Economia e Finanza
Carige, BlackRock esce di scena. Il Mef cerca altri capitali privati. Banca Carige torna a navigare in acque tempestose. Ieri il fondo BlackRock ha fatto un passo indietro rispetto alla possibilità di partecipare al piano di ricapitalizzazione dell’istituto messo in piedi dai commissari Pietro Modiano, Fabio Innocenzi e Raffaele Lener. Il colosso statunitense ha ritirato la sua manifestazione di interesse a entrare nell’azionariato di Carige, comunicando alle parti, in una scarna nota, che «un fondo in gestione non è più coinvolto in una possibile transazione con Banca Carige». BlackRock sottolinea che «il ruolo di fiduciario» che «riveste nei confronti dei propri clienti dei quali gestisce i patrimoni, è sempre stato l’elemento indispensabile nella valutazione di un’opportunità di investimento». E in quest’ottica, «nonostante tutto il lavoro svolto nelle ultime settimane, compreso il tempo dedicato alla valutazione di possibilità alternative, purtroppo non è stato possibile raggiungere un accordo». Sta di fatto che a una settimana dalla scadenza imposta dalla Bce per le offerte vincolanti siamo di nuovo alla casella di partenza. Certo, l’interesse – vero o presunto – di BlackRock ha consentito di creare condizioni di qualche interesse per l’intervento di un soggetto privato. Che ora contano di trovare sia dal Governo, che segue da vicino il dossier, sia dalla Vigilanza di Banca d’Italia. Dalla Romania, Giuseppe Conte prova a metterci una pezza: «La nazionalizzazione non è all’ordine del giorno. Se si chiude una porta se ne apre un’altra, la banca è in una condizione di sostenibilità, ci sono tutti gli estremi per una soluzione di mercato». Anche il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ha parlato di «soluzioni di mercato». In questo momento però il destino della banca è incerto. E il tempo stringe, dato che Bce ha fissato al 17 maggio la presentazione delle offerte vincolanti. Le prospettive? O un soggetto acquirente da trovare in fretta, magari uno dei fondi che già avevano guardato il dossier (come Apollo e Varde). O un «intervento del sistema bancario», come ha detto il numero uno di Unicredit, Jean Pierre Mustier, «purché su basi eque e proporzionali». Oppure l’aiuto di Stato, che costerebbe al Tesoro 1,3 miliardi, che però va approvato dalla Ue.
Deficit, Salvini e Di Maio all’attacco. Salvini e Di Maio non mollano. Nemmeno di fronte all’ennesimo avvertimento di Bruxelles con le severe previsioni di primavera e con la guerra dei dazi in corso. Entrambi, negli ultimi due giorni, hanno nuovamente rievocato lo sfondamento del fatidico tetto del 3 per cento di Maastricht. «Giù le tasse entro l’anno anche se vuol dire sforare il vincolo europeo del 3 per cento», ha detto Salvini. Più cauto, con un po’ di polemica anti-leghista, Di Maio: «Si può sforare, ma Orban sarà d’accordo?», ha replicato il leader dei Cinque Stelle. L’unica strada certa, ma pericolosa perché secondo l’Istat può far aumentare l’inflazione di 1-2 punti, è l’aumento dell’Iva: di fronte alla misura entrambi hanno ribadito il “no”. Anzi, rilanciano: Salvini con la flat tax, che costa 15 miliardi e Di Maio che guarda al taglio del cuneo fiscale sulle buste-paga (una misura che non può costare meno di 5-6 miliardi) e vuole disporre liberamente anche del miliardo inutilizzato del “suo” reddito di cittadinanza. Il “no” di Tria a questa impostazione è netto. «Per tagliare le tasse servono coperture strutturali e non si può utilizzare il deficit», ha detto saggiamente il ministro dell’Economia e ha confermato «gli impegni già inseriti nella legislazione italiana», ovvero il previsto aumento dell’Iva in assenza di misure alternative. Precisazione necessaria perché per il 2020 la Commissione già ci assegna un deficit-Pil pari al 3,5 per cento, ovvero circa 61 miliardi che il governo pensa di ridurre al 2,1 per cento con i 23 miliardi dell’aumento dell’Iva o con misure alternative. Al momento sono tre i serbatoi da cui il Carroccio punta ad attingere per portare a casa la flat tax: taglio delle tax expenditures, maggiori incassi Iva e lotta all’evasione. Sul fronte delle spese fiscali, ha ribadito il sonosegretario leghista all’Economia, Massimo Bitonci, si lavora a una revisione mirata della giungla di agevolazioni, spesso inefficaci e distorsive della progressività dell’imposta. Dino Pesole sottolinea sul Sole 24 Ore che “per evitare l’aumento dell’Iva e tagliare le tasse (se lo si vorrà) non esistono alternative: o si taglia la spesa, oppure si aumentano le entrate per altra via. L’impressione è che alla fine un possibile intervento sull’Iva, magari sotto la forma di un aumento selettivo di alcuni beni e di un loro spostamento da un’aliquota all’altra (in ballo quelle del 10 e 22%), non sia da escludere. Gettito insufficiente però. Occorreranno altre misure di carattere fiscale (quali?) e soprattutto un massiccio e strutturale programma di revisione della spesa pubblica. Possibile? Certamente sì sulla carta, se si va a scandagliare nei meandri degli 850 miliardi della nostra spesa pubblica. Con molti punti interrogativi, se si guarda alla praticabilità di tale operazione dal punto di vista politico ed elettorale”.
Politica interna
Sondaggi elettorali. La Lega cala e perde due punti. A due settimane dal voto europeo prevale l’incertezza. Solo un elettore su tre, infatti, dice di aver già deciso come votare. Così lo scenario delle prossime, imminenti, elezioni appare ancora avvolto nella nebbia. D’altronde, le tendenze espresse dagli italiani, nel sondaggio dell’Atlante Politico, condotto da Demos per Repubblica, appaiono, a loro volta, “incerte”. Instabili. Perché i cambiamenti cominciano ad essere significativi. Rispetto alle precedenti elezioni ma anche ai sondaggi recenti. Certo, il governo continua a ottenere un consenso maggioritario, fra gli elettori (50%). Ma appare in calo vistoso, negli ultimi mesi. La fiducia nei suoi confronti è scesa di 7 punti da inizio anno. Ma di 12 rispetto allo scorso settembre. Tuttavia, la sua maggioranza tiene. Lega e M5s continuano a formare una coppia rissosa ma dominante. Certo, i rapporti di forza tra i soci di governo, rispetto alle elezioni politiche del 2018, si sono rovesciati. Tuttavia, negli ultimi mesi, la Lega di Salvini ha smesso di crescere. Anche se resta sopra il 32%: due punti meno rispetto alla precedente indagine, condotta a marzo (nella quale, però l’intenzione di voto non si riferiva alle Europee). Mentre il MSs, pur perdendo oltre 10 punti, in confronto alle Politiche, sembra aver frenato la caduta. Il sondaggio di Demos lo stima al 23%. Circa 10 punti in meno, rispetto alle Politiche. Ma, comunque, 2 punti sopra al Pd (insieme a “Siamo Europei”, di Carlo Calenda). Divenuto, ormai, il vero competitor del M5s. Il Pd si ferma, infatti, al 20,4%. In crescita rispetto alle elezioni Politiche e alle rilevazioni più recenti. Ma pare aver perduto la la “spinta propulsiva” ricevuta dalle Primarie. Dietro, tutti seguono a distanza. FI resta sotto il 10%. Solo i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni risalgono quasi fino al 5%. A conferma che gli elettori di Centro-Destra si stanno spostando a Destra. Attratti, oltre che dai FdI, anche dalla Lega di Salvini. Infine, + Europa, guidata da Emma Borino, insieme a Italia in Comune, la formazione fondata dal sindaco di Parma, Pizzarotti, supera di poco il 4%. Più a Sinistra rimane poco, ormai. Sul Corriere della Sera l’analisi di Nando Pagnoncelli secondo il quale i segretario della Lega ha esasperato i toni, sia in termini di modalità, con una comunicazione sempre più diretta, che di posizionamento politico, con un sempre più netto spostamento a destra. II vicepremier Di Maio ha ripreso un ruolo da protagonista, tenendo il punto su molte questioni e in particolare ottenendo la testa del sottosegretario Siri. Quest’ultima vicenda è pesata sull’opinione pubblica, insinuando dubbi rispetto alla Lega. Rispetto a poco meno di un mese fa la Lega fa segnare un pesante arretramento: era allora al suo punto più alto, con un consenso potenziale di quasi il 37%, oggi cala, in poche settimane, a poco meno del 31%. E evidente che, insieme al caso Siri, la tolleranza verso il crescere di manifestazioni apertamente filofasciste e certi eccessi verbali hanno raffreddato una parte dell’elettorato, in particolare la componente più moderata che recentemente si era avvicinata alla Lega. Al contrario il M5S, pur rimanendo distante dai livelli delle elezioni politiche, conferma la ripresa di consenso che già avevamo registrato il mese scorso. Oggi è accreditato del 25% circa, con una crescita di quasi tre punti in poche settimane. Il Partito Democratico a sua volta segna una piccola crescita rispetto al dato del mese scorso, superando il 20%: con l’elezione del nuovo segretario consolida un campo e riaggrega un elettorato fino a poco fa deluso e senza riferimenti solidi.
Cannabis, stretta di Salvini. Gli strascichi sul caso Siri aprono una nuova frattura tra Lega e M5S. Matteo Salvini in cerca di una “rivincita” sul nemico-alleato Cinque Stelle da ieri ha promesso una guerra «via per via, negozio per negozio, città per città» contro i prodotti a base di canapa. Prodotti, questi, venduti in Italia legalmente dal 2017 dopo l’approvazione di una legge che ne ammette il commercio (a patto che il principio attivo, il Thc, sia inferiore allo 0,6%) e che di fatto ha aperto le porte a un settore commerciale che già dà lavoro a 10mila addetti per 150 milioni di fatturato con quasi mille negozi e 1500 aziende di trasformazione e distribuzione, come ha ricordato il Consorzio nazionale per la tutela della canapa industriale. Salvini ieri ha varato una direttiva che prevede controlli a tappeto per i negozi – dalla verifica delle certificazioni alla loro localizzazione non troppo vicina a «luoghi sensibili» come scuole, parchi giochi, ecc. – con l’invito agli enti locali a monitorare le nuove aperture. Ma soprattutto la direttiva ricorda anche che la legge non consente la produzione e la vendita al pubblico delle infiorescenze «in quanto potenzialmente destinate al consumo personale», cosa che invece viene «impropriamente pubblicizzata – si legge nel testo – come consentita dalla legge». «Meglio legalizzare la prostituzione», ha aggiunto il ministro che plaude alla chiusura, sempre ieri, dei primi due cannabis shop decisa dal questore di Macerata Antonio Pignataro a Civitanova Marche, perché colpevoli di vendere prodotti con livelli di Thc oltre i limiti di legge. La battaglia alla cannabis per Salvini diventa l’occasione per attaccare i Cinque Stelle a cui ha chiestodi ritirare la proposta di legge sulla liberalizzazione delle droghe. Immediata la replica dell’altro vice premier Luigi Di Maio che dopo aver invitato Salvini a fare di più per chiudere le piazze di spaccio ironizza sul suo «nervosismo»: «La Lega è in paranoia dopo gli ultimi sondaggi che danno in ripresa M5s». Nella Lega intanto sono sempre più numerosi gli esponenti convinti che il governo debba cadere: «Attendendo, rischiamo di lasciarci sfuggire il punto in cui l’onda per noi è al culmine». Senza contare che in parecchi continuano a parlare, e sempre più sicuri, di un futuro comune tra 5 Stelle e Partito democratico: «Abbiamo avuto le conferme dei loro rapporti sempre più stretti con i democratici. E solo questione di tempo». E così, l’idea dei leghisti è sempre la stessa: «Andare a elezioni. Da soli, il prima possibile e con Matteo candidato premier. I voti, oggi arriverebbero e sarebbero sufficienti. Se continuiamo a farci rosolare su questa griglia, chissà…».
Politica estera
Elezioni europee. Già il titolo chiarisce il senso dell’appello: «L’Europa è la migliore idea che abbiamo mai avuto». E l’obiettivo è quello di ricordare ai cittadini l’importanza di partecipare alle prossime elezioni – che in Italia si svolgeranno il 26 maggio – «perché sarete voi a scegliere quale direzione prenderà l’Unione, perché l’Europa unita ha bisogno di un voto forte dei popoli». Le firme sono di 21 capi di Stato dell’Ue tra cui quella di Sergio Mattarella che ha aderito convintamente a un’iniziativa nata in Germania ma che gli è sembrata «molto opportuna» visto che da sempre è un convinto sostenitore del progetto europeo e della necessità di una maggiore integrazione tra Stati. Nell’appello – però – si tiene bene conto delle differenze di visione che esistono – tra le firme ci sono anche quelle dei presidenti dei Paesi di Visegrad – ma nonostante questo si scrive che «tutti noi siamo d’accordo che l’integrazione e l’unità sono essenziali e che vogliamo che l’Europa continui come Unione». Certo è che a due settimane o poco più dalle prossime elezioni europee, i Ventisette hanno mostrato divisioni sull’iter di nomina del prossimo presidente della Commissione europea, mettendo in dubbio lo schema secondo il quale i capilista al prossimo voto sono candidati in pectore alla guida dell’esecutivo comunitario. Le differenze sono giunte ieri durante un vertice a Sibiu. «Ho annunciato oggi ai capi di Stato e di governo che intendo organizzare un vertice il 28 maggio (dopo il voto europeo, ndr) per iniziare le procedure di nomina», ha detto il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. «Il mio obiettivo è di applicare i Trattati e di garantire un equilibrio geografico, politico e di genere». L’ex premier polacco ha poi ricordato che non può esserci automaticità tra la vittoria di uno Spitzenkandidat e la sua nomina da parte del Consiglio europeo alla guida della Commissione. «Vorrei una decisione all’unanimità, ma non esiterò nel caso di veti a ricordare che la scelta può avvenire a maggioranza», ha aggiunto il presidente Tusk, a cui spetterà sondare i paesi dopo il voto europeo del 23-26 maggio. In ballo, nei fatti, c’è il futuro del capolista popolare Manfred Weber, che per ora ottiene il sostegno solo della sua famiglia politica, e in particolare del cancelliere austriaco Sebastian Kurz («Se Manfred Weber vince, potrà rivendicare la presidenza della Commissione»). Particolarmente critici del metodo dello Spitzenkandidat sono stati ieri il presidente francese Emmanuel Macron («Non è l’approccio corretto»), il premier lussemburghese Xavier Bettel («Avrebbe senso solo se ci fossero liste transnazionali»), e la presidente lituana Dalia Grybauskaité, che ritiene lo stesso metodo «un po’ fuori linea rispetto alle procedure democratiche e ai Trattati». Questi ultimi prevedono che i leader debbano solo «tenere conto del risultato delle elezioni». Dal canto suo, il premier Giuseppe Conte ha detto che «l’obiettivo dell’Italia è avere un’adeguata rappresentanza negli organi comunitari».
Nord Corea, Kim lancia altri due missili. La Corea del Nord ha effettuato ieri un altro test missilistico, dopo quello di sabato scorso, in coincidenza con la visita a Seul dell’inviato speciale Usa Stephen Biegun. Due missili a corto raggio lanciati dall’area di Kusong , dopo un percorso di 420 e 270 km, sono caduti nel mar del Giappone. L’ultima sfida del leader nordcoreano Kim Jong un potrebbe avere il significato di affossare quello che è stato il più grande traguardo rivendicato da Donald Trump: la sospensione dei test di armi, dopo il lancio di novembre 2017 del missile intercontinentale Hwasong15, potenzialmente in grado di raggiungere gli Stati Uniti. Kim da allora aveva deciso una moratoria unilaterale come segnale di disponibilità negoziale verso gli Usa, ritenendo legittimi solo i test a corto raggio. Secondo le risoluzioni dell’Onu, invece, tutte i lanci di missili balistici sarebbero al bando. Destinato a far salire la tensione con Pyongyang è anche l’annuncio del Dipartimento della Giustizia Usa di aver confiscato un cargo nordcoreano per aver illecitamente trasportato carbone. La notizia risale al primo maggio, come dimostra la denuncia depositata nella Corte federale di Manhattan dal procuratore federale Geoffrey Berman. L’amministrazione di Washington, però, ha deciso di diffonderla solo ieri, guarda caso dopo che, nell’ultima settimana, il dittatore di Pyongyang ha ripreso i test missilistici vietati dalle risoluzioni Onu. L’imbarcazione cargo, la «Wise Honest», era stata intercettata il 2 aprile 2018 dalle autorità indonesiane e poi bloccata perché la documentazione di bordo non era in regola. Dalle carte risultava che il carbone provenisse dalla Russia, mentre in realtà era stato caricato nel porto di Nampo, sulla costa occidentale della Corea del Nord. Dalle verifiche venne fuori che l’attività e la manutenzione della «Wise Honest» fossero state finanziate in dollari, in violazione alle sanzioni unilaterali imposte dagli Stati Uniti. Il 17 luglio 2018 il giudice federale Debra Freeman ha emesso un mandato per il sequestro della nave. L’Indonesia ha sbrigato la pratica, ma non si sa quando sia avvenuta effettivamente la consegna del cargo. Le carte ufficiali si limitano a comunicare che «la Wise Honest è attualmente in custodia degli Stati Uniti».