Arriva a Napoli Giorgio Napolitano e lo dice chiaro. Il governo Renzi non ha una politica per il Mezzogiorno incardinata in una strategia credibile di rilancio industriale. E’ sottinteso che non l’avesse nemmeno il governo Letta o il governo Monti. Tremonti e Berlusconi? Neanche. La verità è che il Mezzogiorno, come si dice ormai comunemente, viene da venti’anni di solitudine. Un lungo e sofferto attraversamento del deserto che non si è ancora concluso. I dati dell’ultima presentazione del Rapporto Campania di Banca d’Italia sono un’amara conferma degli effetti della scomparsa del Mezzogiorno dall’agenza politica dei governi che si sono succeduti in circa vent’anni. E’ quanto emerge dal dibattito col ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan lunedì 15 giugno scorso nel salone delle assemblee del Banco di Napoli. Un convegno che ha preceduto un analogo incontro sempre alla presenza del ministro Padoan, “Puntiamo sulle imprese. Per una ripresa oltre le aspettative”, organizzato dall’Unione Industriali di Napoli, in collaborazione con il gruppo Piccola Industria di Confindustria. Ambrogio Prezioso, numero uno degli industriali partenopei, ne parla con Ilsudonline.
Politiche per l’industria e per il Mezzogiorno: il governo mostra di non averle. Lei che ne pensa?
Una cosa è certa: la crescita dell’Italia passa per la crescita del Sud. Lo dicono in tanti, lo ha detto anche il premier Renzi all’inizio del proprio mandato. Il Mezzogiorno è la parte più debole del Paese, ma anche quella con i più ampi margini di crescita nel momento in cui si avviano opportune politiche di sviluppo. Ma la crescita del territorio richiede obiettivi chiari e politiche efficaci.
E intanto proprio nel momento in cui il Sud, colpito dalla crisi duramente e in misura maggiore rispetto al resto del paese, avrebbe bisogno di un’azione politica di straordinaria incisività, sembra invece mancare una strategia all’altezza delle difficoltà del presente. Lo ha sostenuto anche il Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano.
A giusta ragione. L’interdipendenza della nostra economia è tale per cui gli investimenti effettuati nel Mezzogiorno determinano una ricaduta economica nel centro-nord per il 50% del loro valore. Mentre quelli realizzati al centro nord determinano una ricaduta nel sud per il solo 10%. Una politica industriale che tenda a favorire gli investimenti nel Sud è dunque una politica che persegue l’obiettivo della crescita di tutto il Paese. Bisogna dotarsi di un disegno strategico di politica industriale, di scelte lungimiranti accompagnate da politiche ordinarie e da progetti di lungo respiro.
Intanto il divario fra Sud e Centro-Nord resta drammaticamente grave. E negli ultimi anni si è ampliato per effetto della crisi, vero?
E così, basta guardare i numeri. Fra il 2009 e il 2013 gli investimenti sono calati del 40% al Sud e del 25,8 nel Centro Nord. La variazione negativa della produzione nel manifatturiero è stata del 6,7% nel Sud e del 2,6% nel Centro Nord. E il tasso di disoccupazione è pari al 19,7% nel Sud e del 9,1% nel Centro Nord.
Tuttavia ci sono imprese che resistono, esportano, investono. Pur tra mille difficoltà…
Le nostre imprese scontano alcuni gravi handicap che ci rendono meno competitivi rispetto ai competitors. Burocrazia, Fiscalità, Costo energia, Tempi della giustizia civile, Credito. Per tutti questi motivi il nostro territorio risulta inospitale per chi vuole investire. Bisogna renderlo attrattivo e creare un contesto favorevole a chi vuol fare impresa.
Per il Sud c’è bisogno con urgenza di una terapia d’urto. Ma come attuarla? Quali sono i passaggi obbligati di un percorso di possibile rilancio?
Dobbiamo innanzitutto rilanciare il manifatturiero, un settore che ha tassi di innovazione più elevati di altri comparti e costituisce il vero motore dello sviluppo. Possiamo farlo puntando sulle tante eccellenze che, nonostante le situazioni “difficili”, esistono sul nostro territorio: dall’aeronautica all’automotive, dal chimico-farmaceutico alla meccatronica, dai sistemi ferroviari all’agroalimentare e alla moda.
Secondo step?
Occorre sostenere l’internazionalizzazione, la crescita dimensionale e patrimoniale delle imprese, incrementare il personale di qualità nelle aziende e soprattutto incentivare l’innovazione. La Campania può dare un valido contributo in questo senso, disponendo di un patrimonio di eccellenza fra sistema Universitario e centri di ricerca. Rilanciare il manifatturiero vuol dire prima di tutto poter disporre di aree Asi infrastrutturate e sicure.
Un’altra priorità?
Lo sviluppo delle reti, materiali e immateriali. Le infrastrutture sono una variabile chiave del sistema produttivo e ne condizionano in maniera decisiva il livello di competitività. Questo aspetto si connette a quello delle reti logistiche. Serve un piano logistico nazionale, con strumenti che integrino porti, aeroporti e interporti per valorizzare il manifatturiero e che metta il porto di Napoli in condizione di essere competitivo come hub turistico e logistico-produttivo del Mediterraneo.
Tutto ciò anche alla luce del prossimo raddoppio del Canale di Suez…
Sì. L’Italia è il molo naturale per intercettare i futuri traffici, dobbiamo organizzarci subito per cogliere al meglio questa opportunità, prima di altri.
Anche le reti digitali sono un ingrediente base per la ricetta: perché?
Per rilanciare l’industria è necessario spingere con decisione sul pedale dell’innovazione tecnologica, dell’innovazione di prodotto e di processo. Bisogna creare veri e propri territori digitali. Un’altra priorità riguarda l’energia, un fattore competitivo importantissimo che però le imprese italiane pagano oggi il 30% in più rispetto ai competitors europei. Serve un piano energetico nazionale che tenga in considerazione le capacità produttive del nostro territorio, ad esempio le energie rinnovabili di cui il Sud è ricco, e miri a rendere efficienti impianti e reti distributive.
Il presidente della Regione neo eletto Vincenzo De Luca invoca un piano per fare del Mezzogiorno il primo distretto turistico del mondo…
I Giacimenti culturali sono un’altra risorsa da valorizzare: il nostro patrimonio turistico e culturale deve finalmente diventare leva per la crescita. Il movimento turistico mondiale è in grande espansione, dobbiamo essere in grado di intercettare questi flussi che in 10 anni cresceranno da 1,1 a 1,7 miliardi di persone. L’Italia negli ultimi anni ha invece perso quote di mercato, passando dal 5,8 al 3,2% dei flussi turistici mondiali. In questo settore abbiamo brand il cui valore ci è riconosciuto in tutto il mondo.
Ma dobbiamo vincere la sfida più difficile: attrarre di nuovo grandi investitori a operare nel Sud. Come riuscirci?
Dobbiamo ricostruire quella “catena dell’affidabilità” basata sull’offerta di sicurezza del territorio, su servizi di qualità, fiscalità competitiva e una grande opera di delegificazione e sburocratizzazione. Infine una riflessione su fondi europei. Quelli che il Mezzogiorno non riesce a spendere. Un capitolo per il quale dobbiamo purtroppo constatare che molte risorse del vecchio Fondo per le aree sottoutilizzate 2007-13 sono state dirottate verso altre destinazioni. Quanto al nuovo e consistente Fondo Sviluppo e Coesione 2014/2020 non esiste ancora una programmazione di massima. E’ necessario dunque che, sia per il Fondo di sviluppo e coesione che per il Programma parallelo alimentato dalla quota di cofinanziamento si arrivi a una rapida programmazione delle risorse, concentrando poi i fondi disponibili su priorità di grande dimensione.