di Simona d’Albora
Chissà se davvero la morte è una livella? Sicuramente non lo è per chi rimane, si perché a 38 anni dalla sua scomparsa, Antonio de Curtis, in arte Totò, nel mondo dei vivi è ancora amato e ricordato come il principe della risata, quel titolo nobiliare al quale lo stesso attore napoletano era legato. La morte per i vivi non è una livella se proprio Totò è anche oggi considerato il più grande artista napoletano del 900. I suoi film vengono trasmessi e le sue battute vengono citate ancora, segno di una modernità senza tempo o di una modernità che sfida il tempo che passa, a dispetto di quell’infarto che il 15 aprile del 1967 lo uccise.
I suoi film, le sue poesie, il suo cabaret, le sue canzoni, le sue battute, tutto viene conservato nelle nostre memorie in una sorta di museo collettivo virtuale che ha maggior fortuna di quello che si cerca di realizzare in ricordo di uno dei figli di questa grande città. Stupisce, infatti che a 35 anni dalla sua morte la memoria del principe della risata non abbia ancora una sua collocazione fisica. Non è che nessuno abbia pensato al Museo di Totò, come luogo nel quale tramandare alle future generazioni la sua arte, ma ahimè la volontà in questi anni si è scontrata non solo con una serie di intoppi burocratici, ma anche con una serie di problemi legati alla staticità del palazzo che dovrebbe ospitarlo. E così, ancora oggi a 20 anni dalla nascita del progetto, il museo, che si trova al terzo e quarto piano di Palazzo dello Spagnuolo, luogo simbolo della sanità, dopo varie inaugurazioni, rimane chiuso per problemi di staticità e perché manca l’ascensore, nonostante i fondi stanziati negli anni, un declamato impegno delle Istituzioni che ad oggi non hanno fatto seguire alle parole i fatti e nonostante gli appelli del Fai che si sono concretizzati anche in uno stanziamento di fondi.
Chissà se da tale vicenda lo stesso Antonio de Curtis non avrebbe preso spunto per un suo film: come ne “I re di Roma”, diretto da Steno e Monicelli, Ercole Pappalardo/Totò, archivista capo al ministero, aspetta la meritata promozione, il Museo di Totò aspetta di venire aperto per sempre. Ma la burocrazia, che nel film mostra il suo volto più antipatico con il giovane Alberto Sordi che esamina lo stesso Pappalardo, ha messo fin troppo i bastoni tra le ruote proprio a quel Museo. Venti anni sono troppi per una città che aspetta un luogo dove ricordare il suo principe della risata, un luogo nel quale progettare il rilancio della cultura e di nuovi artisti napoletani, un luogo che diventerebbe polo di attrazione per il turismo.