Gli avvocati oramai sono categoria disagiata, poveri con difficoltà sociali. La vecchia, onorevole professione a cui avviare i giovani di famiglie culturalmente elevate, ritenuta un traguardo ambito che li rendeva “titolati”, rispettati, ammirati e non poco conto “remunerati”, oggi è in crisi profonda.
I Tribunali sono pieni di giovani che non sanno cosa fare, usciti da una Facoltà di Giurisprudenza che non ha alcun mercato di lavoro. Si impegnano a passare il tempo come praticanti in una sorta di call center della Giustizia, che non dà alcun futuro e che a 40/45 anni li fa racimolare 300/400 euro mensili, i piu’ fortunati 500/600: meno delle mance a un cameriere.
La crisi della professione e la marea di giovani laureati ha fatto saltare anche la vecchia figura della segretaria di studio, la quale si occupava degli adempimenti ordinari. Non potendosi permettere una segretaria, gli avvocati ricorrono ai praticanti i quali, essendo migliaia a fronte di poche cause, sono pronti a svolgere tutte le mansioni. E’ la guerra dei poveri, ogni uno toglie spazio agli altri.
Tempo fa la Cassa forense si occupava di investire i fondi pensione dei ricchi avvocati. Quest’anno invece ha deliberato “Aiuti agli avvocati in difficoltà economiche”, su proposta dei Consigli dell’Ordine, per erogazioni agli indigenti – oramai tanti – ossia chi ha bisogno estremo di assistenza.
E’ una catastrofe, di cui i giovani che si iscrivono a Giurisprudenza sanno poco. Il sintomo di grave malattia del sistema e la cattiva o scarsa cura applicata dalla Riforma della Giustizia, che invece tende a distruggere la categoria.
Migliaia di giovani che si abilitano alla professione di avvocato e provocano la distruzione della professione lavorando a costo quasi zero, ricevendo i potenziali clienti per strada, moltiplicando le offerte di seguire pratiche a costo quasi pari alle spese per tasse ed altissime imposte di Giustizia.
Un sistema a serpente che si morde la coda. Pur di recuperare pochi euro ci si presta anche ad avviare pratiche inutili ed impossibili. E i clienti, pur sapendo bene che un valido professionista ha parametri differenti, costi differenti e risultati differenti, preferiscono il “tentativo a costo zero”.
Una Causa dura in media 5/7 anni in primo grado, ed altrettanti in Appello. Vuol dire che un avvocato deve avere la forza di “sostenersi da solo“ per almeno i 5 anni prima di ottenere un pagamento di parcella che talvolta non copre neanche le spese reali effettuate per seguire con impegno e dedizione l’azione legale. Con questo sistema, quante cause dovrebbero pendere presso uno studio per farlo funzionare?
Chi esercita la professione realmente ed ha un proprio studio legale sa quali sono i costi di gestione, manutenzione, tasse ed imposte di uno studio legale. Sa che, per farlo funzionare bene, dovrebbe introitare 20/30 cause “buone” l’anno.
Ai giovani occorre dare un aiuto concreto in assenza di una politica mirata. Le Associazioni Forensi dovrebbero girare per scuole e facoltà e parlare ai giovani per orientarli e discutere con i neo laureati o giovani che vanno a tentare la pratica forense.
Claudio Panarella, avvocato