Comincia a trovare credito una terza opzione in tema di Europa unita e di euro. Una terza strada tra l’europeismo degli “integrati”, quello se e senza ma che abbiamo conosciuto negli ultimi venti anni e che ci ha portato al punto in cui siamo; e l’euroscetticismo degli apocalittici che, spinto alle estreme conseguenze, straccerebbe la moneta unica per tornare alle valute nazionali. Tra apocalittici e integrati dell’euro, insomma, c’è una terza posizione che potremmo definire “europeismo anti-euro” o “europeismo euro-sfavorevole”.
Di una terza via per l’euro ha scritto di recente il giornalista tedesco Wolfgang Munchau in un lungo articolo proposto dal Corriere della Sera, intitolato “Perché l’Italia deve imparare a dire no alla Germania”. Dove si propone la tesi secondo la quale Italia e Francia farebbero bene a sottrarsi alla camicia di Nesso nella quale sono strette dal rigorismo teutonico. Meglio per loro se sviluppassero, magari trainando su questa linea, anche la Spagna. E’ il progetto che Romano Prodi chiama di “Europa latina”, capace di competere con la leadership tedesca che al momento non sembra temere confronti.
L’autore spiega che essere euro-sfavorevoli non significa essere contro l’Europa, tantomeno essere inclini al ritorno contro la moneta unica. Semplicemente si sostiene che l’euro attuale è “disfunzionale” agli interessi dell’Europa unita. Perché?
Perché l’euro non funziona? Perché alla lunga sembra creare solo danni anziché benefici. E quindi meglio sarebbe entrare nel merito e cercare di evitare il peggio, piuttosto che demonizzare il dibattito sull’euro.
Ma scusate: non sono queste le argomentazioni che Paolo Savona sta ponendo all’attenzione dell’opinione pubblica da almeno sei mesi?
Vero che la grande stampa italiana soffre di esterofilia, ma davvero non si poteva cominciare a ragionare sui problemi che l’euro pone nella sua configurazione attuale? Dovevamo aspettare il tedesco formatosi alla corte del Financial Times? Dove si conferma che se è vero che nessuno è profeta in patria, oggi nessuno è profeta nemmeno nell’eurozona. O forse il fatto che l’articolo sia stato scritto da un tedesco rende più credibili le critiche che muove, da autentica mosca bianca, ad Angela Merkel.
Nel merito, che cosa sostiene il suo articolo? Munchau parla senza mezzi termini di “aberrazioni”. Aberranti sono infatti i “meccanismi di regolamentazione” che vincolano l’Unione a rispondere ad obblighi stringenti (patto di stabilità e fiscal compact) che restringono il raggio d’azione degli Stati membri in tema di politiche di bilancio. In questa maniera l’euro funziona solo per un drappello di Paesi del risorto “blocco asburgico” (Germania, Olanda, Finlandia, Austria piccoli Stati dell’Est). Italia e Francia, viceversa, avrebbero interesse ad affermare una “propria” strategia coerente con un euro sostenibile sul piano politico ed economico.
Dal fiscal compact, che mira a limitare al 60% del Pil l’indebitamento consentito a ogni Stato membro, è derivato un danno economico immenso, dovuto al fatto che esso ha privato di ogni spinta il nostro Paese proprio nel momento di maggiore bisogno, cioè dopo la crisi finanziaria del 2007.
Ma strappare condizioni di maggiore flessibilità si potrebbe ottenere in Europa solo a patto che Italia e Francia fossero disposte ad arrivare a una frattura con la Germania. Ma i governanti italiani non hanno la colonna vertebrale necessaria e sufficiente nemmeno per esigere dalla Ue che il Mezzogiorno abbia un numero di zone franche o un regime di agevolazione paragonabile alla Polonia. Finché il convento passa il personale politico che conosciamo, quello che bisogna augurarsi è che le aberrazioni dell’euro non generino catastrofi, ma problemi che abbiano carattere di reversibilità. Finché c’è Draghi, c’è speranza. Finché in giro c’è solo l’euro-sfavore, si potrà sempre rimediare. Ma nelle viscere dell’Europa ci sono ben altri virus che allignano. Se scoppia la febbre, il contagio sarà ben più radicale di una tempesta in un bicchiere d’acqua dei mercati finanziari.