Di Enrica Procaccini
Nei suoi occhi resteranno le ovattate stanze vaticane e i vicoli ventilati di Monteleone di Puglia. Il viaggio in Italia di Bernice Albertine King, figlia di Martin Luther King, farà solo due tappe. Una dal Santo Padre, l’altra in quel borgo di montagna della provincia di Foggia che la accoglierà per consegnarle il Premio internazionale per la Pace e la Nonviolenza. Il riconoscimento, destinato alle donne impegnate contro la guerra, è stato istituito tre anni fa dall’amministrazione guidata da Giovanni Campese in memoria delle contadine monteleonesi, protagoniste della ribellione dell’estate del ’43 contro il regime fascista. Una pagina di storia nazionale paradossalmente poco conosciuta in un Paese che, a parole, abbonda di antifascismo.
La storia delle Monteleonesse
E’ il 23 agosto del ’43. La guerra da poco più di due anni ha portato al fronte gli uomini, lo Stato autarchico di Mussolini passa appena 150 grammi di pane al giorno e ci si mette pure il comandante dei carabinieri di stanza nel paesino dell’Appennino Dauno che sequestra delle pignate di granturco ad alcune donne in fila davanti al forno. Scatta la protesta popolare. Lancio di pietre, tanto per cominciare, contro la caserma. Da qui rispondono a pallettoni. Le donne di Monteleone alzano il tiro e mettono a ferro e fuoco non solo la caserma ma anche il municipio. Da Foggia arriva il prefetto, è Giovanni Dolfin, che non a caso dopo l’8 settembre diventerà segretario di Mussolini nella Repubblica di Salò. Parte il rastrellamento e le ‘Monteleonesse’, come oggi vengono ricordate le donne della rivolta, finiscono in carcere. Ed è carcere duro, durissimo. Due muoiono dopo pochi giorni. Il gerarca Dolfin non fa sconti a nessuno. Neanche alle donne incinte e ai loro figli. Una bimba di pochi mesi morirà in prigione. Caduto il regime, finita la guerra, per le donne di Monteleone la giustizia può ancora attendere. Le due amnistie, quella di Parri e quella di Togliatti, cancellano i reati dei fascisti ma non quelli delle Monteleonesse. Che solo nel 1950, verranno definitivamente assolte.
La lezione del Reverendo
Piccole grandi donne in lotta per affermare la propria dignità contro la violenza e i soprusi del fascismo che oggi trovano una testimone di eccezione, Bernice Albertine King, figlia di un’autentica icona della lotta contro l’apartheid. Una donna che, come le Monteleonesse, poco più che ventenne ha conosciuto l’esperienza del carcere, e che da sempre è fortemente impegnata nella difesa dei diritti e della pace come l’autore del celebre “I have a dream”, di cui quest’anno corre il cinquantenario della morte.
Una ricorrenza che accende un grande faro sul piccolo Comune pugliese che continua a dare il suo contributo per la pace e la difesa dei diritti. “La nostra comunità è da anni impegnata sui temi della non violenza e dell’accoglienza – spiega il sindaco Campese – Il nostro sogno è trasformare Monteleone in attrattore permanente di attività culturali e turistiche legate all’impegno degli uomini a favore della pace”.
“Vinceremo con la non violenza”
“Abbiamo ancora la possibilità di scegliere una posizione non violenta”. Cita il padre, Martin Luther King, autentico ‘monumento’ della lotta per la difesa dei diritti umani, quando il Comune di Monteleone di Puglia le ha consegnato il premio internazionale per la Pace e la Nonviolenza. Nel suo discorso, Bernice Albertine King insiste sulla “necessità di investire sulle nuove generazioni – dice – Quando i giovani si muoveranno per la pace, il mondo cambierà”.
Altro tema al centro del suo discorso, le donne. “Mia madre diceva che le donne sono l’anima delle Nazioni. Alzatevi donne, voi siete il futuro del mondo e noi dobbiamo aiutare il mondo a pensare in modo diverso. Noi siamo il punto di riferimento, siamo noi che dobbiamo istruire le nuove generazioni”.
” La filosofia della non violenza – conclude – è una filosofia vincente, vi assicuro”.
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