Parla Raffaele Tovino
L’Unione Europea ha dato il via all’iter per applicazione del salario minimo nei Paesi che la compongono. Quindi anche l’Italia, nei prossimi due anni, dovrà adattarsi. Ma sarà veramente vantaggioso per i lavoratori? Resteranno più soldi a disposizione delle maestranze per soddisfare le loro esigenze? Si combatterà veramente lo sfruttamento o porterà ad un livellamento in base degli stipendi basati sulla specificità delle competenze? Il Sudonline ha rivolto queste domande a Raffaele Tovino, direttore generale di Anap (Associazione nazionale aziende e professionisti) e fondatore dell’ente bilaterale Enbiform.
Dottor Tovino, da più parti viene osservato che l’applicazione del salario minimo induce al rischio di creare conflitto con l’attuale impianto fiscale e finirebbe per non produrre alcun vantaggio per i lavoratori
Sì questo rischio è da valutare con attenzione, anche perché, alla luce della misura richiesta dalla direttiva europea, si determina un aggravio per le imprese,specialmente nelle fasce reddituali più basse, dove i maggiori oneri sono a carico del datore di Lavoro.
Stime autorevoli parlano di un cuneo fiscale che in Italia erode il 60% dello stipendio dei lavoratori…
Confermo. Ad incidere maggiormente è il cuneo contributivo (33%) contro il fiscale (27%). Negli altri Paesi OCSE il valore medio del cuneo fiscale è del 46,5%. Una enormità la differenza tra noi e la media OCSE.
Quindi parlare di salario minimo, senza rivisitare la fiscalità reale e contributiva, è gettare fumo negli occhi dei lavoratori?
Ripeto, vanno valutati bene gli effetti diretti e collaterali del salario minimo. Ma l’attenzione deve essere centrata sulla tematica fiscale. Non a caso le associazioni datoriali e quasi tutti i sindacati dei lavoratori puntano su questo tema per recuperare quanto l’inflazione sta rodendo ai salari e al risparmio e per il recupero della competitività dell’industria italiana.
Prendendo in esame uno studio del Sole 24ore, su 300miliardi di euro corrisposti nel privato 180 finiscono nelle casse dello Stato. Non è uno sproposito considerando che 100 miliardi finiscono in contributi previdenziali e assistenziali per costituire le pensioni, da fame, della maggior parte dei lavoratori italiani?
Lo stesso ministro dello Sviluppo Economico ha affermato l’Italia è tra i Paesi con i salari più bassi anche perché lo Stato si porta a casa una buona parte della retribuzione lorda dei lavoratori, indicando nel taglio del cuneo fiscale la strada per garantire il potere d’acquisto, che è la priorità.
Ci sono varie proposte per il taglio del cuneo fiscale che non è certamente gratuito.
Certo, consideri che un punto percentuale di riduzione costa circa 3 miliardi, ma potrebbe essere recuperato dall’aumento dei consumi e dalla produttività delle aziende.
Può spiegare meglio la dinamica del cuneo fiscale?
Per cuneo fiscale si intende la differenza tra lo stipendio lordo versato dal datore di lavoro e la busta paga netta ricevuta dal lavoratore. Attraverso questo parametro si possono quantificare gli effetti della tassazione del costo del lavoro sul reddito dei lavoratori, dell’occupazione e del mercato del lavoro. La ripartizione del cuneo fiscale è paritetica tra lavoratore e datore di Lavoro. Il primo versa all’INPS e all’Erario circa 89,5 miliardi, il secondo circa 90 miliardi che vanno a costituire la famosa cifra di 180 miliardi di tasse pagate ogni anno su 300 miliardi di stipendi del privato.
E come si inserisce il salario minimo in questa dinamica?
A mio parere l’applicazione del salario minimo, a fiscalità corrente, non risolve le necessità di salvaguardia stipendiale delle maestranze. Inoltre può precludere in gran parte la contrattazione collettiva riducendo, così, le garanzie dei lavoratori. Ed è quanto sottolineato dalle maggiori sigle sindacali, CGIL esclusa, e datoriali.
Sì ma l’Italia è unico tra i Paesi OCSE ad aver avuto un sensibile decremento stipendiale dal 1990 ad oggi: 2,9% in meno…
Siamo il Paese con la fiscalità più alta a danno delle imprese ed il Paese dell’OCSE dove è più difficile fare impresa per una serie di politiche oppressive e per una burocrazia senza eguali nel resto dei paesi industrializzati.
Torna come dirimente il tema dello snellimento burocratico, la madre di tutte le riforme che non costano…
E’ necessario ridurre gli aspetti burocratici e abrogare la pletora di norme fiscali presenti, spesso in contraddizione tra loro, come evidenziato anche dal direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini. Solo con una attenta, precisa e rapida riforma legislativa fiscale e la riduzione degli impegni burocratici si può rilanciare il sistema Italia e livellare al resto dell’Europa il livello retributivo dei dipendenti del settore privato.
In conclusione, l’introduzione del salario minimo a quali conseguenze porta?
Andrà ad impattare negativamente sulla contrattazione collettiva, senza abolire la piaga dello sfruttamento e del lavoro nero. Piaghe che possono essere contrastate con una rivisitazione generale dei costi contributivi e fiscali a carico delle imprese e con una efficace politica sanzionatoria.
Lei è direttore di Anap e fondatore di Enbiform. Vuole spiegare a grandi linee di cosa si occupano i due organismi?
L’Anap si rivolge ai professionisti e alle piccole e medie imprese (PMI) di tutti i settori produttivi impegnati nella divulgazione della cultura d’impresa e della sicurezza nei luoghi di lavoro. In quanto associazione datoriale è una delle parti sociali che periodicamente si occupa di rinnovare i contratti collettivi nazionale del lavoro fornisce assistenza e tutela diretta alle aziende e agli imprenditori associati
Enbiform invece?
E.N.Bi.Form. è un ente bilaterale, costituito cioè in modo paritetico da sindacati dei lavoratori e dei datori di lavoro, maggiormente rappresentativi sul piano nazionale come disposto dal sistema legislativo italiano. E’ lo strumento per il coordinamento e lo svolgimento delle attività in materia di occupazione, mercato del lavoro, formazione e qualificazione professionali. Tra i tanti suoi scopi figura ad esempio di coordinare il servizio del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale (RLST). Oppure seguire le problematiche riguardanti la materia della salute e della sicurezza sul lavoro. E infine, ma solo a titolo informativo generale, promuovere l’attuazione e il coordinamento su scala nazionale delle iniziative di ricerca, formazione e in materia di sicurezza del lavoro.