Il Recovery Plan non è il Piano Marshall. Lo afferma Milena Gabanelli in un report di Dataroom (Corriere della Sera, 8 febbraio 2021). L’ex conduttrice di Reporti ricorda chi fu George Marshall: chief of Staff dell’esercito degli Stati Uniti che inventò il Piano di ricostruzione dell’Europa, il quale prese il suo nome, quindi Premio Nobel per la Pace nel 1953. Il Recovery fund e il New Generation Eu che si vuole accostare al Piano Marshall, è invece alquanto differente. E la differenza è che quelli (del dopoguerra) erano soldi che arrivavano dal 5,4% del Pil americano, e non erano da restituire.Mentre il Recovery Fund – e non è differenza di poco conto – è tutto debito che l’Ue si fa in casa. Ma quello che non è molto diverso si chiama “the Big Push”, ossia la grande spinta. “E’ così che l’economista austriaco Paul Rosenstein – Rodan– spiega il presidente di Protom Fabio De Felice, che all’argomento ha dedicato un articolo della rubrica che cua per il Mattino – denominò il grande investimento in capitale fisico e umano necessario per avviare un processo di industrializzazione dei Paesi europei, stremati all’indomani della Seconda Guerra Mondiale”. La grande spinta arrivò, sotto forma dei 12,7 miliardi di dollari. All’Italia furono assegnati circa 1.204 milioni di dollari, corrispondenti, all’epoca, a poco più di 2200 miliardi di lire. “Che immediatamente – aggiunge De Felice – divennero oggetto di un serrato dibattito tra politici ed economisti nell’immediato dopoguerra”.
Presidente, lei è convinti i tempi attuali richiedono per l’Italia di nuovo di poter disporre di un Big Push. Non è così?
In effetti sembra impossibile evitare il parallelismo tra ieri ed oggi. E se i corsi e ricorsi storici di vichiana memoria sono ineludibili, altrettanto lo è la necessità di trarre insegnamento da essi. Un paese come l’Italia che, oggi come ottant’anni fa, paga lo scotto di una fragilità politica che si traduce in mancanza di fiducia da parte delle istituzioni europee e degli investitori stranieri.
Con Mario Draghi sembra che il Paese si sia giocato un jolly, quello della credibilità e della reputazione in Europa…
Ritrovare la fiducia e la credibilità è possibile attraverso un’assunzione di responsabilità, la stessa davanti alla quale ogni giorno siamo posti come uomini e come imprenditori: la responsabilità di essere selettivi, di coltivare la crescita attraverso un costante lavoro di scelta tra opportunità, percorsi, investimenti. La responsabilità di dire no, di tirare una linea tra quello che può crescere e generare valore e ciò che, amaramente, sappiamo essere destinato ad esaurire la propria parabola.
Qual è la chiave giusta per non sprecare l’occasione del Recovery Plan?
Un approccio che focalizzi delle priorità.Identificare una gerarchia di problemi ed il modo con cui affrontarli. Agli imprenditori poi tocca integrare ed indirizzare l’attività imprenditoriale all’interno di poche e chiare linee di sviluppo strategiche.
Con quali obiettivi?
L’aumento della capacità produttiva nel breve e un effetto moltiplicativo della domanda sul medio lungo termine. Fare il possibile, fare tutto il possibile, per citare l’ormai proverbiale “whatever it takes” di Mario Draghi, avendo chiari gli obiettivi verso i quali indirizzare l’opportunità, appunto, di una nuova “big push”.
E qual è la chiave di volta, il passaggio dirimente, a suo parere?
Affinché la grande spinta non diventi un infido salto nel vuoto, è essenziale comprendere che, nel mondo rimodellato dall’effetto catalizzatore della pandemia, il successo e la crescita non si possono più misurare semplicemente in termini di aumento di ricchezza, bensì come aumento di valore.
A quali condizioni, infine, potremo dire di aver vinto la sfida del Next Generation EU?
Solo abbandonando le spoglie di una restaurazione capitalistica tradizionale a favore di un nuovo Rinascimento economico e sociale.Con modelli di produzione, relazione e vita riformulati nell’ottica di sostenibilità ed inclusività, che diventano obiettivi raggiungibili grazie all’avvento delle tecnologie digitali.