il successo dei progetti dipende dalle persone che li realizzano. Il Distretto è nato con il presidente Luigi Carrino ed è cresciuto con lui, che porta avanti il progetto con grande caparbietà e pazienza. Ma posso aggiungere che a mio avviso una attività da implementare dovrebbe essere la promozione del sistema Dac nelle fiere internazionali. E mi spiego. Si osserva spesso in tante occasioni la partecipazione strutturata di Paesi europei, presenti con una propria area espositiva per riunire l’insieme delle imprese nazionali. Questo l’Italia non lo fa.
Qual è la sua proposta?
Ecco, vorrei che il Dac si facesse promotore di una strategia di questo tipo, insieme con la Regione Campania: individuare fondi per partecipare alle manifestazioni internazionali, assicurando la presenza di un’area espositiva Dac dove riunire le aziende che vogliono partecipare. Anche quelle più piccole, che grazie al DAC potrebbero avere più visibilità internazionale.
La recente acquisizione degli asset di Alitalia Maintenance è il punto di partenza per il progetto di dare vita ad un unico grande polo italiano della manutenzione aereonautica. In questo scenario quali prospettive immagina per la sua azienda?
Abbiamo indubbiamente compiuto un grandissimo passo avanti nella mia idea di ripristinare il polo delle manutenzioni d’Italia. L’obiettivo è permettere di nuovo al nostro Paese di fare tutto quello che Alitalia faceva fino agli anni Duemila. Superando l’errore di dare eccessiva attenzione ai destini della compagnia aerea, ossia concentrandosi solo sulla parte legata al volo, mentre venne trascurata l’attività industriale. Mi spiego. Quindici anni fa esisteva in Italia il settore della manutenzione aeronautica sotto la bandiera Alitalia: a Fiumicino con la società dei motori detta AMS e con le competenze su carrelli, freni, ruote. E così anche a Capodichino. Ma con la penultima crisi dell’amministrazione straordinaria del 2008, quando una cordata di imprenditori ha rilevato Alitalia, si decise di smantellare le attività di manutenzione.
Che cosa accadde più in dettaglio?
Altri players come Lufthansa Technik e Air France Industries hanno colto l’opportunità e si sono inseriti in questo mercato. Sicché ai francesi sono andati i carrelli, ai tedeschi di Lufthansa i componenti, alla israeliana Bedek i motori. Non così a Napoli, perché fortunatamente l’Atitech è stata rilevata da me, altrimenti la manutenzione a Napoli non sarebbe più esistita. Adesso l’obiettivo è riportare a casa tutto.
E come?
Rilevando Alitalia Maintenance siamo passati da settecento a millecinquecento dipendenti. Abbiamo raddoppiato la capacità e in più siamo entrati in un settore, quello della manutenzione di linea, che non seguivamo. Il prossimo passo è intervenire su motori e componenti, come faceva prima Alitalia, in un lasso di tempo che si estende da tre a cinque anni.
Che cosa dovrebbe fare il sistema Paese per mettersi al passo con la competizione internazionale nel settore aeronautico?
Quello che manca all’Italia è una visione industriale. Anche se poi il nostro si conferma puntualmente come “paese dei miracoli”. Nonostante questa mancanza di strategie, noi cresciamo e le industrie vanno bene. Se ci fosse da noi l’attenzione che hanno altre nazioni nei confronti dell’attività produttiva, chissà dove potremmo arrivare. Vuole un esempio concreto?
Certo, faccia pure.
Parlo ancora di Atitech. Durante la pandemia non ha ricevuto un euro in ristori. Agli aeroporti qualcosa è arrivato, anche se poco, così come ad altre società. Ma noi ed altre aziende non abbiamo avuto aiuti, come del resto è accaduto per il settore del commercio italiano, penalizzato rispetto a Francia e Stati Uniti. Ebbene, nonostante tutto questo, in post-pandemia noi siamo cresciuti più degli altri. Ciò sta a significare che l’Italia e le sue industrie sono gli assi portanti che garantiscono al nostro di essere, per l’appunto, il Paese dei miracoli.
Una delle argomentazioni del presidente Carrino, quando si parla di PNRR, è constatare l’impegno profuso per l’aerospazio, senza tuttavia nominare nemmeno una volta la parola “aeronautica”… Trova che su questa mancanza sia necessario intervenire?
Sono d’accordo con Carrino. Ma osservo che c’è una ulteriore incongruenza. Abbiamo un grandissimo distretto in Campania, in Puglia e in Piemonte, ma non un velivolo che sia progettato, costruito, testato e fatto decollare dall’Italia. Intendo dire che non siamo stati in grado di fare in qualche parte del nostro territorio quello che ha fatto la Francia a Toulouse. Una decina di anni fa, si manifestò l’intento di Leonardo di costruire un turbo-prop, ma non se ne fece nulla. Questo è un limite da recuperare, perché come ha detto il presidente Vincenzo De Luca, dobbiamo investire in questo settore. Abbiamo le potenzialità per farlo, perché c’è Alenia, Leonardo, e altri player. E c’è Atitech. E vorrei dire un’altra cosa che il Paese avrebbe potuto fare con i fondi del PNRR…
Sentiamo.
Spendere tutti i 200 miliardi del PNRR per risolvere i gap del Mezzogiorno. Che poi è quanto ha fatto la Germania trent’anni fa con i Länder dell’Est, che erano messi peggio del nostro Mezzogiorno. Berlino ha investito massicciamente per questo obiettivo ed ha risolto il problema del suo divario interno. A chi osserva che nel Sud sono state sprecate tante risorse, replico che sì, è anche probabile che questo sia avvenuto. Ma rammento che la prima cassa del Mezzogiorno fece delle cose straordinarie sessant’anni fa. Immaginiamo quindi quali risultati si sarebbero raggiunti impegnando tutta la dotazione del PNNR per gli investimenti nel Mezzogiorno. Perché risolvere in maniera definitiva il problema del “divide” che separa il Sud dal Nord, significa una sola cosa: far crescere il Paese intero.