La storia si ripete sul fronte del Mezzogiorno. Soprattutto quando si è trattato di decidere dove destinare le risorse nazionali a disposizioni. Al Nord o al Sud? La domanda sorge spontanea. Così come la risposta: ovviamente al Nord. C’è uno straordinario dibattito andato in onda in Parlamento all’inizio del 900, molto rappresentativo rispetto a come sono andate poi le cose nei decenni successivi. Dopo l’ondata di scioperi nelle campagne meridionali del 1901, il governo Zanardelli-Giolitti comincia a temere scontri aperti e sommosse. Mentre si fanno sentire, in Parlamento, anche i deputati meridionali, fortemente interessati a conservare il consenso nelle loro aree. In quel momento storico, il programma di Giolitti e dei cosiddetti liberali democratici ha poco a che vede con gli interessi del Sud. Come scrive Gramsci, infatti, il governo “ha solo l’obiettivo di creare nel Nord un blocco urbano che dia base allo Stato protezionista per rafforzare l’industria settentrionale, cui il Mezzogiorno è mercato di vendita semicoloniale”.
Per fare questo, aggiunge Gramsci, il governo utilizza due armi: la repressione poliziesca e il protezionismo doganale. Ma, i meridionali, che tutto sommato ignoranti e fessi non erano, cominciano a protestare. Soprattutto quando il governo decide di dare priorità alla costruzione della galleria del Sempione rispetto alla direttissima Roma-Napoli. Si fa sentire perfino il direttore del Mattino, Eduardo Scarfoglio: “Non vogliamo mandare a monte i progetti per il Sempione – si legge sul quotidiano napoletano il 7 dicembre del 1901 – Ma vogliamo che da oggi si inauguri il sistema di non accordare più un soldo al Nord senza un equo compenso al Sud. Questo è l’unico messo per evitare una guerra di secessione i cui eroi sarebbero gli esattori delle imposte e i contribuenti”.
Rispetto a questo, però, perfino un liberale moderato e illuminato come Luzzatti, porta avanti una linea politica in Parlamento che formalmente dà ragione al Mezzogiorno. Nella sostanza lo affonda.L’esordio nel suo intervento in Parlamento nel dicembre del 1901 è brillante: “Quale sarà l’avvenire e il destino del Mezzodì, tale sarà l’avvenire e il destino di tutta l’Italia”. Un’equazione che riascolteremo mille volte negli anni a venire. Luzzatti invitava anche i deputati del Nord a tenere ben presente “il criterio di dare la precedenza, alle opere del Mezzodì su quelle di altre parti d’Italia più felici che possono attendere di più”. Tutto bene, se non fosse per una piccola aggiunta fatta da Luzzatti al suo intervento. Ovvero che “andava anteposto il criterio nazionale, ad esigeva ad esempio, la costruzione del Sempione. O, ancora, bisognava tener conto delle esigenze del bilancio. Insomma, con la scusa dell’interesse nazionale, il Sud rischiava l’ennesima fregatura. Le “priorità” del Mezzogiorno, sottolinea uno storico come Barbagallo, “rimanevano in definitiva subordinate alle necessità nazionali”. Un’ulteriore declinazione del “colonialismo” delle regioni del Sud. Con una sola eccezione, forse, in quegli anni: la legge speciale per napoli che inseguiva il sogno di un grande meridionalista, Saverio Nitti: quello dell’industrializzazione del Sud. E’ l’atto di nascita dello stabilimento di Bagnoli.