Il Covid sta mettendo in ginocchio l’economia italiana. Ma i danni più gravi sono soprattutto nel Sud. Dove si annida un rischio ancora più micidiale, quello dell’usura. Almeno un’impresa su quattro, si legge in un rapporto della Confcommercio, rischia di essere stritolata dagli strozzini. «Le aperture per le sole attività all’aperto rischiano di penalizzare almeno la metà delle imprese che non possono usufruire di questa possibilità», denuncia il presidente nazionale della Confcommercio, Carlo Sangallo. I timori ora sono per il rischio dell’usura cui sono esposte e attività soprattutto nel «Mezzogiorno, dotato di un tessuto imprenditoriale più fragile, è più esposto al fenomeno. Ed è un rischio quanto mai insidioso».
In assenza di adeguati sostegni e di un preciso piano di riaperture, rischiano la definitiva chiusura 300mila imprese del commercio non alimentare e dei servizi, di cui circa 240mila esclusivamente a causa della pandemia. Le difficoltà economiche per le imprese riguardano soprattutto la perdita di fatturato, la crisi di liquidità e le complicazioni burocratiche. Di fronte a questo scenario non c’è che una possibilità: abbassare la saracinesca e portare i libri in tribunale. Non sorprende, purtroppo, che il fenomeno sia particolarmente diffuso nel Mezzogiorno in cui è anche maggiore il rischio di chiusura definitiva delle imprese.
Tra nove grandi città italiane, Napoli, Bari e Palermo risultano essere quelle più esposte. Le tre maggiori difficoltà vissute dalle micro imprese nel corso del 2020 a causa della pandemia sono: crollo del fatturato per il 50,7%, problemi di liquidità per il 35,3% e lotta contro le complicazioni burocratiche per il 14%. Quanto al ristoro è ampia la platea di chi non l’ha percepito o l’ha percepito in misura ridotta: si tratta di 295 mila imprese.