Abbiamo ricevuto da un lettore la richiesta di parlare della dipendenza affettiva, e cogliamo così l’occasione per dare inizio ad una serie di articoli ed affrontare il tema delle dipendenze in generale (dal fumo, dall’alcol, dalle droghe, dal cibo, dal gioco, dal web, ecc. ). Oggi ci concentriamo sulla dipendenza affettiva nelle relazioni sentimentali, introducendone l’argomento.
Cominciamo col dire che la dipendenza affettiva è un po’ come il colesterolo, o lo stress; c’è quella buona e quella cattiva. Quella che aiuta l’organismo a crescere e quella che lo intossica e gli fa male. In quest’introduzione ci manterremo in una fascia intermedia, parlando
intorno alla dipendenza affettiva fisiologica, di quegli aspetti che sono il segnale sia di una insicurezza personale, sia di una componente un po’ ostacolante nella vita di coppia- ma di un livello assolutamente migliorabile. Lasciamo al prossimo articolo la descrizione delle manifestazioni più gravi e patologiche della dipendenza affettiva.
Chiariamo quindi subito due punti. Primo, che la dipendenza affettiva è necessaria e vitale: grazie alla dipendenza affettiva noi individuiamo e stabilizziamo, durante la nostra infanzia, la fonte della nostra sopravvivenza, per mangiare, ripararci, essere curati, educati, crescere, ecc. ecc. Secondo, che la nostra crescita e il nostro sviluppo sono
cadenzati da fasi di progressiva crescente autonomia e indipendenza (svezzamento alimentare, cura di sé, autonomia personale e nelle relazioni, ecc.ecc.), in cui sperimentiamo l’esser lasciati a fare da soli, in una sapiente e calibrata riduzione degli aiuti. Questi due punti possono essere caratterizzati o dalle migliori condizioni del clima ambientale e del supporto emotivo del nostro datore di cure, o dalle peggiori condizioni del clima in cui cresciamo e di chi deve prendersi cura di noi. La qualità delle nostre relazioni sentimentali (in adolescenza e poi in età giovanile e adulta), e di come viene quindi vissuta la dipendenza affettiva, dipende dalle condizioni (positive o negative) in cui siamo cresciuti durante la fase di massima dipendenza, e da come sono stati attraversati e vissuti i vari momenti di passaggio e progressiva autonomia (da come abbiamo sciolto, o ne siamo rimasti imbrigliati, il legame con le principali persone che ci hanno accudito). Nel primo punto, la qualità della base sicura, determina la sicurezza e la fiducia in se stessi. Nel secondo punto, in base a come sono state vissute e incoraggiate (o scoraggiate) le progressive autonomie, svilupperemo la capacità ed il senso di quel delicato equilibrio tra appartenenza e individualità, stare insieme ed essere individui.

Già da questo, ciascuno di noi può auto valutarsi ripercorrendo le diverse esperienze che hanno caratterizzato i momenti di passaggio nella crescita, ed il clima emotivo generale con cui è stato aiutato o trattenuto, spinto o ostacolato, incoraggiato o scoraggiato.

Per ciascuno di noi, in una relazione di coppia (così come nelle prime fasi di vita affettiva), è importante sentirsi approvato, gratificato, incoraggiato e confermato; è importante avere la sicurezza della stabilità e della presenza dell’altro, anche nei momenti in cui ci si deve allontanare per fare le proprie cose personali. Quando però questa componente diventa eccessiva, spasmodica, totalizzante, e prevalente, siamo in presenza di una cattiva funzionalità della propria dipendenza affettiva, che rischia di intossicare il rapporto. Un rapporto deve essere gratificante, incoraggiante, approvante, sicuro e affidabile, ma devono essere tollerati al proprio interno, e non devono mancare, il confronto, il senso critico, la libertà di esprimere il proprio pensiero in dissenso all’altro, la propria differente individualità, senza dare troppo per scontato che l’altro ci sia sempre, comunque e per ogni cosa. Potremmo dire che deve esserci il 75% del primo ingrediente e il 25% del secondo. Se siamo troppo alla ricerca di approvazione e gratificazione dall’altro, il rapporto diventa fusionale e adesivo, chiuso; si satura, si blocca, non cresce, e può collassare (le coppie sempre azzeccate,a marcatura stretta). Se siamo troppo critici, disfattisti e distruttivi, instabili e inaffidabili, il rapporto si altera, non genera fiducia e solidarietà, ma frustrazione, rabbia, risentimento, e non cresce (né crescono i partner- le coppie cane e gatto, costantemente su un campo minato, o pronte a sfidarsi all’ultima minaccia). La miscela e la proporzione tra questi ingredienti, può risultare particolarmente esplosiva se la coppia è formata da due persone che hanno un forte bisogno di conferma, rassicurazione e di presenza dell’altro; oppure, se è formata da due persone ipercritiche, individualiste e allergiche all’impegno (persone fragili che hanno paura di perdere la propria individualità). La coppia che ha meno rischi di cadere nell’adesività o nell’ostile risentimento, è quella formata da due persone che sanno dosare gli ingredienti; oppure la coppia formata da una persona con aspetti di insicurezza, e una persona che sia più sicura. Una relazione sentimentale positiva può migliorare l’assetto psicologico della persona più insicura.

In conclusione, la dipendenza affettiva diventa ostacolante quando si ha difficoltà a sostenere i piccoli o grandi “distacchi” che nella vita quotidiana si presentano. Una telefonata o un messaggio che non arriva; ritardare ad un appuntamento; essere di diverso avviso su un episodio o un comportamento, possono diventare fonte di ansia e apprensione. Piccole cose, ma che possono essere vissute con un senso di minaccia o paura di essere abbandonati, trascurati, inadatti o colpevoli. L’intensità di questi sentimenti, il tipo di comportamento che si può innescare come reazione, e l’energia che assorbono nella nostra vita, definiscono il grado di problematicità della dipendenza affettiva. In condizioni ed in relazioni non patologiche di dipendenza affettiva, si può ricorrere a strategie di rinforzo, per vincere l’insicurezza e aumentare la fiducia e l’affidabilità. Attraverso un piano quotidiano di allontanamento controllato (stabilire che per alcune ore non ci si telefona; fare in modo che ogni tanto vi siano uscite indipendenti, ognuno con i propri amici; non collegarsi a facebook e non mandarsi messaggi per mezza giornata, ecc.ecc.), oltre l’insicurezza si può migliorare l ‘ansia di contatto ( o ansia di abbandono), e la fiducia nell’altro. Anche qui, come da piccoli, si tratta di non farsi paralizzare dalla temporanea mancanza della fonte di gratificazione certa. Fare questi “esercizi” è molto importante, perché ci si avvicina ad uno stile di vita più sereno, ed anche perché l’ansia di contatto/abbandono, e l ‘insicurezza, confinano troppo pericolosamente con i comportamenti di controllo. Ma questo è un altro argomento, per la prossima volta. Chiudiamo sottolineando che l’educazione ai sentimenti, trascurata in famiglia e quasi totalmente ignorata a scuola, è la migliore strada per prevenire e formare.

Di Antonio Pitoni

Antonio Pitoni, Psicologo Psicoterapeuta, in servizio presso l’Unità Operativa di Salute Mentale della ASLna3sud, è Giudice Onorario presso il Tribunale per i minorenni di Napoli, ed è CTU per il Tribunale di Napoli. Ha svolto e svolge attività di formazione, è autore di pubblicazioni, ed è stato relatore in numerosi convegni e seminari. A Napoli esercita attività di psicoterapeuta e di consulente per la psicologia in ambito giuridico (separazioni, affidamenti, ecc.).