La vicenda storica di Gioacchino Murat è stata particolarmente controversa. Personaggio che divenne da figlio di albergatore a Sovrano. Sappiamo che studiò in seminario, da dove a venti anni venne espulso, che si arruolò nella guardia costituzionale di Luigi aXVI. Caduta la monarchia borbonica, entrò nell’esercito rivoluzionario, divenendo rapidamente ufficiale. Seguì da subito il Bonaparte, partecipò attivamente al colpo di Stato del 18 brumaio 1799. L’anno successivo divenne cognato dell’Imperatore die francesi, sposandone la sorella Carolina, fino a diventare nel 1808 Re di Napoli, in sostituzione di Giuseppe Bonaparte, che quell’anno acquisì la corona spagnola.
Il nostro è sicuramente esempio di quella mobilità sociale che caratterizzò il periodo napoleonico. La sua folgorante carriera ebbe tuttavia un tragico epilogo. Ed è di questo epilogo che i documenti che ho rinvenuto si occupano.
Analizzando sinteticamente i fatti che precedettero la tragica fucilazione di Murat in Calabria, lo troviamo speranzoso di mantenere il suo Regno napoletano, ed al contempo con velleità politiche che andavano oltre quanto già in precedenza era riuscito ad ottenere.
Dopo la sua folgorante ascesa, dimostrando acume politico e volontà di dare al Regno affidatogli dall’Imperatore una legislazione votata ai tempi nuovi.
Egli poi si prodigò per sostenere Napoleone durante la difficile campagna di Russia del 1812 ma, in seguito alle sorti avverse del cognato, avviò segretamente contatti con l’Austria, inviando a Vienna il Principe Cariati, e contemporaneamente prendendo contatto con gli inglesi, incontrando personalmente un delegato di Lord Bentick a Ponza.Da tali manovre scaturì un accordo con le due potenze che gli garantirono la conservazione della Corona. Le potenze però non mantennero quanto stabilito e al Congresso di Vienna si decise per la restituzione del Regno di Napoli ai Borboni. Fu allora che Murat dichiarò guerra all’Austria, riavvicinandosi a Napoleone, che nel frattempo era fuggito dall’esilio dell’Elba nel marzo del 1815.[1]
Qui si inseriscono note interessanti. Re Gioacchino in quel marzo del 1815 era sicuramente in contatto con lamia città, Lucca. Qui infatti un patriota Giacobino, Lorenzo Pierotti, già in data 1° gennaio1815,[2] come si evince da una sua lettera che porta quella data, aveva abboccato in Piemonte il conte Fabrizio Lazzari, nipote del generale piemontese napoleonico Rege De Gifflenga, che era in contatto con il figlio acquisito dell’Imperatore, Eugenio de Beauharnais. I patrioti giacobini della penisola ancora anelavano alla possibilità di un’Italia libera dal dominatore austriaco sotto l’egida napoleonica con al nord un Regno sotto il Beauharnais ed un Regno del sud sotto Gioacchino Murat. Lorenzo che, oltre ad essere giacobino, appartiene anche all’orbita cattolico liberale, vuole rassicurare l’amico abate del Duomo di Pisa Ranieri Zucchelli che il conte Lazzari medierà per un patriota, che non deve stare in pensiero. Già nel gennaio 1815 napoleone prepara la sua fuga e non stupisce che i cattolici liberali di stampo giacobino ne fossero a conoscenza, dato che il nostro in questo caso era amico personale del principale agente murattiano, anche lui lucchese di nascita, l’avvocato Giuseppe Binda, uomo di fiducia di Murat. Il primo gennaio 1815 verosimilmente questi erano gli accordi. Non così già il giorno immediatamente successivo alla fuga di Napoleone dell’Elba: in quel frangente l’ex Re partì con il suo esercito alla conquista del Nord Italia. Al suo comando annoverava, tra gli altri, i generali Caracciolo, Pignatelli, Pepe, d’Ambrosio. Napoleone approvava le mosse del Murat?
Presumo che vedesse di buon grado la suddivisione politica del paese cui ho fatto cenno e che traspare dalla lettera del 1°di gennaio di quell’anno. Il patriota Lorenzo ed i cattolici liberali trovarono nelle mosse Francesco un aiuto “concreto” Murat era sicuramente ambizioso, dalle Marche entrò nelle Romagne ed il 20 marzo 1815, giunto a Rimini, lanciò un accorato appello, redatto da Pellegrino Rossi, con il quale chiamò a raccolta tutti gli italiani esortandoli alla rivolta per la conquista dell’Unità e dell’Indipendenza nazionale. Il gesto di Murat riaccese le speranze di molti giovani, fra cui Alessandro Manzoni, il quale iniziò la stesura della canzone Il Proclama di Rimini, rimasta poi incompiuta come l’iniziativa murattiana.
In Italia comunque la diffidenza verso i Francesi non aiutò Murat, che vide l’appello per nulla ascoltato. La guerra all’Austria proseguì registrando un primo successo presso Panaro, ma anche la successiva sconfitta del 3 maggio a Tolentino. Murat arretrò fino a Pescara, dove promulgò una costituzione, sperando di ottenere l’agognato sostegno popolare, che mai arrivò.
Qui si apre un capitolo che ritengo particolarmente interessante. Per le sue trattative il nostro aveva bisogno dell’assenso inglese. Contava in Inghilterra su Lord Holland e Lord Russell, che da documenti risultano non solo i fondatori del partito Whig, ma anche i sostenitori del fuoriuscissimo italiano dei primi anni del XIX secolo. Chi governava però era il partito Tories. Il personaggio chiave da abboccare era Lord Bentick. Con un estremo tentativo, Gioacchino Murat creò il suo sostegno col concorso di un suo importante agente segreto, l’avvocato lucchese Giuseppe Binda. Perché importante? Perché il Binda era intimo sia di Lord Holland che di Lord Bentick. Sembra che avesse conosciuto Lord Holland a Firenze, visto che Holland rimase a lungo nella città Toscana. Di Lord Bentick sappiamo che lo conosceva personalmente, ed infatti apprendiamo da rassegna storica del Risorgimento, anno 1916, che nel tentativo di abboccarlo a Genova, dove Bentick si trovava, con le lettere del marchese del Gallo ( Marzio Mastrilli) in tasca, Giuseppe Binda commise l’imprudenza di passare da Lucca, la sua città. Venne intercettato dagli austriaci e fu costretto a riparare a Londra, proprio in casa di Lord Holland, divenendone il Bibliotecario di fiducia. Le lettere passarono di mano all’agente napoletano Macirone che raggiunse Lord Bentick a Genova, ma senza alcun risultato.
Quanto Giuseppe Binda fosse inserito nella Società inglese lo apprendiamo dall’avvocato londinese John Whishop qualche anno dopo, grazie ad una pubblicazione del celebre personaggio della capitale britannica.[3] questa dimestichezza non poteva attribuirsi unicamente né al carattere estroverso del Binda, né alla sola conoscenza preziosa di Lord Holland. Ma in tutta evidenza era pregressa, altrimenti Gioacchino Murat non avrebbe contato così tanto sul Binda. I rapporti della città di Lucca sono sempre stati serrati col mondo britannico, e questa potrebbe essere une delle ragioni di questa comunione d’intenti. Comunione che non fruttò nulla a Murat in termini concreti. Forse se Binda avesse davvero potuto raggiungere Genova questa comunione avrebbe, ma il condizionale è d’obbligo, essere importante per il proseguo delle vicende. questa però è soltanto una supposizione. Il fatto che Giuseppe Binda sia passato da Lucca sicuramente non fu casuale, ma si rivelò una mossa sbagliata. Gli austriaci si aspettavano tale passaggio e riuscirono ad intercettarlo. Le lettere del marchese del Gallo non sappiamo cosa contenessero. Solo che Lord Bentick pretese di averle, lasciando poca cosa in tasca al Macirone. Il Marchese del Gallo aveva ed ebbe poi un ruolo da plenipotenziario di tutto rispetto, quelle lettere dunque dovevano sicuramente essere essenziali nelle dinamiche politiche del periodo. Lord Bentick non se le lasciò sfuggire, senza tuttavia dare il suo assenzo sulle richieste di Murat. Un tentativo in extremis questo. Qualche asso nella manica Murat doveva averlo. Uno di questi era senz’altro l’abilità del suo agente, preso evidentemente nella morsa degli eventi.
No gli restò che incaricare della resa i generali Carrosca e Colletta, che ci fu il 20 maggio, con la sottoscrizione della Convenzione di Casalanza, presso Capua, con la quale i Borboni ritornarono sul trono di Napoli.
Il nostro riparò, dopo aver tentato la via della Francia, non sostenuta da Napoleone, in Corsica, quando lo stesso Napoleone si stava avviando verso la definitiva caduta che avvenne pochi giorni dopo Waterloo. In Corsica raggiunsero Murat notizie di malcontento popolare nel suo ex Regno. La versione ufficiale lo vuole partire per Napoli, sbarcando a seguito di una tempesta a Pizzo Calabro, dove venne catturato e fucilato a solo quarantotto anni d’età, il 13 ottobre 1815.
Egli nel momento in cui il regime napoleonico vedeva il suo epilogo, si propose dunque come Re d’Italia, di fatto il Proclama di Rimini dette inizio ad un’epoca, quella Risorgimentale, piena essa stessa di contraddizioni, che il nostro seppe da subito interpretare.
Sappiamo che la versione dello storico Raffaele Zitarosa degli eventi, il quale sostenne che Giustino Fortunato e Pietro Colletta lo avrebbero attirato in una trappola, facendogli credere di avere un consenso popolare non reale, in modo da bloccarne il desiderio di conquista, si è rivelata infondata. Quanto scrive lo storico Ersilio Michel in “Archivio di Corsica”, rivista degli anni XX del XIX secolo, poi soppressa, ritengo sia rilevante per comprendere il clima tra i patrioti Corsi che lo accolsero.[4] Scrive lo storico Ersilio Michel: “Il 25 agosto 1815, dopo i pericoli e le peripezie patite in Provenza, Gioacchino Murat, accompagnato da pochi seguaci, sbarcava clandestinamente, com’è noto, a Bastia, forse ancora incerto sul partito cui appigliarsi per avvincere di nuovo a sé quella fortuna che pareva l’avesse abbandonato. La notizia del suo arrivo si spargeva presto tra i cittadini e da Bastia si propagava rapidamente nei vari luoghi dell’isola, dopo lo sbarco, numerosi Corsi, che a Napoli, negli anni precedenti, avevano militato sotto di lui, o vi avevano coperto uffici civili. Dall’Isola, come è facile immaginare, la notizia veniva trasmessa a Livorno, a Genova, a Civitavecchia, a Napoli. Seguirono le autorità politiche della città e consoli esteri. La notizia si propagò poi per ogni dove. Seguirono trattative con lo stesso Murat di vari governi”. [5]Quanto seguito aveva ancora Gioacchino Murat?
Sicuramente minoritario, ma ancora consistente, più di quanto è stato sin qui trattato.
Prosegue infatti il Michel: “ Appena si era sparsa la notizia dello sbarco di Murat in Corsica, più numerosi convennero a Livorno i forestieri sospetti che si proponevano di partire per Bastia; e il cancelliere criminale toscano Nisi, prima ancora di ricevere istruzioni da Firenze, adottava contro di loro, sistematicamente, il grave provvedimento dello sfratto dal Granducato. Il Presidente Puccini, scrivendo in proposito al Governatore Spannocchi, il 2 settembre approvava quella misura di rigore, e anche a nome del Ministro Corsini, prescriveva che ai forestieri sfrattati fosse fatto obbligo di prendere la via di terra, anziché quella di mare, appunto perché non andassero ad ingrossare il numero degli aderenti al Re Gioacchino”.
Evidentemente i vari sovrani della Penisola e la stessa Austria temevano i movimenti dell’ex Sovrano, pur essendo questi preventivatili. Si temevano soprattutto alcuni uomini al seguito di Murat, qui descritti come Corsi che, fedeli sostenitori del partito bonapartista, avrebbero potuto destabilizzare le decisioni politiche prese a Vienna. Nessun governo d’antico regime considerò in modo superficiale quanto stava accadendo, segno che Re Gioacchino aveva ancora un seguito nella Penisola, seppur minoritario. Scrive ancora Michel: “nei giorni seguenti giungevano ai Ministri granducali, dalla Corsica, dall’Elba, notizie sempre più inquietanti […]. Un ufficiale medico toscano, di nome Landini, mandato dal colonnello Casanova a Portoferraio, a prender possesso dei agazzini dell’ospedale imitare e civile, prima dell’ingresso formale delle truppe granducali, trasmetteva il 6 settembre al Presidente del Buon Governo Toscano le seguenti informazioni: “ …Voi sapete che l’eroe Murat s’è potuto salvare in Corsica con pochi dei suoi. La posta di Bastia lo trovò in una piccola barca vestito da marinaio, nell’atto che era per perdersi. Lo ricevette al suo bordo e lo portò a sbarcare in un luogo detto l’Arcivescovo. Ha trovato partigiani e si dice che ordini alla gente. Il suo primo pensiero, appena sbarcato, fu di scrivere a questi signori…esortandoli a non rendersi a noi, assicurandoli che sarebbe venuto a soccorrerli. Questa mattina ha scritto di nuovo, ma la lettera è stata intercettata. Bisogna confessare che qui sono tutti di un colore e piuttosto che fare il loro dovere, che li richiamerebbe alla sommissione al Sovrano, si attaccherebbero per sfuggirla anche al Bey di Algeri…”.[6] “Murat [ prosegue il Michel] ormai deciso di tentar l’impresa della riconquista del trono, al quale dichiarava di non aver mai abdicato, accelerò alacremente i preparativi che potevano essere da tutti osservati. Il console pontificio a Bastia riferiva il 10 settembre quanto aveva osservato e saputo e dichiarava insieme la necessità che di tutto fossero ragguagliati i Consoli delle Potenze alleate: “…otto delle più grosse barche di questo porto sono state in parte noleggiate e in parte comprate dai segreti agenti di Murat, né si è guardato al prezzo per ottenerle dai proprietari; ed una dilunga bene equipaggiata è stata pure noleggiata. Su questa si crede che debba imbarcarsi l’ex Re per essere in stato di fuggire in qualche occasione; la maggior segretezza regna su quest’affare, ma dai movimenti che osservanti nei suoi antichi militari si scorge pienamente il loro progetto. Essendo sbarcato Murat in Corsica senz’alcun equipaggio, v’è da presumere con tutto fondamento che dette barche debbano essere destinate ad imbarcare tutti i Corsi che si vorranno imprudentemente avventurare a seguire il suo destino, dei quali il numero in ragione dei bastimenti non deve essere indifferente. […] A preoccuparsi fu soprattutto lo Stato Pontificio, che pure ospitava al suo interno alcuni napoleonidi. Gioacchino Murat era pur sempre un napoleonide “sui generis”, che agli occhi dei patrioti poteva apparire legato sì al passato, ma capace di far rivivere quei principi rivoluzionari cari soprattutto alla borghesia che li aveva sostenuti. La mattina del 4 ottobre 1815 una nave inglese portò la notizia della partenza del Murat a Civitavecchia e consegnava lettere per il Cardinale Consalvi; e per il console inglese che quel delegato, Monsignor Giovanni Antonio Benvenuti, si affrettava ad inviare a Roma per mezzo di un dragone. La partenza di Murat era fatta risalire al 28 settembre. Passarono vari giorni senza che si avessero sicure notizie della spedizione avventurosa e le autorità granducali, sebbene non avessero a temere per la sicurezza dello Stato, scrivendo il 6 ottobre al Segretario di stato, quasi deploravano che nulla più si fosse saputo di Re Gioacchino. Si riteneva nello specifico che Murat nella sua spedizione procedesse d’accordo con gli Algerini. L’epilogo lo conosciamo. Ciò che non conosciamo davvero è il suo reale sostegno in Italia e fuori d’Italia. E’ indubitabile che il partito bonapartista Corso fosse particolarmente florido sull’Isola Bella come lo dimostrerà nel corso del primo Risorgimento. Quanto le autorità inglesi sostennero questa impresa. Ufficialmente no, senz’altro. Ma ufficiosamente Lord Holland che sempre visitava i napoleoni a Roma, che ospitava in casa sua l’ex agente murattiano Giuseppe Binda, peraltro con un ruolo chiave all’interno di Holland House, potevano questi personaggi creare un sostegno politico a Re Gioacchino? Più che volgere lo sguardo al consenso interno dentro il Regno di Napoli, che appare assai scontato, visto che la carboneria pochi anni dopo iniziò una vera e propria rivoluzione chiedendo la costituzione di Cadice. Re Gioacchino in questo era una garanzia. I fondatori del partito wigh londinese sicuramente approvarono le mosse di Re Gioacchino, quantunque i napoleonidi stessi siano stati descritti spesso l’un contro l’altro amati. Ma nell’immediato periodo si ricompattarono nella lotta contro l’austriaco, e questo la dice lunga sulla possibilità anche in quel frangente di dare sostegno al napoleone superstite. Forse fu davvero la sorte avversa a decretarne il fallimento. Ritengo che in quel preciso momento il nostro paese tutto perse un’occasione politica Evidentemente i tempi non erano ancora maturi. Ma il fuoco covava sotto la cenere.
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[1] www.storico.org, ved. L’articolo che ho ivi pubblicato dal titolo Gioacchino Murat in Corsica.
[2] Biblioteca nazionale Centrale di Firenze, Carteggi Vari, Rif. 101,65
[3] www.storico.org, Giuseppe Binda, articolo che qui ho pubblicato.
[4] ASCL: governo di Livorno, corrispondenza Ministeriale, Lettera del 2 settembre 1815.
[5]Archivio di Stato di Firenze , buon governo Segreto, anno 1815, numero 329, Lettera del Console Pontificio a Bastia, 4 settembre e del Landini 6 settembre.
[6] Archivo di Stato di Firenze, buon Governo Segreto, anno 1815, numero 329, Lettera del Console Pontificio a Bastia, 4 settembre e del Landini, 6 settembre.