di Laura Bercioux
Il grano è una delle fonti primarie dell’economia siciliana e un bene di largo consumo per tutto quello che ne deriva. Tra la chiusura dei pastifici come Tomasello, l’embargo delle grosse aziende che utilizzano solo grano del “Nord Italia” e l’importazione di grano da altri Paesi, l’oro della Sicilia rischia di perdere sempre più colpi. Il prezzo sale vertiginosamente e la pasta rincara del 40%. Maria Pia Piricò Gioia gestisce un’ azienda ad indirizzo cerealicolo a Petralia Sottana in provincia di Palermo, attualmente ricopre la carica di Presidente Regionale di Confagricoltura Donna.
Cosa bisogna fare per restituire al grano duro siciliano il suo valore?
“Operiamo in un mercato globale dove la competitività delle nostre aziende viene puntualmente mortificata da una importazione viziata dal dumping e priva dei requisiti fitosanitari richiesti a noi produttori. Si impone l’ uso, con il massimo rigore, di tutti gli strumenti che la politica commerciale dell’ unione europea ci fornisce per la tutela dei nostri prodotti. Sul piano nazionale abbiamo avuto solo annunci e non sono mai stati attuati sistemi efficaci di protezione di una delle nostre eccellenze, la cerealicoltura. Da sempre chiediamo che si rafforzino i controlli alle dogane per una attenta verifica del rispetto delle autorizzazioni all’ import. Ma, molto spesso i controlli vengono effettuati in paesi privi di adeguati strumenti di sistemi di vigilanza”.
Intanto il costo del grano cresce: ci troviamo davanti a speculazioni?
“Non possiamo affidare il futuro delle nostre aziende alle disgrazie altrui e/o pensare che siano solo le leggi di mercato a governare il prezzo del grano duro ….. purtroppo è ben altro! La mancata trasparenza del prezzo del grano è stata da ultimo lamentata dal Presidente Regionale di Confagricoltura Ettore Pottino, che ne ha evidenziato alcuni aspetti, come ad esempio, l’inefficienza delle Camere di Commercio nella rilevazione nelle transazioni di grano duro. A ciò va aggiunto che il mercato del grano è in mano a pochi soggetti che fanno il bello e il cattivo tempo, riparandosi dietro la cortina delle leggi di mercato…..Balle! Il grano, quale materia prima, è stato oggetto di speculazioni da parte della finanza che ha visto schizzare il prezzo fino a raggiungere quasi 50cent./Kg. dal luglio 2007 a gennaio 2008 per ripiombare nel baratro a 18 cent. Kg., In quell’ occasione la responsabilità fu attribuita ad una riduzione delle scorte mondiali dovuta e, alle pessime condizioni climatiche di alcuni paesi produttori e alla distrazione di massicce quantità di seminativi dal Food verso il no food (colture dedicate agro-energetiche). Ci eravamo illusi che, finalmente, il nostro grano venisse pagato per quello che valeva”.
E allora, qual è la sua ricetta?
“Sarebbe utile che, a tutti i livelli, si affermasse il sano principio di legalità che passa dal rispetto del più alto principio di eguaglianza sostanziale. La competizione, infatti, si misura a parità di condizioni con regole uguali. Solo così il mercato globale potrebbe essere definito anche giusto (basti pensare alla sperequazione dei costi di produzione dai carburanti ai fitofarmaci, ai concimi ai contributi previdenziali etc. che per noi incidono nella misura del 40% contro una media del 15% dei paesi Europei ed Extra europei). Invece per quanto si possa aggregare il prodotto (per es. a mezzo dei Contratti di rete) particolarmente attenzionati da Confagricoltura per implementare l’aggregazione, l’ impresa Agricola resta sempre un Price Taker piuttosto che un Price Maker. Allora il rimedio potrebbe essere per i nostri cerealicoltori l’ attuazione dei Sistema Qualità Sicura Siciliana che consentirebbe al nostro grano duro, tra i più salubri al mondo, di veder riconosciuto un prezzo finalmente corrispondente alla qualità che produciamo. Stabilito in modo inequivocabile il principio che in alcune zone della mia Regione o si coltiva Grano o si fa deserto ovvero non ci sono alternative”.