Ci avevano dati per spacciati già nel 2020, nell’anno orribile della crisi pandemica, fra lockdown prolungati e un’economia paralizzata dal virus e dalla paura. Neanche il tempo di prendere fiato, che scoppia un’altra grana, quella dell’impennata delle materie prime dovute alla ripresa repentina dell’economia. E anche questa volta non c’era un solo centro-studi, nazionale o internazionale, pronto a sommettere un euro sulla ripartenza dello stellone. Come se non bastasse, a complicare ulteriormente la situazione, c’è stata la paralisi di Suez a causa di una nave incagliata nel canale, con l’incredibile fila di convogli in attesa di continuare la loro marcia verso un porto europeo. Eppure, anche questa volta, siamo riusciti a superare il peggio, senza per la verità grossi affanni, smentendo ancora una volta le cassandre di turno. Che però si sono subito rianimate quando la Bce, per contrastare l’inflazione, ha cominciato a tirare su i tassi di interesse ad un ritmo mai visto prima. Anche in questo caso, però, le previsioni hanno sbagliato tiro: in recessione sono i finiti i “falchi” della Germania mentre l’Italia ha continuato a marciare meglio dei suoi diretti competitor, a partire dalla Francia. Basta dare un’occhiate alle statistiche sul Pil: nel 2023 ha fatto meglio delle tre maggiori economie europee del G7 stesso dopo la maxi-performance del 2021-2022. Ed arriviamo ai giorni nostri, con l’escalation del conflitto in Ucraina e la guerra in Medio Oriente dopo l’orrendo attacco di Hamas a Israele. Una guerra dopo l’altra, compresa quella scatenata dai ribelli Houthi contro le navi mercantili verso l’Occidente che attraversano il canale di Suez. Niente da fare, neanche questa volta lo scossone geo-politico è riuscito a trascinarci nel baratro, nel 2024 nonostante la frenata, continueremo a crescere di più della media europea. E perfino quell’obiettivo dell’1,2% di crescita del Pil che il governo aveva messo nero su bianco nel Def, non era nato sull’onda dei facili ottimismi. A meno di imprevisti dell’ultima ora, la ricchezza del Paese dovrebbe aumentare dell’1%, appena due decimali in meno rispetto alle previsioni dell’esecutivo ma quasi il doppio se si considerano le stime di Ocse o Fmi. Per non parlare dalla rapida discesa dello spread, ormai ai minimi da due anni. O dalla corsa agli acquisti dei Btp, altro segnale di fiducia che ha colto di sorpresa quasi tutti gli esperti oltre a gran parte dei media nazionali.
Ma perché non si riesce ad ammettere la semplice verità dei numeri e, soprattutto, superare la sindrome di Calimero, di un’italietta che continua a piangersi addosso come se fosse condannato ad essere il fanalino di coda dell’economia europea e mondiale? Da dove nasce il miracolo economico registrato, puntualmente, dalle statistiche del Paese reale? I motivi sono molteplici ed è difficile fare un’analisi esaustiva. Ma proviamo a sintetizzarli. In primo luogo la “resilienza” dimostrata dal sistema produttivo italiano, che è tornato a investire nelle innovazioni di processo e di prodotto conquistando quote di mercato nelle nuove filiere del valore. Un dato per tutti: fra il 2018 e il 2023 il valore dell’export è cresciuto del 48%. C’è poi la grande dote del Pnrr che ha rimesso in moto gli investimenti pubblici coprendo, in parte, il calo di quelli privati determinati dalle incertezze dei contesti geopolitici. Infine, la ripresa del turismo e dei consumi, dovuto anche ad una sorta di effetto rimbalzo dopo la parentesi dei lockdown. Se a tutto questo aggiungiamo l’aumento boom dell’occupazione (che significa anche maggiore ricchezza nelle tasche degli italiani) e la strategia del rigore portata avanti dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, sul fronte dei conti pubblici, possiamo cominciare a individuare meglio i contorni del nuovo miracolo economico e forse, spingerci anche oltre. Ad una condizione: di non abbassare la guardia o dormire sui risultati raggiunti. La strada da fare è lunga. Ma l’Italia va, nonostante gufi e cassandre.