DI CLAUDIO D’AQUINO
La conferenza stampa organizzata il 30 luglio dalla Svimez nella Sala della Regina della Camera dei deputati è stata – diciamolo pure, senza diplomatismi e infingimenti – piuttosto deludente. Non per il lavoro svolto dalla associazione presieduta dall’economista Adriano Giannola, al solito puntuale e approfondito, la quale ha fornito una messe di dati sullo stato di salute del Mezzogiorno d’Italia in anticipo sul Rapporto Sud 2014. Come potevasi immaginare, tutti di segno mestamente negativo.
La delusione deriva invece dalle conclusioni, affidate a due esponenti di governo: il Ministro per gli Affari Regionali Maria Carmela Lanzetta e il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Graziano Delrio.
Così, mentre il presidente Giannola invoca (lo fa almeno dal governo Monti in carica) una strategia nazionale per il Mezzogiorno, sorretta da una solida logica industriale, i due esponenti del governo Renzi sollevano, viceversa, un muro di parole di circostanza. Tanto opaco che è stato davvero difficile, per i giornalisti presenti, trarne un succo. L’unico accenno di sussulto lo ha fornito a un certo punto Delrio che, ricordando i suoi trascorsi di alpinista, ha paragonato i compiti che ancora ci attendono per rimettere l’economia italiana sul binario giusto, a una parete all’apparenza molto impervia la quale tuttavia, vista da vicino, mostra fessure, fratture e minime sporgenze a cui appigliarsi, che in un primo momento erano sfuggite allo sguardo. Quali siano, fuor di metafora, le fessure e le sporgenze a cui appigliarsi per dare una svolta al Sud che arretra, non è dato però sapere.
Il discorso di Delrio si è soffermato – anche questo era facile aspettarselo – sul solito richiamo ai fondi europei che il Sud non riesce a spendere. Morale della favola: saranno ritirati i fondi a coloro che “non hanno fatto nulla per realizzare una strada in 15 anni”. Il governo, par di capire, inserirà di fatto una sorta di clausola della “spesa storica” anche nella ri-programmazione delle risorse ancora disponibili. Se non hai saputo spendere in passato risorse ordinarie, perché dovresti essere premiato con progetti a valere sui Fesr?
Le parole di Delrio suonano sinistre. Non molto fa è stato effettuato un tentativo di accreditare il ritiro dei fondi che l’Italia assegna all’Ue per le politiche di coesione, con la “nobile” intenzione di utilizzarli, in deroga, per allentare la pressione fiscale. Proposta sulla quale la stessa Ue si è fatta una risata. Ora il tentativo sembra rientrare dalla finestra. Stavolta è il governo stesso che parla di “ritiro dei fondi europei a chi non sa spendere…”. La campana suona per le Regioni ad obiettivo convergenza: Campania, Puglia, Calabria e Sicilia.
Ma se l’intento coltivato è questo, non si apre una contraddizione palese con quanto lo stesso governo, sulla spinta di quello precedente, dice di voler fare con l’Agenzia per la coesione, messa in campo proprio per affiancare le amministrazioni locali, e cioè l’anello debole della filiera istituzionale che si occupa di progetti finanziati da Bruxelles?
Caduta la convinzione a ispirazione leghista, secondo cui quei benedetti milioni di euro della Ue non si spendono al Sud per incapacità della locale classe dirigente (e quindi a causa di una tara genetica dei meridionali pressappochisti e fannulloni), ci eravamo convinti che viceversa la mancata spesa sia il precipitato di una oggettiva difficoltà a “registrare” i numerosi livelli di coinvolgimento del partenariato: Ue, Ministeri, Regioni, Province, Comuni… Difficoltà che aumenta esponenzialmente quando si decide di non polverizzare gli interventi in una miriade di iniziative a pioggia, ma farli convergere in grandi progetti a scala multiregionale. Il tasso di difficoltà progettuale, insomma, decuplica quando non si tratta di stendere asfalto su una strada poderale, ma coordinare un mega progetto come quelli per il Porto di Napoli o di Gioia Tauro…
Insomma, che si fa? Macchina indietro, in sostanza, facendo leva su un pregiudizio – il Sud incapace e fannullone – che torna a fare il suo lavoro? Perché delle due l’una. O la matassa è davvero complicata da sbrogliare, e allora ci vuole l’Agenzia per la Coesione a dare una mano, soprattutto agli enti locali meno attrezzati. Oppure districarsi nella selva è facile in realtà. Facile per tutti tranne che per il Sud, dove notoriamente, da anni non si riesce a concludere la terza corsia della Salerno – Reggio Calabria.
Se il criterio è valido – se è dirimente avere o non avere in curriculum ritardi nella spesa per interventi urgenti e indispensabili – allora cosa dire di quei ritardi che non sono al Sud, ma anche al Nord (e soprattutto al Centro, intendendo per tale l’apparato ministeriale romano)?
I fondi non spesi per Pompei, per esempio: certo non possono essere addebitati al sindaco della cittadina vesuviana. E che dire della “mappa dei cantieri finti contro i rischi del dissesto geologico”, di cui ha parlato – tra gli altri – Antonio Galdo sul Mattino del 4 agosto? Una fotografia dell’Italia degli sprechi, equamente distribuiti per aree geografiche. Istantanea di una galleria delle occasioni perdute, e “di un Paese bloccato – scrive Galdo -, penalizzato nell’impotenza di non riuscire a spendere i soldi che pure non mancano mentre il territorio continua ad essere abbandonato”.
I numeri messi nero su bianco, su questa materia, proprio dal governo Renzi sono da scandalo: su 3 miliardi e 335 milioni di euro, dopo 4 anni le opere concluse sono appena il 3,2%, mentre il 78% sono fermi. E a chi viene il sospetto che tutte queste “occasioni perdute” siano in maggioranza nel Mezzogiorno, rivolgiamo l’invito a leggere il rapporto Ance “Salviamo il territorio” che è del febbraio di quest’anno (http://www.ance.it/docs/docDownload.aspx?id=17238).
Molto istruttivo, in verità. A pagina 7 riporta una cartina dell’utilizzo delle risorse per ridurre il rischio idrogeologico a livello regionale. Due sole le Regioni che hanno speso più del 50% delle risorse, una al Centro e l’altra al Sud: Emilia e Basilicata. La Sicilia si colloca tra il 30 e il 50%, come Lazio e Toscana. Impegno inferiore al 20% sono tutte le altre Regioni del Mezzogiorno continentale, ma – sorpresa! – sono in buona compagnia: Piemonte, Liguria, Val d’Aosta, Trentino, Veneto, Friuli e Umbria…
In questo caso che ha fatto il governo Renzi, per iniziativa di Delrio? Non ha ritirato i fondi per destinarli a un più rapido utilizzo (il cuneo fiscale da alleggerire). Invece ha messo in campo una struttura di missione per “risolvere i ritardi clamorosi in tema di emergenza idrica (e di edilizia scolastica)”, coordinata da Erasmo D’Angelis e diretta da Mauro Grassi. Anche allo scopo di evitare pesanti sanzioni relative alle procedure europee di infrazione.
I Comuni che hanno problemi di dissesto idrogeologico sono 6.633, pari al’81,9%. Certo non sono tutti nel Sud pressappochista e incapace, familista e mafioso. Dal che si dimostra che “l’incapacità” è una caratteristica commendevole, ma equamente e armonicamente distribuita sull’intero territorio nazionale. Quindi? Inventatene un’altra, per carità di Patria…