Non si tratta qui di Sant’Antonio di Padova, il noto prorettore di quella città, a cui la Madonna diede una volta in braccio il bambino Gesù, ma dell’altro più antico, Sant’Antonio, che ha il soprannome di «abate», e comunemente è rappresentato con un porcellino al fianco. È il santo protettore dei grossi animali domestici, principalmente dei bovini, dei cavalli, dei muli, degli asini e dei porci, che il giorno del nome del loro patrono vengon condotti nella sua Chiesa, nel quartiere della Vicaria e ivi, nel cortile, sono aspersi di acqua santa dalla mano del prete — naturalmente a pagamento. Allora Sant’Antonio prende le bestie in protezione, e ha cura che non si spezzinole ossa, che non le colga nessuna epidemia, che crescano, prosperino e restino in forza quanto più a lungo possibile. I favoriti del santo, che perciò gli vengon condotti in gran numero dalla città e dalla campagna il 17 gennaio, sono ornati di nastri e di altri ornamenti, e poi, dopo esser stati bagnati con l’acqua santa e aver fatto tre volte il giro della chiesa, guarniti di ciambelle, di file di nocciuole o di castagne, che là si vendono in gran quantità.
“Vita popolare a. Napoli nell’età romantica, Karl August Mayer”
Le altre puntate
- 17 gennaio, San Antonio Abate – https://www.ilsudonline.it/laltra-storia-del-sud-un-anno-di-feste-nel-regno-di-napoli-17-gennaio-s-antonio-abate/
- La domenica di quaresima – https://www.ilsudonline.it/laltra-storia-del-sud-un-anno-di-feste-nel-regno-di-napoli-la-domenica-di-quaresima/
Per capire come sono nati gli antichi riti tradizionali della Festa di Sant’Antuono a Macerata Campania bisogna fare un passo indietro nel tempo fino ad arrivare al XIII secolo. Al tempo il paese di Macerata Campania si presentava come una comunità prevalentemente agricola ed artigianale, dove il lavoro dei campi richiedeva l’uso di una ricca gamma di attrezzi e strumenti che venivano fabbricati dagli artigiani locali. Costoro, durante le tradizionali fiere agricole, per evidenziare la solidità degli attrezzi da un lato e per attirare l’attenzione dei passanti dall’altro, percuotevano con magli le botti, con mazze i tini e con ferri le falci, creando una commistione di suoni che scoordinati ed asincroni apparivano persino assordanti, ma che con i voluti o forse fortuiti miglioramenti ritmici, portarono alla creazione di quelle peculiarità sonore che ancora oggi caratterizzano la musica a Pastellessa.
Un’antica legenda popolare vuole, inoltre, che la Pastellessa sia nata come rituale per “scacciare il male”: infatti si racconta di contadini che percuotevano freneticamente botti, tini e falci nel tentativo di scacciare gli spiriti maligni dagli angoli bui delle loro cantine. Questo rituale ripetuto poi all’aperto, secondo l’antica legenda, rappresentava un aiuto propiziatorio per il buon raccolto.
Nato come rituale pagano, questa tradizione è confluita nella festa religiosa in onore di Sant’Antonio Abate, patrono degli animali e Santo protettore dalle avversità del fuoco.
Nelle polverose carte conservate presso gli archivi, ed in particolare nel catasto onciario di Macerata del 1754, nato per volere di Carlo III di Borbone il quale nel 1740 impose alle varie Università del Regno di Napoli la formazione dei relativi catasti per avere un controllo di tipo fiscale più accurato (dal medioevo e fino al XVIII secolo ogni nucleo demografico di una certa consistenza numerica del Regno di Napoli era qualificato come Università del Regno), si possono leggere i mestieri che si esercitavano in Macerata ai quali viene fatta risalire la manifestazione di Sant’Antuono. Accanto ai numerosi braccianti e «fatigatori della terra» vi era una larga schiera di galessieri, vaticali, ferrari, maniscalchi, bottai, manesi, tutti specializzati nella produzione di traini, botti, tini, falci e altri strumenti e arnesi che, combinati sui carri, segnano lo strumentario dei carri di pastellessa con le loro Battuglie. Ancora i documenti offrono delle testimonianze su questa festa. In un bilancio predisposto dall’Università di Macerata per l’anno contabile 1791-1792 vi è stanziata la somma di 20 ducati necessari per le feste del Santo Protettore S. Martino e per la festività di «S. Antuono Abbate» segno delle lontani origini della festa.
Sempre nel XVIII secolo, il 12 aprile 1766 il re del Regno di Napoli Ferdinando IV, figlio di Carlo di Borbone e nipote di Elisabetta Farnese, che succedette al padre nella guida del Regno, concesse al <…paroco de la tierra de Macerata del Casal de esa ciudad ed Real Permiso, para poder continuar la questua para la fiesta y capella de San Antonio…>.
Il parroco in questione era don Gonsalvo Peccerillo, che dalla sua Chiesa di Casalba (Santa Maria delle Grazie, nda) fu promosso titolare della Chiesa di San Martino Vescovo in Macerata (Campania, nda) nell’anno 1760. La nuova sede lo dotò della nomina di Abate, titolo di cui si fregiano i parroci di Macerata Campania da antichissima data.
Con tale carica, nel 1766, risolse una petizione alla Maestà del Re per essere autorizzato ad effettuare una questua nella nuova parrocchia al fine di celebrare la festa di Sant’Antonio Abate, <…solita a farsi ogni anno in onore del Santo, a cui i cittadini professano grandissima devozione…>, scriveva don Gonsalvo Peccerillo.
Un’altra importante traccia storica è data dal termine maceratese pastellessa, il quale viene utilizzato per indicare la musica percussiva prodotta dai Bottari di Macerata Campania. Questo termine, la cui terminologia deriva dalla past’e’llesse o past’e’llessa (pasta con le castagne secche) piatto tipico di Macerata Campania cucinato abitualmente nel giorno di Sant’Antuono, è legato ad Antonio Di Matteo, in arte Zì Antonio ‘e Pastellessa, un capobattuglia nato e vissuto a Macerata Campania fino alla prima metà del XX secolo (nato il 18/01/1872 e morto il 25/03/1951 a Macerata Campania). Zì Antonio ‘e Pastellessa, famoso per la sua cantina in via Santo Stefano a Macerata Campania dove era possibile degustare la pasta con le castagne lesse (fra Macerata e paesi limitrofi era l’unica cantina ad offrire questo piatto), come tanti altri capobattuglia era solito organizzare uno dei carri per la sfilata in onore di Sant’Antonio Abate, i quali ad inizio XX secolo venivano solitamente indicati come “Carri di Sant’Antuono”. A quel tempo, come accade oggi, ogni carro era contraddistinto da un nome in particolare ed il nome del carro di Zì Antonio ‘e Pastellessa era la “Battuglia di Pastellessa”, che era legato senza dubbio al soprannome del capobattuglia. La fama di questo carro e la bravura di Zì Antonio ‘e Pastellessa, anche fuori dalla mura cittadine, ha portato col tempo ad indicare tutti i Carri di Sant’Antuono col termine di Battuglie di Pastellessa e la musica eseguita dai Bottari di Macerata Campania col nome di pastellessa.
A confermare la fama di Zì Antonio ‘e Pastellessa è senza dubbio una delle canzoni più antiche, o che meglio ritorna alla mente, cantate sulle Battuglie di Pastellessa a Macerata Campania: “Per la Festa di Sant’Antuono”, la quale ci riporta ad inizio XX secolo. La canzone, infatti, risale ai tempi del famoso capobattuglia Zì Antonio ‘e Pastellessa e del bottaro Pasquale Ventriglia in arte Pascale ‘a Vorpe, il quale nacque a Macerata Campania il 5/10/1888. Presumibilmente il testo è stato composto fra il 1910 e il 1920, quando Pascale ‘a Vorpe aveva 20-30 anni, arrivando al giorno d’oggi come un’autentica testimonianza del passato.